venerdì 18 settembre 2015

Riceviamo e pubblichiamo in merito al regolamento degli ungulati



DIVAGAZIONI SULLE ATTUALITA’ DELLA CACCIA IN ITALIA E CONSIDERAZIONI SULLE RECENTI VICENDE  NELL’AMBITO DI CACCIA VASTESE

   Sono rimasto spiacevolmente colpito da quanto sta accadendo nella realtà  abruzzese con l’imposizione del nuovo Calendario venatorio, in specie quello che riguarda gli ungulati, ma allo stesso tempo un sussulto di orgoglio mi ha preso allorché ho saputo come hanno reagito i cacciatori di cinghiale dello ATC vastese, unici in Abruzzo e in Italia, ad essersi finalmente ribellati dopo anni e anni di un crescendo di continue vessazioni. Si sono ribellati in modo un po’ disordinato, forse intempestivo, ma infine, si sono ribellati !
   EVVIVA ! E’ l’unica regione, anzi, molto meno, è l’unico ATC che non si è limitato a borbottare come fanno tutti, ma concretamente ha dove i cacciatori hanno protestato all’unanimità e le 38 squadre di caccia al cinghiale si sono rifiutate di farsi registrare per essere rinchiuse in un recinto, come vorrebbe chissà chi.
   Debbo  spiegare che parlo da una posizione che mi ha permesso di capire fin dall’inizio e a fondo, cosa si stava delineando nel mondo della caccia italiana. Infatti io cacciatore di Vasto, in provincia di Chieti, per ragioni professionali, ebbi a trasferirmi a Bologna sul finire del 1977 e solo dopo un percettibile lasso di tempo, cominciai a prendere contatto con il mondo venatorio di quell’altra realtà, quindi fatte in loco nuove amicizie utili, ripresi finalmente ad andare a caccia. Ero rimasto tuttavia legato alle mie origini e di seguito, ripresi a cacciare anche nei miei territori abruzzesi (le poche volte che  il lavoro mi permetteva di tornare nelle mie parti), ben presto potendo comparare le due diverse realtà alla luce delle bruttissime novità di quegli anni.
    Avevo lasciato una situazione “pre-94” e mi ritrovai a dovermi confrontare con un’epoca profondamente cambiata dove la caccia ormai era malvista ed avversata, sì da aver suscitato una legislazione tanto stupida quanto apertamente boicottante. Da quegli anni della svolta infatti la normativa venatoria è stata sempre peggiore, sempre più vessatoria e sempre più cretina perché prodotta in un clima politico nemico e tradotta da gente incompetente oltre che maldisposta. In più,  alle leggi dello stato si sovrapponevano come chicchi di grandine, disposizioni cervellotiche a livello locale, regionale e provinciale, gioco che sarebbe continuato nel tempo, condito da qualche mal recepito principio della comunità europea (importati i divieti, ignorati i vantaggi).
   Sappiamo tutti che cosa ha provocato un tale stravolgimento: la prima e più grave conseguenza è stata l’abbandono progressivo della caccia dai due terzi dei cacciatori italiani a causa della burocratizzazione sovietica, dell’aumento mai visto delle spese imposte e della pioggia di proibizioni troppo spesso assurde, sulle specie cacciabili ridotte a pochissime varietà. E’ stata inoltre condotta una assillante campagna anticaccia nell’opinione pubblica per attaccare e denigrare con ogni mezzo, tutte le attività venatorie, fino ad una vera e propria “dannazione della memoria” per farla scomparire dal sentimento comune delle popolazioni e con il dichiarato proposito di abolire per sempre la caccia in Italia.
   Potrà sembrare strano che io ora richiami un fatto all’apparenza – ma solo all’apparenza – insignificante,  ma secondo me questo è stato emblematico e si è rivelato uno dei colpi più tremendi al mondo della caccia: il divieto sempre più esteso e sempre più assillante, di recare il fucile in spalla “nudo”, così com’è.
    Ai miei tempi si andava a caccia o si tornava a casa, con la doppietta a tracolla, e con quella si andava al bar ed all’osteria, a piedi, in bicicletta e in motoretta e …a cavallo ! Quando ci si fermava a far due chiacchiere, si appoggiava il fucile al muro un attimo e magari ci si beveva un bicchier di vino e ci si scambiava una battuta, o si faceva una partitina a carte. Ricordo benissimo da bambino e da ragazzo i vecchi cacciatori che tornavano con la doppietta in spalla all’ora di pranzo, o verso sera, in una stagione venatoria che durava dalla fine di agosto alla primavera successiva, e noi bambini e ragazzi guardavamo affascinati quel lungo, meraviglioso fucile dalle canne nere e rilucenti,  sognando di poterne avere prima o poi uno anche noi per uscire in campagna a far la posta agli uccelli, a tirare alle lepri e a camminare felici con quell’amico fidato che potevamo portare dappertutto, senza che alcuno ci facesse osservazioni. Ogni casa aveva un fucile da caccia, quasi sempre ben esibito, talora in un armadio a portata di tutti,  perché il fucile era un oggetto normale di una vita normale di gente normale.
   Guardate cosa accade oggi. Le leggi progressivamente, ci hanno imposto di nasconderlo sempre alla vista degli altri. Quasi dovendosi vergognare di possederne uno, dappertutto bisogna “tenerlo in busta”. Una volta era d’obbligo trasportare il fucile scarico ed in custodia solo in automobile, oggi non si può nemmeno attraversare una strada provinciale con il fucile “nudo” ché se ci vedono, chissà cosa ci accadrà … Non ne parliamo se qualche cacciatore se ne tornasse bel bello come allora, al paese con la doppietta in spalla: mi immagino chi fugge di qua, chi di là, le urla isteriche delle donnette, e poi le sirene delle macchine dei Carabinieri, della Polizia, e poi, e poi, magari anche le notizie a sera sul telegiornale: nuovo successo delle Forze dell’Ordine, bloccato ed arrestato un pericoloso delinquente armato !
   Effettivamente il mondo è impazzito.
   Bene questo occultamento forzato dei nostri amati strumenti di piacere è stato un colpo basso atroce ed oggi, pure con la scomparsa del Servizio Militare di Leva, molti giovani e ragazzi non sanno neppure cosa sia un fucile, né hanno più visto neppure una cartuccia !
   Io insegno Medicina Legale all’Università, sono un patologo forense ed un esperto balistico, perito presso il Tribunale di Bologna ed esercito in tutta Italia, così mi sono dovuto abituare a sentirne di tutti i colori: uomini, e non più ragazzi, di quasi 30 anni che non hanno mai visto un’arma da fuoco e neppure una volgarissima cartuccia da caccia, cosicché non te la sanno neppure descrivere agli esami tra balbettii inarticolati.
    Insomma, gente che fa pena e non si sa da dove viene.
   Ma allora, come si possono avvicinare alla caccia le nuove generazioni se gli si urla fin da piccoli a scuola, in televisione, dappertutto, che si tratta di una cosa malsana di cui non si deve parlare,  che prevede l’uso di un oggetto abominevole che non deve neanche essere visto perché TABU ?!
   E pensare che uno dei più bei divertimenti è tenerlo in mano o in spalla il nostro fucile, goderne il possesso, accarezzarlo, fieri del tipo scelto, orgogliosi delle sue caratteristiche o dei bei fregi che reca ! Sentirne la voce potente e autorevole ! E che divertimento è osservare il fucile degli altri cacciatori, valutarne il genere, il modello, la finezza di fabbricazione, lo stato di conservazione, il calibro !
    Per quanto mi riguarda, uno dei miei piaceri, io cacciatore di cinghiali di vecchia data, era  sempre stato quello di osservare con occhio competente, le armi dei colleghi quando ci si radura prima della battuta, ma ormai tutti lo tengono occultato nel fodero infame, costretti ad estrarlo solo quando si trovano alla posta assegnata, per rimetterlo subito in quel carcere portatile appena arriva il segnale che la battuta è finita !
   Non si venga a dire, ipocritamente, che è per motivi di sicurezza. Qui la sicurezza non c’entra affatto e un fucile scarico, all’occasione aperto, non è più pericoloso di un bastone rotto.
    No.  È solo per mortificarci. È l’estremo insulto verso di noi e il nostro  mondo.
    Non vado oltre, né citerò le stagioni di caccia dimezzate, la pratica scomparsa della caccia alla selvaggina migratoria: qui vale il detto parafrasato di Epicuro: “non si deve aver paura della morte: quando lei c’è, noi non ci siamo,quando noi ci siamo lei non c’è “. Ovvero: quando la selvaggina migra in Italia per andare in Africa, noi non possiamo cacciarla perché  la caccia è ancora  chiusa, quando al ripasso torna dall’Africa la caccia è già chiusa.
   Naturalmente gli stranieri ridono: è tutta roba che finisce solo nei loro piatti perché loro possono cacciarla !  
   Oggi siamo ridotti a poche centinaia di migliaia, tutti in età non più verde e in rapido calo  e ogni giorno con un divieto in più, sempre con un’ambascia maggiore, sempre con più forti spese che stanno facendo tornare la caccia al Medioevo, allorché solo il feudatario poteva cacciare. Il popolo poteva assisterlo e fargli da cane di riporto mentre egli si divertiva, se bracconava si poteva sempre impiccarlo alla prima quercia. Sta tornando questa situazione, ma oggi non conta più nemmeno la nobiltà del sangue, conta solo il denaro e si può divertire solo il ricco, tutti gli altri debbono stare a guardare.
    La burocratizzazione ridicola della caccia ha moltiplicato le spese in maniera vergognosa, complicando le regole ad arte onde estorcere ai cacciatori sempre più denaro per soddisfare bisogni inventati e clientelari, affari equivoci e mantenere aperti uffici e istituzioni inutili.
   Per inciso, addirittura grottesco è il Tesserino che viene fornito ai cacciatori dell’Emilia Romagna e dunque anche a me: un vero e proprio libro da tirarsi dietro in una tasca capace, dove segnare anche se quella mattina si è bevuto il cappuccino al bar o solo un caffè. Alcune disposizione peraltro non sono ben chiare, vedi l’annotazione del giorno di caccia negli ATC utilizzati ove se ne è ottenuti più d’uno.  E’ fatto di carta speciale e costa un mucchio di soldi, quei soldi che sono nostri e che ci vengono presi anche per cose del genere.
   Tutte le volte che vado in Toscana, il Capocaccia quando all’inizio di stagione, gli esibisco quella bibbia, prima  strabuzza gli occhi e poi ride: loro ne hanno uno sintetico ed altrettanto utile, ma sanno che i bolognesi sono …tipi ameni !
   Finora l’ATC vastese ha potuto contare su un Tesserino della caccia normale e ben poco costoso, ma chissà cosa avverrà se pure qui bisognerà adeguarsi agli usi emiliani, utilissimi a far girar quattrini.
      Un altro colpo atroce alla caccia in Italia è stato il relegare il cacciatore in un buco e mantenercelo a forza (naturalmente i ricchi possono pagarsi più di un territorio e possono, soprattutto, andarsene all’estero il che è rimasto l’unica vera possibilità di sfogare la nostra passione).
    Anche se tutti fanno finta di esserselo dimenticato, esistono attività umane che non si possono relegare in un posto. La caccia, la pesca e la pastorizia sono attività per loro natura nomadi e per sopravvivere, i cacciatori debbono seguire gli animali e i pescatori i pesci nelle loro migrazioni, i pastori debbono potersi recare con libere transumanze ovunque ci siano buoni pascoli per la stagione.
    Racchiudere tali individui  in un posto è farli morire: sterminarono i pellerosse chiudendoli nelle riserve.
    Come si è potuto arrivare rinchiudere i cacciatori, visto che di questo stiamo parlando, in un buco addirittura ancor più piccolo delle province (gli “ATC”, ovvero secondo le indispensabili espressioni della burocrazia: “Ambito Territoriale di Caccia”) ?!?!
   E’ una vecchia polemica rimasta insoluta per l’inattività o l’insipienza  delle nostre Associazioni nazionali che seppero solo soccombere a questa impostazione.
   La nostra Licenza di Porto di Fucile - ora non più “anche” per caccia, ma solo per caccia, formula per nulla insignificante e pregna di sgradevoli conseguenze – ci permetterebbe di andare a caccia in tutta Italia, invece possiamo farlo solo in un ristrettissimo territorio dove abitiamo e pagando laute tasse locali, ristrettissimo territorio ricavato facendo a pezzetti le province. Se si vuole andare da qualche altra parte occorre chiederlo formalmente e se accettati dallo “stato estero” prescelto, dobbiamo pagare altre tasse locali. In teoria potremmo ancora andare a caccia in tutta la nazione, ma impedimenti burocratici a parte, occorrerebbe la borsa di un Creso per farlo.
    Dunque con tutte queste brutte sorprese ebbi a dovermi confrontare quando ripresi ad andare a caccia dalle parti di Bologna e poi tornai qualche volta nei luoghi d’origine che avevo percorso in ben altre e più felici situazioni.   
   Ma il peggio doveva ancora venire.
   E il peggio arrivò sotto forma della  “caccia di selezione” e di INFS (allora: Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, oggi ISPRA : Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
   Per la prima iattura occorre dire che si erano diffusi sempre più gli ungulati, cosa encomiabile e frutto di rispettabili iniziative, ed era evidente che per la caccia a questi animali avrebbero dovuto adottarsi criteri diversi rispetto alla comune selvaggina, cosa del tutto ovvia e condivisibile.
   Pertanto all’inizio non sembrava tutto male, ma presto le cose si rivelarono per quello che erano: il male allo stato puro.
   Se fossi chiamato a scrivere io una normativa apposita sulla caccia di selezione, esordirei così: “art.1: E’ tollerata la caccia di selezione agli ungulati con l’eccezione inderogabile della specie sus scrofa (cinghiale).”
   Poi vedremo i perché di tale mia convinzione.
   Ricordo che venni caldamente invogliato a seguire il “corso” di cacciatore di selezione da un armiere mio conoscente il quale tanto fece e tanto insistette che alle fine mi convinse, quanto meno “per vedere di cosa si trattava”, come tornava a ripetere ascoltando le mie perplessità.
   Ciò avveniva nell’ambito dei primi “corsi” indetti dalla provincia di Bologna che così esordiva nelle circostanze ed era senza dubbio una novità.
   Nessuno però aveva fatto osservare che la Regione Emilia Romagna era forse la prima ad inventarsi questa faccenda dei “corsi”, seguendo una sua nota tendenza: quella di introdurre per prima, tutte le novità, in qualsivoglia ambito, tanto da aver fatto passare il detto che l’Emilia Romagna vuole sempre essere “la prima della classe” (non importa se a proposito o quasi sempre a sproposito,  agli emiliani importa solo essere “i primi”).
   Peggio: nessuno aveva detto ai cacciatori non che esisteva alcun obbligo di “apposito corso” per cacciare gli ungulati.  Eppoi, sarebbe bastato seguire la normativa nazionale che non ha mai previsto corsi del genere, completando con qualche spiegazione in più, l’esame generale per ottenere la Licenza di caccia e integrando con qualche opuscolo da distribuirsi ai cacciatori della vecchia generazione come me. Però venne fatto intendere che senza quel benedetto “corso” non si sarebbe potuta esercitare quella affascinante novità venatoria: la caccia gli ungulati con la carabina che doveva essere al massimo, a ripetizione semplice e “munita di ottica di puntamento”.
    Io feci quel corso con uno spirito, non lo nego,  molto “sportivo”, pagando naturalmente, la quota per nulla modesta che veniva richiesta per partecipare alle lezioni ed avere i libri previsti. Ma non ero per niente convinto, quanto meno della sua impostazione.
   Qui occorre che io faccia un’altra digressione.
   Per la quasi totalità dei cacciatori italiani quella fu l’occasione per familiarizzare con armi mai viste  e mai usate prima, fatte salve le eccezioni della caccia alpina praticata da pochissimi: le carabine. Questo suscitò sorpresa ed entusiasmo e ci fu una notevole vivacizzazione del mercato delle armi sportive: cosa che fece molto bene alle tasche dei produttori, dei grossisti e degli armieri, che si erano dovuti abituare alle magre vendite degli anni precedenti.
    Fin qui, tutto bene, anche se il “corso” non poteva pretendere con qualche ora di lezioni confuse da parte di persone con poche e dilettantesche competenze, di formare degli “esperti utilizzatori di armi rigate”, come taluni hanno subito creduto, cominciando ad esprimersi con ridicola prosopopea, quando incontravano gli altri cacciatori, quelli “normali”, intendo.
   In quanto a me, avvicinatomi per pura curiosità, non avevo ambizioni venatorie in tal senso perché non  mi interessava né mi interessa, sparare a sangue freddo, da 150-200 metri di distanza, contro un animale inoffensivo che tranquillo su un prato, sta pascolando nella pace di un tramonto. Ma non esito a dire che queste sono le mie personalissime opinioni e non ho nulla in contrario che alcuni si divertano in tal modo: la caccia si può esercitare in una infinità di modi e di luoghi, io cerco emozioni forti, altri inseguono sensazioni diverse, più consone al loro carattere.
   Inoltre per spiegare meglio la mia posizione, è bene che dica che io per passione e quindi per  professione forense, sono buon conoscitore di armi e munizioni e contrariamente ai più,  “sono nato con la carabina” avendo preso il Porto d’Armi “anche per uso di caccia” come era una volta, a 16 anni, usando da subito le carabine nella caccia al cinghiale. Ma sia sulle armi d’uso venatorio, sia sulla caccia al cinghiale tornerò.
   Dunque per me trattare di armi rigate e di calibri per caccia, difesa o per uso militare, non si trattava di novità e quando voglio tirare con la canna rigata, me ne vado in poligono dove provo con sommo gusto, carabine da caccia ed ex-ordinanze dei bei tempi che furono, ricercando le mie soddisfazioni sui bersagli di carta e quasi mai senza uso di ottiche di sorta.
   Infatti per me le emozioni della caccia sono tutt’altra cosa, legate alle mie tradizioni italiche.
   Ricordo che una delle cose che mi fece sorridere e poi ridere in quel “corso”, fu quanto ebbi a sentire nell’ultima lezione: vi si parlava di vestiti in loden che sarebbe stato meglio indossare quando si pratica la caccia di selezione agli ungulati, di deporre frasche sulla preda appena uccisa e, addirittura ….del minuto di silenzio che la tradizione prescriveva di osservare in omaggio alla selvaggina abbattuta.
   Ma quale tradizione ?!?
   Ma  perché noi dovremmo adottare tradizioni straniere e scimmiottare austriaci e tedeschi ?
   Siamo forse tutti impazziti ?!
   E che c’entra come ci vestiamo e come ci comportiamo, purché rispettosi delle leggi nazionali ?
   E’ vero che c’è gente che si veste come Coppi e Bartali quando fa un giro in bicicletta la domenica, oppure da vaccaro americano per sparare armi a polvere nera, ma …insomma - dico ! -  siamo italiani ed un po’ di serietà non guasterebbe.
   In quella occasione mi limitai sardonicamente ad osservare nel silenzio ispirato e comicissimo della platea rapita, che sarebbe stato meglio non esagerare perché noi italiani abbiamo un senso del ridicolo che gli stranieri non hanno …
    Come balistico forense, posso inoltre affermare di aver sentito dire ed di aver letto tante emerite sciocchezze sulle carabine da caccia e sui calibri adatti agli ungulati, proprio da questa razza di cacciatori e dai loro improvvisati maestri. Nei poligoni noi appassionati di armi e tiratori siamo abituati a considerare questi nuovi i cacciatori come dei simpatici incompetenti: vengono muniti di carabine dell’ultimo modello, di cannocchiali costosi e di zaini (per carità: esattamente identici a quelli che gli vengono mostrati alle lezioni, onde poggiarci sopra le armi in prova e solo da poco e solo taluno, sa cosa è, per esempio, un “rest”), ma soprattutto costoro recano strane idee e pregiudizi.Tuttavia bisogna essere  sinceri, per onestà intellettuale: alcuni nel tempo si sono fatti una eccellente cultura oplologica benché l’approccio della gran parte di costoro all’arma rigata resti tuttora da “cacciatore”, vale a dire da utilizzatore di uno strumento di caccia e nulla più. Insomma, la maggior parte ama solo la caccia ed il fucile o la carabina serve loro per andare a caccia, punto e basta.
   Esordirò allora nei commenti con una “bestemmia” che farà venire il mal di pancia ai molti “esperti” che ritengono di saperla lunga in merito e di poter insegnare agli altri.
   In Italia, ma anche in Europa, non esiste quasi selvaggina che non si possa cacciare con un comune fucile a canna liscia cal. 12 caricato con le moderne munizioni, sopratutto quelle caricate a palla.
   Le uniche eccezioni in merito sono rappresentate dalla caccia al camoscio ed allo stambecco che richiedono tiri lunghissimi in alta montagna, e vi si potrebbe aggiungere il muflone.
   Diversamente tutti gli animali a pelle morbida da noi si possono uccidere agevolmente alle brevi distanze cui si lasciano spesso avvicinare con un po’ di accortezza, adoperando comuni fucili a canna liscia. Perfino nelle zone tropicali solo i pachidermi richiedono davvero l’uso delle carabine e neppure esclusivamente di grosso calibro, se oggi non fosse proibito in Africa l’uso che si faceva una volta dei calibri medi d’origine militare da parte di cacciatori professionisti, quelli che contavano le prede abbattute a migliaia, magari solo per l’avorio.
   In genere un animale qualunque a pelle morbida che può essere avvicinato dal cacciatore ad una cinquantina di metri, può essere abbattuto senza troppi problemi con i normali fucili da caccia. Persino un orso polare del peso di 6 quintali (sono stato nell’Artico: per difesa da questo enorme e temibile predatore – il carnivoro più grande della terra - è obbligatorio girare armati e tra le armi consigliate, figura anche il fucile a canna liscia cal. 12) può essere spacciato da vicino con un buon fucile a canna liscia caricato con le moderne munizioni a palla. Anche i grandi felini possono essere uccisi con comuni fucili a canna liscia, purché a brevi distanze: ne parlano famosi Autori americani come il Barnes. E’ noto peraltro come ancora oggi è buona norma di sicurezza tenere a portata di mano doppiette caricate addirittura a pallettoni, per la sicurezza del campo nelle zone dove ci sono leoni, iene e leopardi.
   In quanto a me, passati gli entusiasmi e le voglie dell’età verde, sempre più mi sono avvicinato al cal. 12, fino a sostituire del tutto l’arma rigata nelle battute al cinghiale. La portata della canna liscia (50-60 metri) è largamente sufficiente per tiri veloci che avvengono il più spesso, nell’ordine di qualche passo, la potenza nel suo raggio d’azione è notevole e supera nettamente i 200 kgm nei calibri ordinari, anche ai limiti superiori della portata indicata, il calibro del pesante proiettile (30-40 g a seconda dei tipi e dei caricamenti) è molto grande (18,3-18,4 mm),  la sua precisione con le moderne cartucce a palla unica a quelle distanze è quasi simile a quella di una carabina. Invece il peso di un buon fucile cal. 12, semiautomatico, giustapposto o sovrapposto, è generalmente inferiore anche a quello delle carabine di medio calibro, ma sopratutto il bilanciamento di un’arma del genere è di gran lunga migliore e più favorevole ai tiri d’imbracciata.
   Quando nel tempo passerà la fregola dei semiautomatici rigati, tutti pesanti inopportunamente sul davanti,  si vedrà che i più accaniti cacciatori di cinghiale torneranno quatti quatti al vecchio, caro, insostituibile trombone a canna liscia. Almeno per me è andata così, con l’unica accortezza di usare canne corte e cilindriche, fatte apposta per il tiro a palla: mi va benissimo il semiautomatico e adoro l’uso delle doppiette.
   Devo aggiungere che è difficile vedere animali anche molto grandi, non cadere di schianto quando nelle distanze congrue, adeguatamente attinti da una buona palla cal. 12, cosa che avviene in diverse occasioni con le carabine, specie se si spara vicino, magari contro animali medio-piccoli, usando proiettili più adatti agli animali grossi.
   Per la professione che esercito da tanti anni, e la passione per le armi sempre avuta e coltivata, mi piacerebbe dilungarmi in merito a questo punto per spiegare sul piano tecnico, le ragioni di tali fenomeni di balistica terminale, ma mi rendo conto che qui non è il caso. Dirò una cosa soltanto: due sono le “teorie” principali sull’efficacia terminale a caccia dei proiettili e dei vari calibri, una è quella inglese che privilegia il proiettile grosso, lento e pesante, l’altra è la teoria continentale, portata all’eccesso dagli statunitensi, che vede favoriti i proiettili leggeri e veloci. Tralasciando altre considerazioni accessorie e le molte disquisizioni sulla natura e sulla costituzione dei proiettili, voglio però ricordare che gli inglesi hanno avuto fino ai agli anni ‘60 del 1900, uno dei più grandi imperi della storia che sotto il profilo venatorio, comprendeva territori ove si potevano praticare le cacce più emozionanti al mondo, primi tra tutti, le migliori e più belle regioni d’Africa e l’India. Dunque gli inglesi, che peraltro sono gli inventori dei fucili da caccia moderni, di caccia ne sanno qualcosa …..
   E’ inutile aggiungere che io condivido le teorie degli inglesi per le cacce pesanti e la caccia al cinghiale è una caccia che si può definire “pesante” senza tema di cadere nel ridicolo.
    L’imposizione delle carabine per la quasi totalità della caccia agli ungulati sancita ormai da leggi e regolamenti, è spesso un abuso mentre l’adozione di un ottica diventa realmente necessaria dopo i 100 metri, naturalmente considerando soggetti dalla buona vista e allenati al tiro.
   Chi conosce la storia e la tecnologia delle armi da fuoco e delle munizioni, sa che la loro evoluzione si è conclusa con il 1800. Tutto è stato inventato entro la fine di quel secolo meraviglioso e il resto ha riguardato di fatto, solo i materiali, in specie la qualità degli acciai, mentre addirittura le lavorazioni sono via via peggiorate. In altre parole, dalla fine del 1800 o al massimo dagli anni a caval del secolo, non sono stati più fatti progressi nelle armi leggere, nelle artiglierie e per il rispettivo munizionamento. Il motivo è semplice per le armi leggere: non vi è stata evoluzione della cartuccia metallica (la “benzina” delle armi), semmai negli ultimi decenni vi è stata una significativa evoluzione della cartuccia per arma a canna liscia e ciò ha riguardato il bossolo ed il borraggio in materiale plastico che ha consentito un notevole miglioramento della potenza, delle prestazioni in genere, nonché dell’uso e della durata delle attuali munizioni.
   I calibri medi per armi lunghe rigate effettivamente utili a caccia sono pochissimi e tutti inventati sul finire del 1800 o negli anni immediatamente seguenti (ad esempio il 7 X 64 e qualche altro).
   In altri termini i cosidetti “calibri magnum” e tutti i numerosissimi calibri inventati di recente in prevalenza dagli americani, e commerciati come il “non plus ultra” per la caccia di questo o quell’animale, non servono …a un bel niente !
   L’unica cosa cui potrebbero eventualmente servire alcuni di essi, sarebbero i tiri lunghissimi in aperta pianura, in Europa inutili, inopportuni e anche molto pericolosi per l’eccessiva antropizzazione. Diversamente servono ad impinguare le rendite di chi li inventa e di chi costruisce e vende carabine così camerate e le relative cartucce. Quasi di continuo “nascono e muoiono” nuovi calibri il cui successo dura talora non più di qualche anno, per scomparire desolatamente alla chetichella …
   Per le cacce europee e in molte altre zone del pianeta, un fucile rigato cal. 7 X 57 è più che sufficiente, quando si può contare su buoni e vari caricamenti con proiettili dal peso di  140 a 170 grani; un raffinato che ci tenesse a voler sparare con un po’ di energia in più e tiro un po’ più teso, può adottare con la massima soddisfazione, il cal. 7 X 64. E’ sparito per mere ragioni commerciali, l’ottimo cal. 6,5 X 54 Mannlicher-Schonauer. Si potrebbe adottare per le cacce più pesanti, il buonissimo cal. 8 X 57 JRS Mauser, oppure l’energico  9,3 X 62 ed il 9,3 X 74, quest’ultimo adatto ai basculanti. Sono tutte cartucce che hanno più di 100 anni e sono le migliori di tutte, altro non serve. Se proprio si vogliono usare calibri medi americani, talora più facili da reperire in giro per il mondo, vanno benissimo il .30-06 (derivato dall’8 X 57 Mauser), e forse più ancora il .270 Winchester,  può inoltre prendersi in considerazione il 7,62 NAT0 (.308 Winchester in veste civile), specie per le carabine semiautomatiche, ma pur avendo il vantaggio di essere ovunque comunissimo, non raggiunge i pregi del 7 X 57 Mauser.
   L’uso delle carabine monocolpo (ma anche express di medio calibro)  o a ripetizione ordinaria non ha ragione di essere imposto per la caccia di selezione come poteva forse essere un tempo, in quanto la precisione delle carabine semiautomatiche moderne è di gran lunga più che sufficiente alle esigenze di questo tipo di caccia, benché gli “esperti legislatori” non l’abbiano ancora capito. Bisogna pensare che i russi da decenni, utilizzano per i tiratori scelti in tutti i teatri di guerra proprio un fucile semiautomatico ….
   Queste mie sono solo considerazioni leggere e personali “a macchia di leopardo”, però esprimono le mie insofferenze per ogni sorta di imposizione in eccesso, di divieto immotivato, di ingerenze inutili e pedanti nella mia libertà d’azione.
    E’ ovvio che la caccia debba essere regolamentata ! Però che bisogni  erogare minuziosamente disposizioni in merito a tutto, anche a ciò che è opinabile,  a me fa rabbia.
   A cosa serve, per esempio, l’uso dell’ottica sempre e comunque, se con l’aiuto di un cane, si sta seguendo un animale ferito per finirlo ? In tal caso si sparerà a 200 metri ?!? Oppure a 3-4 metri, tra le frasche ?
   Ma torniamo alla caccia di selezione così come è stata ormai impostata in Italia.
   A parte l’imitazione patetica di altri usi e tradizioni che dovremmo per forza adottare onde far contenti i promotori di queste sciocchezze, perché tale forma di caccia ha subito suscitato l’avversione mia e di tantissimi altri cacciatori, specie se di vecchia data ?
    I motivi, come ho accennato sono molti, ma si riconducono tutti ad una prepotenza di fondo subito manifestata dai cosidetti “cacciatori di selezione” i quali singolarmente e tramite le loro associazioni,  hanno cominciato dall’inizio, a considerarsi una sorta di “élite” rispetto a tutti gli altri, senza che se ne capisca il perché. In specie l’URCA, costituitasi nel Nord Italia, pratica una politica aggressiva e manifestamente “di conquista” verso tutte le regioni, a partire dall’Emilia Romagna, e ora sono quelle del Sud  a stare nelle sue mire.
    E’ accaduto che la caccia di selezione non si è voluta accontentare dei suoi caprioli e dei suoi daini, dei suoi mufloni, e ora anche dei cervi, ma ha cominciato immediatamente, a pretendere di estendere le competenze sui cinghiali, contendendoli agli altri cacciatori.
   E’ questo fa indignare sopra ogni altra cosa.
   La caccia al cinghiale non ha bisogno di alcuna “selezione” perché riconosce criteri del tutto differenti, perché il cinghiale è una specie robusta e prolifica ed ora fortunatamente abbondante, e infine perché questo animale in Italia si è sempre cacciato da parte di tutti i cacciatori, con la tradizionale battuta. Una forma venatoria, questa sì, profondamente radicata nell’italica tradizione per la natura dei nostri territori, la non esclusiva esigenza di armi specializzate e per il nostro carattere  esuberante di italiani. E’ infatti una forma corale di caccia grossa, praticabile come si è detto, con armi d’uso comune, ancora ci riserva  un pizzico di avventura per un animale senza   timidezze e perfino aggressivo che suscita profonde emozioni, con il piacere del ritrovarsi insieme di tanti cacciatori, l’uso di innumerevoli cani, urla, confusione, spari e divertimento assicurato, in realtà, agli occhi di chi se ne intende, caccia con un ordine ed un metodo impressionanti, simile ad una operazione militare in piena regola.
   Ecco, a noi piace cacciare il cinghiale così: nei boschi dei nostri climi, tra i folti sottoboschi, con l’anima tra i denti alle urla dei canai ed allo sfrascare della bestia che ci viene incontro e talora addosso !
    Questa è l’unica forma di caccia al cinghiale delle nostre tradizioni venatorie, prima tra tutte quella nobilissima della Toscana, e se praticata sapientemente con squadre ben affiatate, garantisce un proficuo bottino sempre democraticamente distribuito.
   Non ha  nulla di raffinato, noi cacciatori di cinghiali non siamo dei damerini, ma siamo cacciatori schietti e vogliamo continuare ad esserlo, delle puzzette sotto il naso da “pervenu” ce ne freghiamo, non portiamo “capi firmati” ma usiamo a caccia i vestiti più vecchi, molti di noi hanno i calli alle mani, sono contadini, operai, pensionati dal passato venatorio glorioso: la migliore e più bella compagnia che io possa immaginare !
   E quando al ritorno dalla battuta, mangiamo tutti insieme quei piatti robusti che da soli rozzamente ci cuciniamo, annaffiati da generosi bicchieri di vino, tra rievocazioni del tiro fortunato, urla e battute grasse, ebbene,  allora noi siamo felici e non vogliamo tollerare eppure l’idea che altri da chissà dove, ci vengano a dire quel che dobbiamo fare e a guastarci il divertimento.
   Io non a caso ho parlato di “battuta al cinghiale” perché questi “puristi” usciti da non si sa quali salotti e non certo dai boschi con la faccia e le mani graffiate, hanno cominciato a spiegarci che la nostra caccia si deve chiamare “braccata” e non battuta, termine improprio, ecc., ecc.
   Mi fanno ridere, e mi ricordano i pedanti che disquisivano un tempo su tutte le regole del duello, rendendolo sempre più grottesco, oppure i loro colleghi da biblioteca che riempivano interi volumi e disputavano dottamente tra loro per spiegare il vero significato di ogni particolare dell’araldica.
    Insomma elucubrazioni di oziosi.
    Ho studiato anch’io. Conosco benissimo la differenza tra la battuta nobiliare dei tempi che furono, con dame e cavalieri e la solita plebe in funzione servile, e la “caccerella”, come venne così chiamata nel Lazio e nella bassa Toscana la “battuta al cinghiale” che noi conosciamo perché riservata ai contadini e ai loro cani dalla generosità del padrone, alla fine del divertimento dei ricchi.
   Ma chi scrive osserva che da molti e molti decenni in Italia, spariti i nobili e le loro cacce sontuose, la “battuta ai cinghiale” è una sola, ed è quella che conosciamo noi, con cacciatori, canai e battitori o braccali (quando nell’uso locale, come in Toscana) e che così abbiamo sempre chiamato le nostre cacce al cinghiale. Con buona pace di questi scocciatori della crusca.
   Ora perché dovremmo chiamarle “braccate” non saprei dire, ma gli snob mi sono sempre stati antipatici.
    La battuta al cinghiale, dunque, la nostra tradizionale battuta al cinghiale, è il tipo di caccia che si pratica in Italia per il cinghiale ed è il metodo più adatto e più che sufficiente a “controllare” la specie, basta soltanto adattare la lunghezza del periodo di caccia consentito alle situazioni  locali e la libertà di accesso ai luoghi di caccia, senza alcun bisogno dei cacciatori di selezione, con volute confusioni normative tra caccia e controlli.
   Infatti in Emilia Romagna, non appena inaugurata la caccia di selezione ed estesa la musica al cinghiale,  si è assistito ad un fenomeno degenerativo prevedibile.
   E’ accaduto infatti che suscitando ad arte con articoli giornalistici e pubbliche lamentele, la riprovazione generale sui danni provocati dai cinghiali, agli inizi di ogni anno, e accarezzando il favore di gente incompetente – spesso nemici dichiarati della caccia – i cacciatori di selezione si sono immediatamente proposti per i “selecontrolli” (che modo rozzo di esprimersi ! Questo sì che è coniare in burocratese parole da buzzurri !) e si sono gettati come lupi sui cinghiali, approfittando delle autorizzazioni della provincia. Pertanto quando finisce la caccia regolare in gennaio, entrano in azione costoro che fanno strage di animali fino all’estate, con mezzi talora riprovevoli (a me è giunta spesso notizia dell’uso di fari abbaglianti in ore notturne, ecc.) e si impadroniscono delle spoglie per vendersele allegramente a privati e ristoratori.
   Per la verità, la cosa negli ultimi tempi è stata un po’ ridimensionata da più accorte disposizioni sulla proprietà e l’acquisizione degli animali abbattuti, ma tuttora i cinghiali sono oggetto di cupidigia da parte di queste persone e la scarsità dei controlli favorisce una infinità di abusi.
   In pratica è successo che con la nuova pratica,  i cacciatori pagano tasse salatissime per i 3 miseri mesi di stagione venatoria ed i sedicenti “selecontrollori” vanno a caccia tutto l’anno e si godono gratuitamente  divertimento e  profitti.
   Nella provincia di Bologna ed in altri posti assoggettati man mano alla stessa normativa, si è verificato il fenomeno di ex cacciatori (non vedo come definire costoro che di sportivo non hanno più nulla) divenuti macellai professionisti con notevoli guadagni, al punto che alcuni in un recente passato, si sono dedicati interamente a questa attività licenziandosi perfino dai lavori abituali e incrementando fortemente le loro entrate economiche. E pur essendo “autorizzati” a fare tutto ciò, il limite tra il lecito ed il bracconaggio è talmente esile da lasciare i veri cacciatori con la bocca amara.
   Questi abusi apparvero chiari fin da subito e ben presto furono oggetto di molte proteste e perfino di un esposto alla Pretura (quando ancora esisteva) purtroppo per noi finito male.
      Infatti la lunga durata del periodo concesso a costoro per esercitare la cosidetta “caccia di selezione”, la libertà di circolazione con le carabine pronte, la sorveglianza che purtroppo si riduce, la libertà di sparare e di abbattere ciò che vogliono, conduce ovunque a questa aberrazione.
    Non dico che tutti i cacciatori di selezione siano persone del genere, ma l’occasione fa l’uomo ladro e visto che è successo in altre parti, non c’è alcuna ragione di credere che in Abruzzo sarà diverso.
   Oppure non si può dire a questi ed altri tartufi, che il re è nudo ?!?
    Ho scritto prima che la diffusione degli ungulati nei territori italiani ha imposto per forza di cose, regole diverse e ciò va riconosciuto, ma ribadendo l’assoluta inopportunità ed estraneità della caccia di selezione per il cinghiale, io non ho mai capito per quale ragione anche gli altri ungulati, ormai sovrabbondanti quasi ovunque sul territorio nazionale, sopratutto i caprioli, debbano essere riservati solo a questo genere di cacciatori.
   Attesa la situazione attuale, io penso invece che una monteria alla spagnola una tantum, possa essere permessa in buona parte d’Italia: si stabilisce un giorno all’anno in cui tutti i cacciatori possono sparare a tutti gli ungulati nel corso delle battute, e non credo affatto che da ciò  derivino danni irreparabili a tal genere di grossa selvaggina.  La monteria è una tradizionale caccia spagnola, ma almeno è una cosa molto più consona al nostro modo di cacciare e darebbe a tutti l’opportunità di un colpo diverso dal solito e di mangiarsi  carne di capriolo frutto delle proprie cacce lecite, senza andare a mendicare o a comprar cosciotti ai signori  “cacciatori di selezione”.
    E continuo ad analizzare i danni della situazione venatoria attuale scaturiti dalle aberrazioni di un “qualcosa” sfuggito di mano.
    L’ISPRA, così come si fa chiamare, è un Istituto radicatosi in Emilia Romagna ed anche esso, come l’URCA, ha subito mostrato tendenze ipertrofiche e vocazione  di potere per la sola ragione di esistere.
   Questo “Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale” è il braccio operativo degli ambientalisti all’italiana e degli animalisti, in altri termini è null’altro che un Istituto Superiore Anticaccia e non a caso viene lodato e sempre invocato dai nostri nemici.
   In realtà l’Ispra è un organo che nasce e tuttora resta, un erogatore di pareri anche sulla caccia. Il suo parere  è CONSULTIVO, NON E’ VINCOLANTE, come si cerca di far credere e di far passare a tutti i costi. Anche richieste in tal senso alla Comunità Europea hanno ribadito la sua natura consultiva e comunque il fatto che esso è sottoposto alla legislazione di competenza nazionale la quale non gli ancora consegnato in mano la caccia.  O almeno non ancora è accaduto l’irreparabile.
   L’Ispra e i suoi sostenitori, ritengono che esso debba ormai “dirigere” la caccia in Italia in forza di legge ed una normativa quanto mai ambigua, che viene di continuo sbandierata dagli attivisti per dimostrare secondo loro che solo l’Ispra può dire che cosa si può cacciare oggi in Italia e in quale modo.
   Non è così e se soltanto i politici dello stato e delle varie regioni ponessero attenzione anche al mondo venatorio, potrebbero riportare le cose nel verso giusto. Esistono sentenze giudiziarie che continuano a ritenere il parere dell’Ispra solo consultivo e per esempio, un autorevole commento nel 2012 dell’Avv. Paola Brambilla di Bergamo (vedi in Internet: http://www.ambientediritto.it/home/oad/la-natura-dei-pareri-dell%E2%80%99istituto-superiore-la-protezione-e-la-ricerca-ambientale-ispra-ex-infs)  spiega dettagliatamente perché quest’organo non possa essere ritenuto erogatore di pareri vincolanti in materia venatoria. E’ altresì vero che il TAR della regione Marche ha emesso nel 2013 una sentenza in senso contrario, subito applaudita dai soliti, ma tutto questo non dimostra altro che la normativa a riguardo resta ambigua e che solo l’indifferenza dei politici e uno scontato conformismo, permettono interpretazioni contrarie al mondo della caccia.
      Dunque non ha senso accettare come ordini inderogabili le sue pronunce su tutto e su qualunque cosa e bisogna incoraggiare soprattutto le regioni a non farsi mettere i piedi sulla testa da questo ingombrante Ispra. Ciò richiede impegno e altrettanta determinazione da parte delle nostre Associazioni e una decisa volontà politica di arginare il fenomeno una volta per tutte.
   Il mondo della caccia ha non nessun interesse a fare per forza ciò che vuole l’ISPRA, e di accettare che i suoi tecnici mettano bocca dappertutto, ma quel che conta, non è per niente obbligatorio ciò che sostiene l’ISPRA a suo vantaggio.
   Costoro vogliono egemonizzare il mondo della caccia dai loro uffici e imporre decisioni spesso assurde, che ci stanno togliendo le ultime opportunità e ci rendono perfino ridicoli agli occhi degli altri europei.
     Quindi l’ISPRA va riportata nel suo alvo, senza tanti complimenti, e i politici non debbono offrire sponde inopportune su pressioni di questi interessatissimi personaggi. La nostra attuale protesta potrebbe costituire finalmente l’occasione per rimettere in discussione una moda per noi nefasta, ormai accettata con colpevole passività e rassegnazione da tutti.
    La caccia di selezione nacque implicitamente con un “apposito corso”, mai reso obbligatorio dalla legge nazionale, eppure adottato all’istante come tale dalle province della Regione Emilia Romagna, ove fu fatto credere “conditio sine qua non” per esercitare tale forma di caccia.
   Siccome l’appetito vien mangiando, a quel “corso” ne furono subito aggiunti altri. Quando fu concesso estendere la caccia di selezione anche al cervo, per esempio, ci si dimenticò del fatto che si era parlato abbondantemente pure di questo animale nel “corso per la caccia agli ungulati”, e venne subito istituito un altro “apposito corso” che abilitava specificamente alla caccia al cervo.
   Nel frattempo la Regione Emilia Romagna (e forse altre, non so) ha preso ad istituire “corsi” per ogni genere di caccia: vuoi cacciare la volpe ? Non è vero che si è sempre fatto, e quindi deve essere insegnato ai cacciatori italiani che, poveretti, non ne sapevano nulla …ecco dunque, un apposito coso per la caccia alla volpe. E poi una pioggia in crescendo di altri  “corsi” per cacciare i piccioni in eccesso, per portare i cani da traccia, per questo e per quell’altro, fino al punto che per me ha veramente dell’incredibile: il “corso” per cacciare le nutrie (SIC !).
   Tutti sanno che questa sorta di roditori (dei topacci dalle dimensioni sesquipedali) diffusi da gente che se ne voleva disfare dopo improvvidi tentativi di allevamento per le pellicce, hanno invaso gran parte dell’Italia, ma soprattutto la pianura padana, dove hanno mostrato di essere dannosi assai per le gallerie che scavano nella compagine degli argini dei fiumi.
   Preso atto di un’invasione del genere (nella pianura padana se ne possono vedere ovunque, basta affacciarsi in ogni canale, o anche si vedono sui campi, riunite a gruppi, per esempio nelle zone prospicienti l’autostrada che va a Milano) e della necessità di eliminare il maggior numero possibile di questi animali, invece di farli cacciare come “nocivi” (altra espressione TABU della nostra epoca più ipocrita dei salotti seicenteschi) da chiunque possieda una doppietta  e in primis, dai contadini proprietari dei fondi, è stato istituito “l’apposito corso per la caccia alle nutrie” che spiega tutto, ma proprio tutto, ve’ ?  Anche come disfarsi in sicurezza, delle carogne.
   Ora che una Regione sui generis come è sempre stata l’Emilia Romagna prenda una simile iniziativa, io non mi stupisco, però rimango esterrefatto da chi li ha presi sul serio, li ha accettati e perfino disciplinatamente seguiti, e oggi percorre regolarmente i campi, fucile in spalla, per “rendere questo servizio alla comunità”. Orgogliosamente.
   Insomma, per la prima volta, abbiamo i cacciatori di zoccoloni autorizzati !
   E si vuole imporre anche a noi svegli meridionali, queste cretinate ?!?!
   Nessuno pare rendersi conto del grottesco implicito in queste vicende e di come certe persone cadano in simili tentazioni, pur di riuscire a sparare qualche colpo.
    Io non so più quanti “corsi” abbia ormai autorizzato la Regione Emilia Romagna e neppure  mi interessa, osservo tuttavia che così facendo, si sta svuotando del tutto il significato dell’esame per accedere alla Licenza di caccia, esame ormai inutile.
   Io però dico che dietro questa situazione impazzita e in fondo comica, ci sono interessi concreti di soldi e di potere, fosse pure un piccolo potere da far gravare sulle spalle della negletta categoria dei cacciatori.
   Infatti tutti questi “corsi”, di fatto imposti a forza se vuoi esercitare una qualche forma di caccia praticabile, prevedono sempre quote corpose da parte dei richiedenti e ottime retribuzioni da parte dei “docenti”, una categoria sorta silenziosamente e apparentemente dal nulla, moltiplicatasi come cavallette bibbliche.
   Ecco dunque la scoperta dell’acqua calda. C’è ormai un sacco di gente che si è inventata questo mestiere posticcio e ci nuota come rane nello stagno, e vuole espandersi come una multinazionale americana per conquistare nuovi mercati, vale a dire nuove regioni e nuove province.
   Un altro sassolino mi voglio cavare dalla scarpa sulla caccia in genere. Solo in Italia e solo da alcuni decenni,  è proibito cacciare nei parchi, oltretutto dilatati nel tempo in modo esagerato e inutile, visto che non proteggono dagli sfruttamenti ambientali e dalla proliferazione edilizia, e forse anche contro la legge che prevede limiti al territorio imbalsamato dai Tabu degli anticaccia.
   Ma chi ha detto che nei parchi nazionali e regionali non si può cacciare ?!?
   Si cacciare benissimo nei parchi naturali,  pur dovendosi rispettare alcuni limiti ed alcune regole in più rispetto ai territori liberi, dunque non facciamoci infinocchiare e chiediamo buone leggi a riguardo !
   Specialmente il cinghiale dovrebbe potersi cacciare sia attorno alle zone protette, oggi soggette a vincoli assurdi, sia proprio all’interno dei parchi stessi, e di sicuro qualche battuta ben condotta, non provocherebbe alcun danno mentre potrebbe essere risolutiva per ristabilire equilibri faunistici alterati.
   Ricordo come oramai svariati anni fa, si potesse cacciare lo stambecco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso allorché vi fossero esemplari troppo vecchi, malati o difettosi. L’Ente metteva allora a disposizione alcuni di questi capi e i cacciatori che facevano richiesta molto tempo prima, con l’accompagnamento dei guardaparco che indicavano gli animali prescelti, potevano abbatterli: costava parecchio, questo sì, somme che se non ricordo male, variavano da 2 milioni a 2 milioni e mezzo di vecchie lire, ma così il Parco incamerava per quei tempi, dei significativi finanziamenti.  Poi cominciarono a protestare i primi fanatici, e ciò non fu più possibile, restando compito delle guardie effettuare gli abbattimenti necessari degli esemplari malati per non lasciar rovinare le linee genetiche delle popolazioni di stambecco. Insomma: stessa cosa, però …senza soldi !
      Si può essere più stupidi di così ? 
   Ora, alla luce di queste mie premesse, come si può commentare il nuovo Regolamento sulla caccia agli ungulati (scusate, no, sulla “gestione faunistico-venatoria degli  ungulati, ecc., ecc.”) della Regione Abruzzo ?
   La prima cosa che osservo è che si tratta di una fotocopia di quello dell’Emilia Romagna, è sfido io ! E’ stato suggerito ai nostri politici regionali, così mi si dice,  proprio da gente che proviene da quelle parti (Emilia Romagna e Marche) e che ci vuole insegnare tutto, specialmente a cacciare il cinghiale.
   Infatti io che ho preso la Licenza di caccia nella seconda metà degli anni ’60, ho iniziato subito con la caccia al cinghiale che allora facevamo nell’Alto Molise e nelle zone abruzzesi limitrofe estese fino al lago di Bomba.
   Diversamente in provincia di Bologna i cacciatori locali hanno cominciato a vedere come è fatto un cinghiale soltanto nei primi anni ’90, animale che era noto al massimo a quei pochi che si recavano in Toscana. Per il resto ricordo che da quelle parti, nessuno sapeva di quale animale si trattasse. Ma ora noi abruzzesi dobbiamo imparare ad andare a caccia di cinghiali dagli emiliani che ci spiegano che roba è 
   La prima cosa che salta agli occhi nel Regolamento è la sudditanza che si vuole imporre nei confronti dell’ISPRA (sfido: l’Ispra se lo è scritto da sé !) e si comincia con l’art. 3 ove è scritto: “Le informazioni di cui sopra (cioè la valutazione delle popolazioni di ungulati nel territorio) sono acquisite sulla base delle metodologie indicate dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).”
   E perché ?
   E quindi, art. 5: “Sugli interventi di reintroduzione o ripopolamento l’ISPRA esprime parere vincolante …”.
   Perché l’ISPRA dovrebbe esprimere un parere “vincolante” se è solo un organo consultivo ? La serva diventa padrona di casa ? Dico bene che si deve chiarire una volta per tutte una normativa ambigua e foriera solo di divieti ai nostri danni, se forzata in una certa direzione.
    Noi cacciatori vogliamo che l’Ispra resti un organo consultivo per l’eternità, non amando sudditanze nei confronti di  alcuno, specie di chi si inventa le disposizioni e i divieti più strampalati per contrastarci a bella posta.
   Di nuovo si mette tutto in mano all’ISPRA quando vengono elencate le figure “preposte alla gestione faunistico-venatoria degli ungulati”. A questo istituto si offre il monopolio della gestione e se ne impone l’ingerenza su tutto e si comincia con l’istituzione dei famosi “corsi” (articoli 8 e 9).
   La iattura dei “corsi” prosegue naturalmente ad essere menzionata fino alla nausea: infatti è il succo del discorso per chi si prefigge di prendere in mano la direttiva assoluta sulla caccia in Italia.
      L’ISPRA giudicherà pure sull’equipollenza dei titoli abilitanti secondo i “corsi che debbono essere di sua piena soddisfazione” (art. 18).
   Poi si comincia a parlare di graduatorie per l’accesso agli abbattimenti e si comincia a edificare tutta quella burocrazia venatoria che impera ormai da anni nel bolognese e che i colleghi cacciatori di laggiù hanno dovuto subire, “bevendo il calice fino all’ultima feccia”, essendo incapaci a ribellarsi.
   Un’altra cosa che ritengo inaccettabile è scritta all’art. 20, dove si stabilisce che “I cacciatori iscritti e ammessi agli ATC appartenenti alle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale che partecipano alla gestione degli ungulati (leggi URCA), sulla base dei criteri fissati dalla giunta regionale, possono essere esclusi dal pagamento della quota d’iscrizione o di ammissione all’ATC.”
   Questo è un privilegio indecoroso che contribuisce a consolidare l’idea dei cacciatori di selezione come qualcosa di speciale e di rango superiore, mentre essi sono cacciatori come tutti gli altri, come tutti noi. Si tratta solo di gente che si dedica ad una forma di caccia piuttosto che ad un’altra, per cui costoro valgono né più, né meno di un cacciatore di quaglie o di beccacce. Assolutamente non si devono ammettere discriminazioni del genere.
   All’art. 23 dove si parla del “Piano di gestione quinquennale” (i “piani quinquennali” a chi scrive suscitano sempre reazioni allergiche perché sotto sotto, finisce che gli ricordano qualcosa di infelice nella storia …) si continua con un equivoco di fondo, vale a dire una voluta commistione tra caccia di selezione e abbattimenti per esigenze di controllo della fauna. Già i termini di “selecacciatori” e “selecontrollori” sono brutti neologismi, ma sarà bene che una volta per tutte, la Legge nazionale definisca con molta maggior chiarezza cosa sia una cosa e cosa sia l’altra, e non è detto affatto che il controllo della selvaggina debba essere  prerogativa dei “selecacciatori”, anzi, sarebbe il caso di tenere questi ultimi il più lontano possibile da certi ….”sacrifici” in favore della comunità, proprio per evitare tentazioni improprie. 
     Su questo equivoco infatti, si basano certe pretese e l’incredibile convinzione dei cacciatori di selezione, di essere una specie di Eletti dedita …..al volontariato sociale !
   I più semplici tra loro te lo dicono pure …
   Sempre in questo articolo 23, ad un certo punto è scritto: “Le squadre di caccia assegnatarie delle zone o macroarea il cui territorio ricade nella zona di controllo hanno l’obbligo di fornire il personale necessario al compimento dei censimenti.”
   E qui per me si tocca una questione di principio e si apre la stura al disgusto.
   In primo luogo stiamo parlando di attività ludiche e gli “obblighi” non sono graditi a chi ha solo (e dovrebbe avere) l’intenzione di divertirsi. La caccia non è un mestiere, almeno oggi in Italia, e i cacciatori non debbono essere obbligati a niente, specie in una situazione dove per andare a caccia ci costringono a tirare fuori tanti soldi. Che se ne occupino guardiacaccia e guardie forestali (se esistono ancora), magari con l’aiuto libero e volontario dei cacciatori, tanto meglio, per carità: chi vuol farlo, lo faccia.  Ma da libero, non da servo.
  E se proprio vogliamo inventarci qualcosa del genere, si lasci “l’obbligo” ai cacciatori di selezione, visto che costoro ritengono di essere gli specialisti di queste passeggiate campestri e si compiacciono di tali moti di pubblica generosità.
   Uno dei motivi per cui da subito, non mi è piaciuta la caccia di selezione è stato proprio l’obbligo di fare questi censimenti ridicoli (è molto difficile censire gli animali selvatici e ci vorrebbero dei biologi specialisti, soprattutto gente lontana da pregiudizi e ideologie) e tutto quel che ne consegue. Andare a caccia liberamente vale qualcosa, sottoporsi a tutti questi riti vuoti per poi vantarsi di aver fatto chissà cosa per la comunità è ben altro e - parlo per me – ribadisco di non averne nessuna voglia, in particolare se mi si parla di “obblighi”. Ho già detto che si tratta di una forma di caccia che non mi appassiona per niente, io al massimo ci starei per qualche colpo nell’anno, tirato in libertà, al solo scopo di procurarmi un poco di carne diversa e basta. Ma nell’impossibilità di cose normali, ne faccio tranquillamente a meno: lascio il campo e gli animali che vi pascolano a chi si diverte in tal modo, senza rimpianti. Le mie soddisfazioni di tiro me le prendo al poligono.
   Tuttavia il maggior  motivo dell’indignazione è quello relativo alle aree che si vogliono assegnare alle singole squadre di caccia al cinghiale per effettuare le battute.
    Ricordo quando tale coercizione venne imposta alle squadre della provincia di Bologna. Prima noi andavamo a caccia dove ci pareva, pur con i limiti di una provincia molto piccola e dal territorio non particolarmente bello, poi improvvisamente ci siamo ritrovati a cacciare in un buco dove era possibile fare solo 1-2-3 battute diverse, non di più e sempre lì.
   Inizialmente alcuni erano perfino contenti: così dove siamo noi – dicevano - nessuno ci romperà le scatole !  E poi siamo riusciti ad avere dalla provincia proprio un bel posto, meglio di quello degli altri ….!
   In realtà la caccia diventò presto noiosa e ci ritrovammo addirittura a stare di posta sempre gli stessi e sempre nello stesso punto: c’era la posta di Caio e quella di Sempronio e sempre quelle erano, quando si andava, già sapevamo a memoria dove metterci senza che alcuno più ce lo indicasse. L’Italia non è la Siberia o il Canada, i posti sono piccoli e un ATC bolognese non è altro che un buco.
   Ora chi conosce la caccia la cinghiale sa una cosa che fa parte dell’esperienza comune: per rifare una battuta fruttuosa nello stesso posto, debbono passare almeno 2 settimane. In altre parole non si debbono più disturbare gli animali almeno per una quindici di giorni prima di tornare lì, diversamente non ci si trova niente e gli animali poi si allontanano definitivamente se non hanno il tempo di riambientarsi.
  E invece eravamo costretti a tornarci al massimo la domenica seguente, oppure appena dopo qualche giorno. D’altra parte non c’erano altri posti dove andare: quello era il pozzo dove ci avevano calato. Così a volte non andavamo nemmeno.
   In questa situazione, cominciarono i borbottamenti e le malevolenze delle altre squadre che pure stavano subendo lo stesso trattamento. Ne sapevamo poco e sempre dopo, ma quello che si dicevano tra loro i Capisquadra era ormai improntato ad astio: voi state nel posto migliore, perché ? Non è vero, il posto vostro è meglio ! Noi qua non ci vogliamo stare ! No, voi dovete stare là, ed anzi noi vogliamo che la zona resti assegnata sempre a noi, ecc., ecc.
   Il risultato fu che si scatenarono odi e guerre, gettate perfino sul terreno della politica in quanto l’Appennino in Emilia Romagna, resta uno dei serbatoi elettorali più sicuri del locale partito di maggioranza, cosicché bastava (e basta) che “le squadre della montagne” volessero qualcosa contro “quelli della pianura” e borbottassero irati ai loro referenti della provincia, per ottenerla.
   Ricordo come andò a finire con la mia prima squadra locale. Il Caposquadra, estremamente ligio a qualunque desiderio della provincia pur di restare dove gli piaceva, un bell’anno di punto in bianco, fu “espropriato” e “trasferito d’Ufficio” perché il territorio dove cacciava la nostra squadra piaceva alla squadra di uno dei paesi della montagna inseriti nell’area …
   Negli anni la mia vecchia squadra si dovette allontanare sempre più da Bologna, e fu costretta anche ad accorparsi con un’altra, ma io già avevo fatto vela per altri luoghi.
   L’ATC vastese è tutt’altra cosa rispetto agli “ATC” della piccola provincia di Bologna: esso è ampio, dai territori boscosi e selvaggi ancora, è uno degli ultimi paradisi che ci sono rimasti.
    Qui, almeno fino a quest’anno, abbiamo sempre resistito a questa maledizione disgregatrice. Infatti le nostre squadre - ben 38 ! – sono sempre riuscite a trovare un loro passabile equilibrio e senza troppe liti. Riservatamente ognuna si è  accordata con le altre su dove cacciare, mai confinandosi da sole in pochi ettari, ma alternandosi e godendosi la varietà dei luoghi, delle battute e delle possibilità di preda.
   Io ho sempre detto ai miei compagni di caccia del vastese, mettendoli in guardia: Ragazzi, siate contenti di questa magnifica situazione e fate di tutto per conservarvela ! Io so che cosa accade dalle altre parti, specie nella provincia di Bologna e vi assicuro che se pure qua introdurranno certe idee, abbiamo finito di andare a caccia in pace e di divertirci !
   Ma già la malapianta cresce e qualcuno comincia a pensare che si potrebbe stare bene in un certo posto piuttosto che in un altro e che se agli altri cacciatori la divisione è andata male, pazienza ! Ce ne sta più per noi …
   Eh, no ! Non va bene: unione ed armonia sono i segreti delle grandi nazioni e di qualunque comunità umana.
    Mi si dica che bisogno c’era di venire a suscitare il malcontento e le discordie da queste nostre parti !
    E addirittura vengono per questo dall’Emilia Romagna e dalle Marche a far la corte ai nostri sprovveduti politici regionali ?!?!
   Già il fatto di non poter più cacciare liberamente in entrambi gli Abruzzi ci dispiace, e neppure possiamo più spostarci a nostro piacimento, nella nostra provincia di Chieti, e  adesso dovremmo chiuderci da soli  in qualche ettaro di campagna a morderci le mani ?
   No. Questa storia delle squadre detenute agli arrsti domiciliari non deve essere accettata a nessun costo, e sono veramente contento che finalmente qualcuno si è ribellato.
   All’art. 24, comma c) è scritto che i cacciatori che cacciano il cinghiale e i “selecontrollori”, se non si raggiunge quanto deciso per la prevenzione dei danni agricoli, “possono essere tenuti all’erogazione di un contributo economico al fine di concorrere agli oneri risarcitori conseguenti.”.
   Qui si entra in un altro … campo minato, visto che di attività in campagna stiamo parlando.
    Personalmente non capisco per quale motivo gli animali selvatici fanno i danni e i cacciatori debbono pagarli.
   Che li paghi la provincia ! E ed è ancora più giusto il concetto visto che oggi si moltiplicano animalisti di tutte le specie note e ignote, osservatori di uccelli, passeggiatori ecologisti e compagnia cantando. Se anche costoro godono della presenza degli animali selvaggi, che paghino anche loro !
   Ormai a Bologna per il diritto di cacciare il cinghiale nell’ambito BO3 che si rivolge all’Appennino, l’ATC menzionato chiede al singolo cacciatore 200 Euro per stagione venatoria. Altrettanto chiedono o sono costretti a chiedere, i responsabili delle varie squadre, poiché anche queste sono chiamate a far fronte a danni veri o presunti, creare recinzioni elettriche, ecc.
   Avete capito bene. A Bologna solo per il diritto di poter andare a caccia al cinghiale, bisogna sborsare 400 (quattrocento) Euro. E poi tutto il resto che sono costretti a pagare comunque  i cacciatori.
   Anche i cacciatori dell’ATC vastese vogliono ritrovarsi a pagare queste somme e a passare i giorni di caccia piantando paletti tra gli orti come accade tra i petroniani  ?!?!
   E bisogna anche intendersi di quali danni all’agricoltura si tratta.
   Nell’Appennino bolognese, fino ad alcuni anni fa, con il rimborso dei danni ci si andava “forte” e bastavano due metri quadrati di terreno seminato a foraggio o a granturco un po’ grufolati, perché la provincia erogasse somme molto consistenti ai postulanti. Quando però ci si è reso conto che a volte si trattava di “gonfiature” ad arte, (e soprattutto da quando sono diminuiti i soldi pubblici) alcune cose sono cambiate, ma sempre pagare bisogna.
   Per erogare fondi a rimborso occorrono buone e oneste perizie di esperti in agraria e, soprattutto,  criteri reali, altrimenti si corre il rischio che …ci si trovi come con le pensioni INPS di qualche nota parte d’Italia ….
   L’Appennino bolognese, salvo le zone pedecollinari  e quelle immediatamente collinari dove esistono culture vinicole, all’interno non è quasi più coltivato, salvo un poco di foraggio e un poco di mais;  a cavallo del bolognese e del modenese, esiste in qualche paese una pregiata coltivazione di patate e poi ci sono le onnipresenti castagne, ma ormai quasi tutte inselvatichite, e ridottissime, superstiti  coltivazioni di “marroni”.
   Tolte quelle particolari situazioni, i cinghiali arano campi e boschi con effetti che non interessano più a nessuno.
   La ricchezza del patrimonio faunistico del cinghiale è di gran lunga superiore a quelle poche grufolature. Il cinghiale è  animale di per sé prezioso sotto il profilo venatorio e alimentare ed è alla base di un notevole turismo, sia per caccia che per ragioni eminentemente gastronomiche. Per il vastese, come per tante altre zone dell’Appennino italiano, questo è un fatto e si sprecano ormai i piatti e i salumi “tipici”, allegramente consumati anche dai nostri beneamati animalisti (avevo un amico del genere, peraltro carissimo e rimpianto: anticaccia sfegatato con tutta la famiglia, se veniva a cena a casa mia, con tutta la famiglia, mangiava cinghiale a quattro palmenti, precisando però che ciò faceva perché ormai il cinghiale era morto, altrimenti mai e poi mai se lo sarebbe mangiato (per la cronaca: era un formidabile avvocato). 
    Ma in definitiva, torno a dire,  perché se gli animali selvatici fanno danni, questi debbono pagarli solo i cacciatori ?
    E poi solo i cinghiali fanno danni ? Daini e caprioli sono assimilabili sotto questo profilo alle comunissime capre e tutta la gente di montagna sa che le capre danneggiano fortemente  boschi e sottobosco, mangiando i germogli degli alberi e i fiori. Non a caso la Guardia Forestale contestava forti multe ai pastori che lasciavano andare le capre nei boschi, ma forse tutti ormai, se ne sono scordati …anche se eravamo la regione con il più consistente patrimonio pastorale d’Italia.
   Dunque bisogna stare attenti a queste pretese di rimborso di danni alle culture e comunque, che vadano a carico dell’intera comunità e non di una minoranza, cosa ingiusta e che sa di punizione, non è chiaro a che titolo.
   All’art. 26 si continua con la confusione tra caccia e controllo e si riprende con ipotesi sanzionatorie il caso di mancato svolgimento dei censimenti, l’obbligo di parteciparvi per le squadre oltre che per i “selecontrollori”. Ho già scritto cosa ne penso, ma se i “selecontrollori” vogliono assumersi questo obbligo, per quanto mi riguarda, essi sono liberi di farlo.
   L’art. 28 esclude la “braccata” (abbiamo visto che è la battuta al cinghiale) dove si deve eliminare la presenza dei cinghiali, si parla di “MA” (“macroaree”, tutte parole e sigle care ai burocrati che passano il tempo ad inventarsele, a creare acronimi, a collocarli negli “appositi” scaffali …).
   Ma perbacco ! Qui si parla di tutte le forme di caccia ammesse e si esclude la buona vecchia, efficacissima battuta !
    Eh ! Ma d’altra parte, i “tecnici” hanno detto che le battute disturbano gli animali ! Anche il pisolino pomeridiano di certi falchi (non mi ricordo più quali, essendo di memoria labile per le assurdità) viene disturbato, secondo questi ineffabili signori, figuriamoci tutti gli altri animali !
      E poi più avanti (art.30) si comincia la solfa del “cane limiere”, animale che per essere autorizzato ad accompagnare il cacciatore individuale, deve essere laureato all’Università dell’ENCI (dopo il regolare superamento di tutti gli esami e la discussione della tesi, ritengo).
   Questa è un’altra di quelle aberrazioni che è lecito guardare con sospetto, trovando certi connubi – qui ISPRA / ENCI -  quanto meno discutibili.
   Prima di tutto richiamo il fatto che questo “cane limiere” (ovvero cane al guinzaglio lungo) secondo le opinioni di chi se lo è inventato, deve fare tutto, ma proprio tutto  quello …..che piace ad un cacciatore tedesco e austriaco, altrimenti “non è idoneo” !
   Ma le nostre tradizioni, specie nel Sud, non hanno nulla da spartire con le tradizioni di caccia teutoniche dove peraltro gli ambienti sono così diversi (foreste d’alto fusto quasi senza sottobosco, a differenza delle nostre selve dove il l’italico cinghiale alligna proprio perché selvagge ed inestricabili, tra roveti e fittissimo sottobosco).
   Di tutti i riti dei tedeschi, noi ce ne infischiamo. Buoni cani in grado di seguire un cinghiale ferito o di permettere una proficua caccia ad un cacciatore solitario, facendogli trovare con certezza un animale, ce ne sono sempre stati e buoni allevatori di cani del genere pure. A volte sono semplici bastardini che nessuno addestra, limitandosi a portarseli nel bosco, altre volte segugi più o meno puri, però abili e ben affiatati con il padrone.
   Ora, se io ho un buon “cane limiere” o un bastardo rognoso che però mi fa trovare l’animale che sto cacciando, che gliene deve importare – dico ! -  a tutto questo consesso di burocrati tedescheggianti  ?
   E perché me lo deve certificare l’ENCI ? Anzi questo è assolutamente “obbligatorio per le operazioni di controllo” !
   Mi sembrano quelle regole d’eleganza dei casinò, dove non si può entrare senza cravatta …..
   Il fatto è che se cadono simili proposte, gli “appositi corsi per conduttore di cane limiere” poi chi se li farà pagare ?
   Questo, credo, sia il punto sostanziale.
      L’art. 32 riprende la durata della stagione venatoria al cinghiale: o dal 1° ottobre al 31 dicembre, oppure quella classica e sempre rimpianta dove non più adottata, dal 1° novembre al 31 gennaio.
       Bene. Questo è il fatto su cui imperniare il discorso del controllo della specie: se si lasciassero stare immotivate rigidità, basterebbe prolungare un poco la durata della stagione e le battute (ripeto: le battute), per cui oltre un più lungo divertimento, si risolverebbe sicuramente la situazione della sovrabbondanza di cinghiali tanto temuta. Lasciamo stare dunque i “cacciatori di selezione” che debbono occuparsi di altro: ovvero di animali fragili e poco riproduttivi,  sicuramente non di cinghiali.
   Quando prolungare la stagione venatoria di caccia al cinghiale ? Si deve vedere in modo sperimentale nei singoli luoghi, stando però bene attenti a non distruggere un animale bellissimo da insidiare e che ha salvato la caccia in Italia quando non c’era più niente  !
   Ecco cosa è successo nel bolognese prima e dopo l’avvento della “caccia di selezione” e dopo la reintroduzione irresponsabile dei lupi (altra follia nata nei “salotti buoni”, ma non ne parlerò perché da buon abruzzese, avrei molto, troppo da dire sull’argomento,  cioè esattamente tutto il contrario di quanto è stato detto e scritto, alla base di certe iniziative).
   All’inizio io facevo parte di una squadra che era arrivata a prendere la bellezza di oltre 300 animali per stagione venatoria. Da quando è stata autorizzata la caccia di selezione e poi immessi i lupi, le stesse squadre di allora non arrivano a prenderne 100 da ottobre a metà gennaio, ormai attestandosi sui 90 circa  !!!
   Poi ogni anno vengono pubblicate ampie statistiche che descrivono veri ed ingiustificati massacri, lodandoli, per la soluzione del problemi dei danni all’agricoltura.
   Ma tasse e balzelli li paghiamo noi che cacciamo solo quei prescritti tre mesi a stagione, con ogni sorta di limitazione.
   Si vuole anche qui da noi, la riduzione ad un terzo del carniere a favore di privilegiati ?
   Che ci riflettessero bene i miei amici cacciatori dell’ATC vastese.
   L’art. 38 vuole limitare, non si sa perché, a non più di 10 cani le battute (ma loro le chiamano sempre “braccate”). In realtà solo i canai meglio esperti del territorio e buoni conoscitori dei loro ausiliari,  sanno quanti cani occorre mettere in campo per ogni battuta. Considerando il tipo di selve delle nostre parti con il folto sottobosco di cui abbiamo detto, i roveti, le forre, ecc., possono essere necessari molti più cani per ogni singola battuta. Inoltre i cani hanno varie specialità all’interno delle mute: pochi sono eccellenti capomuta, alcuni sono ottimi cercatori, altri instancabili inseguitori, altri ancora formidabili abbaiatori a fermo, ecc., ecc.  I cani poi si stancano, anche più di noi cristiani, e debbono essere nel caso alternati durante la caccia, cosicché a volte è necessario avere a diposizione più mute, come sanno tutti i canai e tutti i cacciatori di cinghiale.
   Per concludere: occorre lasciare al barcaiolo l’uso dei remi.
   Con l’art. 39 si mette bocca a tutta la gerarchia che dovrebbe avere secondo lor signori, ogni squadra di caccia al cinghiale, contemplando Capi e Vice capi che debbono avere ben precise qualifiche (leggi: “corsi” a pagamento).
   L’art. 43 impone severamente, l’estromissione di chi non è potuto andare a caccia in battuta, almeno 5 volte. Ho letto già altre volte di queste storielle, ma ribadisco: andare a caccia è un libero divertimento, oppure un obbligo professionale, per cui il datore di lavoro ci licenzia se manchiamo troppe volte dallo stabilimento ?
   Qui si è smarrito il buon senso e il rispetto delle libertà individuali: a caccia io ci vado quando mi pare !
   Inutile commentare articoli seguenti, dove sempre si fa confusione tra caccia di selezione (che pur sempre è una forma di caccia e quindi di divertimento) e controllo faunistico, cosa del tutto diversa.       Ma proprio da queste volute confusioni nascono presunti diritti e pretese di alcuni a danno di tutti, come ho già detto.
   Gli articoli seguenti insistono in un modo o nell’altro, su quel concetto di rinchiudere le squadre di caccia al cinghiale nelle apposite “celle territoriali” cui chi scrive è contrario e – nota con piacere – contrari tutti i  cacciatori vastesi, trattandosi della negazione della libertà e dello spirito stesso della caccia. 
   Potrei commentare ancora sugli obblighi relativi alle armi da adottarsi. La legge generale della caccia dice che si possono usare i fucili a canna liscia, i fucili a canna rigata (carabine) con alcune limitazioni (talune cervellotiche, ma non ne parlo) per i calibri di scarsa energia, gli archi ed i falconi. Punto e basta.
   Dà francamente fastidio che si indichi per forza quale tipo di arma impiegare per certi scopi e se dotarla di ottica o meno. Di sicuro anche per le cacce individuali al  cinghiale non ha senso imporre l’uso della carabina con ottica (addirittura con caricatori ancor più limitati rispetto alle disposizioni della legge statale): se si trova il cinghiale si spara a pochi metri nel folto e un’ottica può essere solo d’impaccio, specie se l’animale infuriato carica.
   L’unica cosa seria che mi sento di condividere in questo deplorevole Regolamento della Regione Abruzzo per la caccia agli ungulati è l’art. 69: “Durante la caccia collettiva al cinghiale è obbligatorio l’utilizzo di mezzi ausiliari di comunicazione nel rispetto delle normative vigenti per consentire una agevole comunicazione tra i cacciatori finalizzata prevalentemente alla prevenzione di incidenti connessi all’attività venatoria.”
   Finalmente è detto con chiarezza, ma si potevano usare frasi più semplici, che la radio rice-trasmittente non solo è utile, ma indispensabile a fini di sicurezza. Alla via così ! Ma fare tutto ‘sto trambusto per dire solo una cosa seria riguardanti le radioline, mi sembra eccessivo.
   All’art. 72 leggo una scemenza che un vero cacciatore di cinghiale rimarcherebbe aspramente: durante le battute è consentito abbattere le volpi. Ma scherziamo ?!
   Tutti sanno (i veri puristi, non quelli da salotto) che non si spara alla volpe quando si caccia il cinghiale perché si rovinano i cani da seguita. Certi Caposquadra, specie in Toscana, ti cacciano via all’istante, se osi sparare alle volpi.  Evidentemente chi ha scritto queste cose sa poco di caccia al cinghiale.
   Più avanti si ritorna sul “cane limiere” (art. 77) per imporlo durante le “girate”, così bisogna “abilitare” per forza  quel povero cane per poterlo impiegare, e perdere tempo e denaro.
   L’art. 80 nel menzionare i calibri ammessi per le armi rigate, riprende la stucchevole faccenda delle “munizioni atossiche”, ovvero recanti proiettili privi di piombo.
       Questa storia è da qualche anno che fa il giro d’Italia, eppure nemmeno la Regione Emilia Romagna (e ce ne vuole !!!) si è ancora sognata di imporre questo genere di proiettili.
    Vi sono molti studi che negano la tossicità del piombo in così piccole quantità legate alle armi da fuoco e in ogni caso certi divieti ebbero origine negli Stati Uniti in merito alla caccia agli uccelli acquatici in alcune paludi. Per il resto il discorso non ha alcun senso, ed il piombo si trova in natura nelle sue forme minerali che non hanno mai sterminato nessuna specie vivente.
   Naturalmente è inutile affrontare discorsi del genere con certe platee, ma si osserva che mentre non sono mai stati provati effetti patogeni legati all’uso dei proiettili delle armi da fuoco, è controverso l’effetto di balistica terminale dei proiettili privi di piombo. Si tratta comunque di munizioni assai costose, la cui imposizione non ha semplicemente senso, che in molti casi limitano l’efficacia lesiva dei proiettili da caccia, oltre causare problemi anche di balistica interna ed intermedia (proiettili in materiale troppo leggero), rigature classiche delle armi commerciate non sempre adeguate a certi tipi di munizioni, ecc.
   Insomma, si tratta null’altro che di un puntiglio lasciato vincere agli “ambientalisti” che forse si ricrederebbero se gli si dicesse come in diversi casi gli animali colpiti a caccia sono di difficile recupero e muoiono dopo lunghe e inutili e peregrinazioni. E’ inoltre vero che proiettili del genere spesso si rivelano poco espansivi e perciò sono più pericolosi.
   A proposito, tra le tante sciocchezze che propagano gli “esperti”, vi è la leggenda che l’uso della carabina nelle battute al cinghiale sarebbe preferibile a fini di  sicurezza (taluni arrivano a proporlo come obbligatorio !) in quanto i  proiettili da canna rigata si frantumerebbero minutamente su qualsiasi  bersaglio, annullando i rischi dei rimbalzi.
   In realtà i più recenti e approfonditi studi balistici tedeschi, proprio in ambito venatorio, hanno dimostrato che il rischio di rimbalzo dei proiettili da carabina è uguale a quello da canna liscia. In più esiste, quello sì maggiorato, il rischio legato al forte aumento delle portate (anche più di 5000 metri per i medi calibri da carabina, a fronte di circa 1500 metri per le palle uniche da fucile liscio).
   E’ chiaro che finché la legge ci permette ancora di scegliere, ognuno potrà regolarsi su quale arma usare in battuta, per cui se la carabina affascina chi non ne ha mai avuta una sinora, o chi crede in buona fede che sia l’arma preferibile, che faccia pure !
   La sicurezza a caccia al cinghiale, dipende dall’intelligenza e dall’esperienza del cacciatore e dalla buona e rigorosa organizzazione della battuta. Se devo trovare un pesante difetto al nostro modo di cacciare è il disordine e le troppe iniziative personali dei singoli componenti che a dispetto di ciò che credono, va a detrimento pure del risultato della caccia.
   Nella mia vita professionale, ho fatto molte perizie e consulenze tecniche in materia balistica e sugli incidenti mortali o i ferimenti di caccia, altre ne ho in corso (una proprio sul rimbalzo mortale del nucleo di piombo di un proiettile cal. .30-06), e posso assicurare che differenze tra carabine e fucili a canna liscia non ne esistono, anzi, gli incidenti più terribili li ho veduti proprio derivare dall’uso allegro delle carabine, sia per colpo diretto che indiretto per rimbalzi, dunque so di cosa parlo e le mie Relazioni sono depositate nei Tribunali di quasi tutta  Italia.
   Esperti italiani preparati e autorevoli, che hanno scritto su questo tema sono il famoso Giudice Edoardo Mori di Bolzano, nonché Vittorio Balzi che ebbe a pubblicare qualche tempo addietro, una eccellente disamina sulle munizioni da carabina nel sito della Benelli di Urbino.
   Il comma c) dell’art. 102, apre un curioso tema di attualità, vista l’occhiuta sorveglianza dello stato in materia fiscale. Per le spoglie degli ungulati cacciati il Regolamento ammette che si possano vendere e parla chiaramente di “commercializzazione, ovvero cessione con l’obbligo di conferimento presso un centro di lavorazione carni.”
   Effettivamente nel bolognese oramai hanno stabilito anche questo, ma con quale regime fiscale avverrebbe la “commercializzazione” ?
   Lascio ovviamente a questi Soloni il problema, ma osservo, sempre disgustato, che la caccia è una cosa e il mestiere di macellaio che essi desiderano esercitare, è un altro.
   Ora mi sono stufato di leggere sciocchezze e provocazioni, rinnovo soltanto le mie proteste per l’art. 108 dove addirittura si legge che le abilitazioni dei cani da traccia deve essere rinnovata ogni 3 anni.
   Ma stiamo scherzando, a queste cose porta la voglia di far soldi alle spalle dei cacciatori ?
   Concludo con il commento ad un’osservazione non mia.
   Un mio carissimo amico d’infanzia, compaesano e abilissimo cacciatore, infinitamente più bravo di me, ascoltando le mie parole di protesta con la faccia sempre più nera, a un certo punto dopo avermi vigorosamente controbattuto su molti punti, urlando come un ossesso, mi ha detto: ma insomma, il nuovo Regolamento rispecchia gli indirizzi della normativa nazionale sulla caccia, lo vuoi capire o no !?!?
   Abbiamo litigato, come possono fare due vecchi amici di una vita davanti a cose sentite e sofferte nell’intimo, ma gli ho risposto urlando anch’io, che non me ne importava niente.
   Io la penso in questo modo, e sono contento che finalmente qualcuno si è ribellato e voglio contribuire ad una protesta che amerei si estendesse ai cacciatori di tutta Italia. Il mio amico ha finito per dirmi che tanto non succederà niente e che le squadre del nostro ATC vastese saranno facilmente sconfitte e l’ATC commissariato, lasciandoci tutti con un palmo di naso.
   Forse succederà così, ma una bella battaglia perduta vale lo stesso qualcosa e i politici se hanno a cuore anche i nostri voti, farebbero bene a darci ascolto ogni tanto, se non altro per cercare di capire le nostre ragioni che invece, pare, non interessino a nessuno.
  
                                                                             Corrado Cipolla d’Abruzzo

4 commenti:

  1. Bisogna... Che ogni cacciatore dirigente politico legga con attenzione questa lettera...

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    1. Così si fa proprio una bella idea dei cacciatori e chiude per sempre la caccia ...

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  2. OVUNQUE SCRIVO LUNGHI SERMONI IN UN PESSIMO ITALIANO,MA CON QUESTO TUO LUNGHISSIMO RESO CONTO DEI FATTI ATTUALI SULLA CACCIA IN TOTO IN ITALIA MI TOCCA INCHINARMI PER LA PRIMA VOLTA IN VITA MIA E DICO BREVEMENTE E SEMPLICEMENTE :SEI GRANDE !!!!

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  3. OVUNQUE SCRIVO LUNGHI SERMONI IN UN PESSIMO ITALIANO,MA CON QUESTO TUO LUNGHISSIMO RESO CONTO DEI FATTI ATTUALI SULLA CACCIA IN TOTO IN ITALIA MI TOCCA INCHINARMI PER LA PRIMA VOLTA IN VITA MIA E DICO BREVEMENTE E SEMPLICEMENTE :SEI GRANDE !!!!

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