DIVAGAZIONI SULLE ATTUALITA’ DELLA CACCIA IN
ITALIA E CONSIDERAZIONI SULLE RECENTI VICENDE
NELL’AMBITO DI CACCIA VASTESE
Sono
rimasto spiacevolmente colpito da quanto sta accadendo nella realtà abruzzese con l’imposizione del nuovo
Calendario venatorio, in specie quello che riguarda gli ungulati, ma allo
stesso tempo un sussulto di orgoglio mi ha preso allorché ho saputo come hanno
reagito i cacciatori di cinghiale dello ATC vastese, unici in Abruzzo e in
Italia, ad essersi finalmente ribellati dopo anni e anni di un crescendo di
continue vessazioni. Si sono ribellati in modo un po’ disordinato, forse
intempestivo, ma infine, si sono ribellati !
EVVIVA
! E’ l’unica regione, anzi, molto meno, è l’unico ATC che non si è limitato a
borbottare come fanno tutti, ma concretamente ha dove i cacciatori hanno
protestato all’unanimità e le 38 squadre di caccia al cinghiale si sono
rifiutate di farsi registrare per essere rinchiuse in un recinto, come vorrebbe
chissà chi.
Debbo spiegare che parlo da una
posizione che mi ha permesso di capire fin dall’inizio e a fondo, cosa si stava
delineando nel mondo della caccia italiana. Infatti io cacciatore di Vasto, in
provincia di Chieti, per ragioni professionali, ebbi a trasferirmi a Bologna
sul finire del 1977 e solo dopo un percettibile lasso di tempo, cominciai a
prendere contatto con il mondo venatorio di quell’altra realtà, quindi fatte in
loco nuove amicizie utili, ripresi finalmente ad andare a caccia. Ero rimasto
tuttavia legato alle mie origini e di seguito, ripresi a cacciare anche nei
miei territori abruzzesi (le poche volte che
il lavoro mi permetteva di tornare nelle mie parti), ben presto potendo
comparare le due diverse realtà alla luce delle bruttissime novità di quegli
anni.
Avevo
lasciato una situazione “pre-94” e mi ritrovai a dovermi confrontare con
un’epoca profondamente cambiata dove la caccia ormai era malvista ed avversata,
sì da aver suscitato una legislazione tanto stupida quanto apertamente
boicottante. Da quegli anni della svolta infatti la normativa venatoria è stata
sempre peggiore, sempre più vessatoria e sempre più cretina perché prodotta in
un clima politico nemico e tradotta da gente incompetente oltre che
maldisposta. In più, alle leggi dello
stato si sovrapponevano come chicchi di grandine, disposizioni cervellotiche a
livello locale, regionale e provinciale, gioco che sarebbe continuato nel
tempo, condito da qualche mal recepito principio della comunità europea
(importati i divieti, ignorati i vantaggi).
Sappiamo tutti che cosa ha provocato un tale stravolgimento: la prima e
più grave conseguenza è stata l’abbandono progressivo della caccia dai due
terzi dei cacciatori italiani a causa della burocratizzazione sovietica,
dell’aumento mai visto delle spese imposte e della pioggia di proibizioni
troppo spesso assurde, sulle specie cacciabili ridotte a pochissime varietà. E’
stata inoltre condotta una assillante campagna anticaccia nell’opinione
pubblica per attaccare e denigrare con ogni mezzo, tutte le attività venatorie,
fino ad una vera e propria “dannazione della memoria” per farla scomparire dal
sentimento comune delle popolazioni e con il dichiarato proposito di abolire
per sempre la caccia in Italia.
Potrà
sembrare strano che io ora richiami un fatto all’apparenza – ma solo
all’apparenza – insignificante, ma
secondo me questo è stato emblematico e si è rivelato uno dei colpi più
tremendi al mondo della caccia: il divieto sempre più esteso e sempre più
assillante, di recare il fucile in spalla “nudo”, così com’è.
Ai miei
tempi si andava a caccia o si tornava a casa, con la doppietta a tracolla, e
con quella si andava al bar ed all’osteria, a piedi, in bicicletta e in
motoretta e …a cavallo ! Quando ci si fermava a far due chiacchiere, si
appoggiava il fucile al muro un attimo e magari ci si beveva un bicchier di
vino e ci si scambiava una battuta, o si faceva una partitina a carte. Ricordo
benissimo da bambino e da ragazzo i vecchi cacciatori che tornavano con la
doppietta in spalla all’ora di pranzo, o verso sera, in una stagione venatoria
che durava dalla fine di agosto alla primavera successiva, e noi bambini e
ragazzi guardavamo affascinati quel lungo, meraviglioso fucile dalle canne nere
e rilucenti, sognando di poterne avere
prima o poi uno anche noi per uscire in campagna a far la posta agli uccelli, a
tirare alle lepri e a camminare felici con quell’amico fidato che potevamo
portare dappertutto, senza che alcuno ci facesse osservazioni. Ogni casa aveva
un fucile da caccia, quasi sempre ben esibito, talora in un armadio a portata
di tutti, perché il fucile era un
oggetto normale di una vita normale di gente normale.
Guardate cosa accade oggi. Le leggi progressivamente, ci hanno imposto
di nasconderlo sempre alla vista degli altri. Quasi dovendosi vergognare di
possederne uno, dappertutto bisogna “tenerlo in busta”. Una volta era d’obbligo
trasportare il fucile scarico ed in custodia solo in automobile, oggi non si
può nemmeno attraversare una strada provinciale con il fucile “nudo” ché se ci
vedono, chissà cosa ci accadrà … Non ne parliamo se qualche cacciatore se ne
tornasse bel bello come allora, al paese con la doppietta in spalla: mi
immagino chi fugge di qua, chi di là, le urla isteriche delle donnette, e poi
le sirene delle macchine dei Carabinieri, della Polizia, e poi, e poi, magari
anche le notizie a sera sul telegiornale: nuovo successo delle Forze
dell’Ordine, bloccato ed arrestato un pericoloso delinquente armato !
Effettivamente il mondo è impazzito.
Bene
questo occultamento forzato dei nostri amati strumenti di piacere è stato un
colpo basso atroce ed oggi, pure con la scomparsa del Servizio Militare di
Leva, molti giovani e ragazzi non sanno neppure cosa sia un fucile, né hanno
più visto neppure una cartuccia !
Io
insegno Medicina Legale all’Università, sono un patologo forense ed un esperto
balistico, perito presso il Tribunale di Bologna ed esercito in tutta Italia,
così mi sono dovuto abituare a sentirne di tutti i colori: uomini, e non più
ragazzi, di quasi 30 anni che non hanno mai visto un’arma da fuoco e neppure
una volgarissima cartuccia da caccia, cosicché non te la sanno neppure
descrivere agli esami tra balbettii inarticolati.
Insomma, gente che fa pena e non si sa da dove viene.
Ma
allora, come si possono avvicinare alla caccia le nuove generazioni se gli si
urla fin da piccoli a scuola, in televisione, dappertutto, che si tratta di una
cosa malsana di cui non si deve parlare,
che prevede l’uso di un oggetto abominevole che non deve neanche essere
visto perché TABU ?!
E
pensare che uno dei più bei divertimenti è tenerlo in mano o in spalla il
nostro fucile, goderne il possesso, accarezzarlo, fieri del tipo scelto,
orgogliosi delle sue caratteristiche o dei bei fregi che reca ! Sentirne la
voce potente e autorevole ! E che divertimento è osservare il fucile degli
altri cacciatori, valutarne il genere, il modello, la finezza di fabbricazione,
lo stato di conservazione, il calibro !
Per
quanto mi riguarda, uno dei miei piaceri, io cacciatore di cinghiali di vecchia
data, era sempre stato quello di
osservare con occhio competente, le armi dei colleghi quando ci si radura prima
della battuta, ma ormai tutti lo tengono occultato nel fodero infame, costretti
ad estrarlo solo quando si trovano alla posta assegnata, per rimetterlo subito
in quel carcere portatile appena arriva il segnale che la battuta è finita !
Non si
venga a dire, ipocritamente, che è per motivi di sicurezza. Qui la sicurezza
non c’entra affatto e un fucile scarico, all’occasione aperto, non è più pericoloso
di un bastone rotto.
No. È solo per mortificarci. È
l’estremo insulto verso di noi e il nostro
mondo.
Non
vado oltre, né citerò le stagioni di caccia dimezzate, la pratica scomparsa
della caccia alla selvaggina migratoria: qui vale il detto parafrasato di
Epicuro: “non si deve aver paura della morte: quando lei c’è, noi non ci
siamo,quando noi ci siamo lei non c’è “. Ovvero: quando la selvaggina migra in
Italia per andare in Africa, noi non possiamo cacciarla perché la caccia è ancora chiusa, quando al ripasso torna dall’Africa
la caccia è già chiusa.
Naturalmente gli stranieri ridono: è tutta roba che finisce solo nei
loro piatti perché loro possono cacciarla !
Oggi
siamo ridotti a poche centinaia di migliaia, tutti in età non più verde e in
rapido calo e ogni giorno con un divieto
in più, sempre con un’ambascia maggiore, sempre con più forti spese che stanno
facendo tornare la caccia al Medioevo, allorché solo il feudatario poteva
cacciare. Il popolo poteva assisterlo e fargli da cane di riporto mentre egli
si divertiva, se bracconava si poteva sempre impiccarlo alla prima quercia. Sta
tornando questa situazione, ma oggi non conta più nemmeno la nobiltà del
sangue, conta solo il denaro e si può divertire solo il ricco, tutti gli altri
debbono stare a guardare.
La
burocratizzazione ridicola della caccia ha moltiplicato le spese in maniera
vergognosa, complicando le regole ad arte onde estorcere ai cacciatori sempre
più denaro per soddisfare bisogni inventati e clientelari, affari equivoci e
mantenere aperti uffici e istituzioni inutili.
Per
inciso, addirittura grottesco è il Tesserino che viene fornito ai cacciatori
dell’Emilia Romagna e dunque anche a me: un vero e proprio libro da tirarsi
dietro in una tasca capace, dove segnare anche se quella mattina si è bevuto il
cappuccino al bar o solo un caffè. Alcune disposizione peraltro non sono ben
chiare, vedi l’annotazione del giorno di caccia negli ATC utilizzati ove se ne
è ottenuti più d’uno. E’ fatto di carta
speciale e costa un mucchio di soldi, quei soldi che sono nostri e che ci
vengono presi anche per cose del genere.
Tutte
le volte che vado in Toscana, il Capocaccia quando all’inizio di stagione, gli
esibisco quella bibbia, prima strabuzza
gli occhi e poi ride: loro ne hanno uno sintetico ed altrettanto utile, ma
sanno che i bolognesi sono …tipi ameni !
Finora
l’ATC vastese ha potuto contare su un Tesserino della caccia normale e ben poco
costoso, ma chissà cosa avverrà se pure qui bisognerà adeguarsi agli usi emiliani,
utilissimi a far girar quattrini.
Un
altro colpo atroce alla caccia in Italia è stato il relegare il cacciatore in
un buco e mantenercelo a forza (naturalmente i ricchi possono pagarsi più di un
territorio e possono, soprattutto, andarsene all’estero il che è rimasto
l’unica vera possibilità di sfogare la nostra passione).
Anche
se tutti fanno finta di esserselo dimenticato, esistono attività umane che non
si possono relegare in un posto. La caccia, la pesca e la pastorizia sono
attività per loro natura nomadi e per sopravvivere, i cacciatori debbono
seguire gli animali e i pescatori i pesci nelle loro migrazioni, i pastori
debbono potersi recare con libere transumanze ovunque ci siano buoni pascoli
per la stagione.
Racchiudere tali individui in un
posto è farli morire: sterminarono i pellerosse chiudendoli nelle riserve.
Come
si è potuto arrivare rinchiudere i cacciatori, visto che di questo stiamo
parlando, in un buco addirittura ancor più piccolo delle province (gli “ATC”,
ovvero secondo le indispensabili espressioni della burocrazia: “Ambito
Territoriale di Caccia”) ?!?!
E’ una
vecchia polemica rimasta insoluta per l’inattività o l’insipienza delle nostre Associazioni nazionali che
seppero solo soccombere a questa impostazione.
La
nostra Licenza di Porto di Fucile - ora non più “anche” per caccia, ma solo per
caccia, formula per nulla insignificante e pregna di sgradevoli conseguenze –
ci permetterebbe di andare a caccia in tutta Italia, invece possiamo farlo solo
in un ristrettissimo territorio dove abitiamo e pagando laute tasse locali,
ristrettissimo territorio ricavato facendo a pezzetti le province. Se si vuole
andare da qualche altra parte occorre chiederlo formalmente e se accettati
dallo “stato estero” prescelto, dobbiamo pagare altre tasse locali. In teoria
potremmo ancora andare a caccia in tutta la nazione, ma impedimenti burocratici
a parte, occorrerebbe la borsa di un Creso per farlo.
Dunque
con tutte queste brutte sorprese ebbi a dovermi confrontare quando ripresi ad
andare a caccia dalle parti di Bologna e poi tornai qualche volta nei luoghi
d’origine che avevo percorso in ben altre e più felici situazioni.
Ma il
peggio doveva ancora venire.
E
il peggio arrivò sotto forma della
“caccia di selezione” e di INFS (allora: Istituto Nazionale per la Fauna
Selvatica, oggi ISPRA : Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale).
Per la
prima iattura occorre dire che si erano diffusi sempre più gli ungulati, cosa
encomiabile e frutto di rispettabili iniziative, ed era evidente che per la
caccia a questi animali avrebbero dovuto adottarsi criteri diversi rispetto
alla comune selvaggina, cosa del tutto ovvia e condivisibile.
Pertanto all’inizio non sembrava tutto male, ma presto le cose si
rivelarono per quello che erano: il male allo stato puro.
Se
fossi chiamato a scrivere io una normativa apposita sulla caccia di selezione,
esordirei così: “art.1: E’ tollerata la caccia di selezione agli ungulati con
l’eccezione inderogabile della specie sus scrofa (cinghiale).”
Poi
vedremo i perché di tale mia convinzione.
Ricordo
che venni caldamente invogliato a seguire il “corso” di cacciatore di selezione
da un armiere mio conoscente il quale tanto fece e tanto insistette che alle
fine mi convinse, quanto meno “per vedere di cosa si trattava”, come tornava a
ripetere ascoltando le mie perplessità.
Ciò
avveniva nell’ambito dei primi “corsi” indetti dalla provincia di Bologna che
così esordiva nelle circostanze ed era senza dubbio una novità.
Nessuno
però aveva fatto osservare che la Regione Emilia Romagna era forse la prima ad
inventarsi questa faccenda dei “corsi”, seguendo una sua nota tendenza: quella
di introdurre per prima, tutte le novità, in qualsivoglia ambito, tanto da aver
fatto passare il detto che l’Emilia Romagna vuole sempre essere “la prima della
classe” (non importa se a proposito o quasi sempre a sproposito, agli emiliani importa solo essere “i primi”).
Peggio:
nessuno aveva detto ai cacciatori non che esisteva alcun obbligo di “apposito
corso” per cacciare gli ungulati. Eppoi,
sarebbe bastato seguire la normativa nazionale che non ha mai previsto corsi
del genere, completando con qualche spiegazione in più, l’esame generale per
ottenere la Licenza di caccia e integrando con qualche opuscolo da distribuirsi
ai cacciatori della vecchia generazione come me. Però venne fatto intendere che
senza quel benedetto “corso” non si sarebbe potuta esercitare quella
affascinante novità venatoria: la caccia gli ungulati con la carabina che
doveva essere al massimo, a ripetizione semplice e “munita di ottica di
puntamento”.
Io
feci quel corso con uno spirito, non lo nego,
molto “sportivo”, pagando naturalmente, la quota per nulla modesta che
veniva richiesta per partecipare alle lezioni ed avere i libri previsti. Ma non
ero per niente convinto, quanto meno della sua impostazione.
Qui
occorre che io faccia un’altra digressione.
Per la
quasi totalità dei cacciatori italiani quella fu l’occasione per familiarizzare
con armi mai viste e mai usate prima,
fatte salve le eccezioni della caccia alpina praticata da pochissimi: le
carabine. Questo suscitò sorpresa ed entusiasmo e ci fu una notevole
vivacizzazione del mercato delle armi sportive: cosa che fece molto bene alle
tasche dei produttori, dei grossisti e degli armieri, che si erano dovuti
abituare alle magre vendite degli anni precedenti.
Fin
qui, tutto bene, anche se il “corso” non poteva pretendere con qualche ora di
lezioni confuse da parte di persone con poche e dilettantesche competenze, di
formare degli “esperti utilizzatori di armi rigate”, come taluni hanno subito
creduto, cominciando ad esprimersi con ridicola prosopopea, quando incontravano
gli altri cacciatori, quelli “normali”, intendo.
In
quanto a me, avvicinatomi per pura curiosità, non avevo ambizioni venatorie in
tal senso perché non mi interessava né
mi interessa, sparare a sangue freddo, da 150-200 metri di distanza, contro un
animale inoffensivo che tranquillo su un prato, sta pascolando nella pace di un
tramonto. Ma non esito a dire che queste sono le mie personalissime opinioni e
non ho nulla in contrario che alcuni si divertano in tal modo: la caccia si può
esercitare in una infinità di modi e di luoghi, io cerco emozioni forti, altri
inseguono sensazioni diverse, più consone al loro carattere.
Inoltre
per spiegare meglio la mia posizione, è bene che dica che io per passione e
quindi per professione forense, sono
buon conoscitore di armi e munizioni e contrariamente ai più, “sono nato con la carabina” avendo preso il
Porto d’Armi “anche per uso di caccia” come era una volta, a 16 anni, usando da
subito le carabine nella caccia al cinghiale. Ma sia sulle armi d’uso
venatorio, sia sulla caccia al cinghiale tornerò.
Dunque
per me trattare di armi rigate e di calibri per caccia, difesa o per uso
militare, non si trattava di novità e quando voglio tirare con la canna rigata,
me ne vado in poligono dove provo con sommo gusto, carabine da caccia ed
ex-ordinanze dei bei tempi che furono, ricercando le mie soddisfazioni sui
bersagli di carta e quasi mai senza uso di ottiche di sorta.
Infatti
per me le emozioni della caccia sono tutt’altra cosa, legate alle mie
tradizioni italiche.
Ricordo
che una delle cose che mi fece sorridere e poi ridere in quel “corso”, fu
quanto ebbi a sentire nell’ultima lezione: vi si parlava di vestiti in loden
che sarebbe stato meglio indossare quando si pratica la caccia di selezione
agli ungulati, di deporre frasche sulla preda appena uccisa e, addirittura
….del minuto di silenzio che la tradizione prescriveva di osservare in omaggio
alla selvaggina abbattuta.
Ma
quale tradizione ?!?
Ma perché noi dovremmo adottare tradizioni
straniere e scimmiottare austriaci e tedeschi ?
Siamo
forse tutti impazziti ?!
E che
c’entra come ci vestiamo e come ci comportiamo, purché rispettosi delle leggi
nazionali ?
E’ vero
che c’è gente che si veste come Coppi e Bartali quando fa un giro in bicicletta
la domenica, oppure da vaccaro americano per sparare armi a polvere nera, ma
…insomma - dico ! - siamo italiani ed un
po’ di serietà non guasterebbe.
In
quella occasione mi limitai sardonicamente ad osservare nel silenzio ispirato e
comicissimo della platea rapita, che sarebbe stato meglio non esagerare perché
noi italiani abbiamo un senso del ridicolo che gli stranieri non hanno …
Come
balistico forense, posso inoltre affermare di aver sentito dire ed di aver
letto tante emerite sciocchezze sulle carabine da caccia e sui calibri adatti
agli ungulati, proprio da questa razza di cacciatori e dai loro improvvisati
maestri. Nei poligoni noi appassionati di armi e tiratori siamo abituati a
considerare questi nuovi i cacciatori come dei simpatici incompetenti: vengono
muniti di carabine dell’ultimo modello, di cannocchiali costosi e di zaini (per
carità: esattamente identici a quelli che gli vengono mostrati alle lezioni,
onde poggiarci sopra le armi in prova e solo da poco e solo taluno, sa cosa è,
per esempio, un “rest”), ma soprattutto costoro recano strane idee e pregiudizi.Tuttavia
bisogna essere sinceri, per onestà
intellettuale: alcuni nel tempo si sono fatti una eccellente cultura oplologica
benché l’approccio della gran parte di costoro all’arma rigata resti tuttora da
“cacciatore”, vale a dire da utilizzatore di uno strumento di caccia e nulla
più. Insomma, la maggior parte ama solo la caccia ed il fucile o la carabina
serve loro per andare a caccia, punto e basta.
Esordirò allora nei commenti con una “bestemmia” che farà venire il mal
di pancia ai molti “esperti” che ritengono di saperla lunga in merito e di
poter insegnare agli altri.
In
Italia, ma anche in Europa, non esiste quasi selvaggina che non si possa
cacciare con un comune fucile a canna liscia cal. 12 caricato con le moderne
munizioni, sopratutto quelle caricate a palla.
Le
uniche eccezioni in merito sono rappresentate dalla caccia al camoscio ed allo
stambecco che richiedono tiri lunghissimi in alta montagna, e vi si potrebbe
aggiungere il muflone.
Diversamente tutti gli animali a pelle morbida da noi si possono
uccidere agevolmente alle brevi distanze cui si lasciano spesso avvicinare con
un po’ di accortezza, adoperando comuni fucili a canna liscia. Perfino nelle
zone tropicali solo i pachidermi richiedono davvero l’uso delle carabine e
neppure esclusivamente di grosso calibro, se oggi non fosse proibito in Africa
l’uso che si faceva una volta dei calibri medi d’origine militare da parte di
cacciatori professionisti, quelli che contavano le prede abbattute a migliaia,
magari solo per l’avorio.
In genere un animale qualunque a pelle morbida
che può essere avvicinato dal cacciatore ad una cinquantina di metri, può
essere abbattuto senza troppi problemi con i normali fucili da caccia. Persino
un orso polare del peso di 6 quintali (sono stato nell’Artico: per difesa da
questo enorme e temibile predatore – il carnivoro più grande della terra - è
obbligatorio girare armati e tra le armi consigliate, figura anche il fucile a
canna liscia cal. 12) può essere spacciato da vicino con un buon fucile a canna
liscia caricato con le moderne munizioni a palla. Anche i grandi felini possono
essere uccisi con comuni fucili a canna liscia, purché a brevi distanze: ne
parlano famosi Autori americani come il Barnes. E’ noto peraltro come ancora
oggi è buona norma di sicurezza tenere a portata di mano doppiette caricate
addirittura a pallettoni, per la sicurezza del campo nelle zone dove ci sono
leoni, iene e leopardi.
In
quanto a me, passati gli entusiasmi e le voglie dell’età verde, sempre più mi
sono avvicinato al cal. 12, fino a sostituire del tutto l’arma rigata nelle
battute al cinghiale. La portata della canna liscia (50-60 metri) è largamente
sufficiente per tiri veloci che avvengono il più spesso, nell’ordine di qualche
passo, la potenza nel suo raggio d’azione è notevole e supera nettamente i 200
kgm nei calibri ordinari, anche ai limiti superiori della portata indicata, il
calibro del pesante proiettile (30-40 g a seconda dei tipi e dei caricamenti) è
molto grande (18,3-18,4 mm), la sua
precisione con le moderne cartucce a palla unica a quelle distanze è quasi
simile a quella di una carabina. Invece il peso di un buon fucile cal. 12,
semiautomatico, giustapposto o sovrapposto, è generalmente inferiore anche a
quello delle carabine di medio calibro, ma sopratutto il bilanciamento di
un’arma del genere è di gran lunga migliore e più favorevole ai tiri
d’imbracciata.
Quando
nel tempo passerà la fregola dei semiautomatici rigati, tutti pesanti
inopportunamente sul davanti, si vedrà
che i più accaniti cacciatori di cinghiale torneranno quatti quatti al vecchio,
caro, insostituibile trombone a canna liscia. Almeno per me è andata così, con
l’unica accortezza di usare canne corte e cilindriche, fatte apposta per il
tiro a palla: mi va benissimo il semiautomatico e adoro l’uso delle doppiette.
Devo
aggiungere che è difficile vedere animali anche molto grandi, non cadere di
schianto quando nelle distanze congrue, adeguatamente attinti da una buona
palla cal. 12, cosa che avviene in diverse occasioni con le carabine, specie se
si spara vicino, magari contro animali medio-piccoli, usando proiettili più
adatti agli animali grossi.
Per la
professione che esercito da tanti anni, e la passione per le armi sempre avuta
e coltivata, mi piacerebbe dilungarmi in merito a questo punto per spiegare sul
piano tecnico, le ragioni di tali fenomeni di balistica terminale, ma mi rendo
conto che qui non è il caso. Dirò una cosa soltanto: due sono le “teorie”
principali sull’efficacia terminale a caccia dei proiettili e dei vari calibri,
una è quella inglese che privilegia il proiettile grosso, lento e pesante,
l’altra è la teoria continentale, portata all’eccesso dagli statunitensi, che
vede favoriti i proiettili leggeri e veloci. Tralasciando altre considerazioni
accessorie e le molte disquisizioni sulla natura e sulla costituzione dei
proiettili, voglio però ricordare che gli inglesi hanno avuto fino ai agli anni
‘60 del 1900, uno dei più grandi imperi della storia che sotto il profilo
venatorio, comprendeva territori ove si potevano praticare le cacce più
emozionanti al mondo, primi tra tutti, le migliori e più belle regioni d’Africa
e l’India. Dunque gli inglesi, che peraltro sono gli inventori dei fucili da
caccia moderni, di caccia ne sanno qualcosa …..
E’
inutile aggiungere che io condivido le teorie degli inglesi per le cacce
pesanti e la caccia al cinghiale è una caccia che si può definire “pesante”
senza tema di cadere nel ridicolo.
L’imposizione delle carabine per la quasi totalità della caccia agli
ungulati sancita ormai da leggi e regolamenti, è spesso un abuso mentre
l’adozione di un ottica diventa realmente necessaria dopo i 100 metri,
naturalmente considerando soggetti dalla buona vista e allenati al tiro.
Chi
conosce la storia e la tecnologia delle armi da fuoco e delle munizioni, sa che
la loro evoluzione si è conclusa con il 1800. Tutto è stato inventato entro la
fine di quel secolo meraviglioso e il resto ha riguardato di fatto, solo i
materiali, in specie la qualità degli acciai, mentre addirittura le lavorazioni
sono via via peggiorate. In altre parole, dalla fine del 1800 o al massimo
dagli anni a caval del secolo, non sono stati più fatti progressi nelle armi
leggere, nelle artiglierie e per il rispettivo munizionamento. Il motivo è
semplice per le armi leggere: non vi è stata evoluzione della cartuccia
metallica (la “benzina” delle armi), semmai negli ultimi decenni vi è stata una
significativa evoluzione della cartuccia per arma a canna liscia e ciò ha
riguardato il bossolo ed il borraggio in materiale plastico che ha consentito
un notevole miglioramento della potenza, delle prestazioni in genere, nonché
dell’uso e della durata delle attuali munizioni.
I
calibri medi per armi lunghe rigate effettivamente utili a caccia sono
pochissimi e tutti inventati sul finire del 1800 o negli anni immediatamente
seguenti (ad esempio il 7 X 64 e qualche altro).
In
altri termini i cosidetti “calibri magnum” e tutti i numerosissimi calibri
inventati di recente in prevalenza dagli americani, e commerciati come il “non
plus ultra” per la caccia di questo o quell’animale, non servono …a un bel
niente !
L’unica
cosa cui potrebbero eventualmente servire alcuni di essi, sarebbero i tiri
lunghissimi in aperta pianura, in Europa inutili, inopportuni e anche molto pericolosi
per l’eccessiva antropizzazione. Diversamente servono ad impinguare le rendite
di chi li inventa e di chi costruisce e vende carabine così camerate e le
relative cartucce. Quasi di continuo “nascono e muoiono” nuovi calibri il cui
successo dura talora non più di qualche anno, per scomparire desolatamente alla
chetichella …
Per le
cacce europee e in molte altre zone del pianeta, un fucile rigato cal. 7 X 57 è
più che sufficiente, quando si può contare su buoni e vari caricamenti con
proiettili dal peso di 140 a 170 grani;
un raffinato che ci tenesse a voler sparare con un po’ di energia in più e tiro
un po’ più teso, può adottare con la massima soddisfazione, il cal. 7 X 64. E’
sparito per mere ragioni commerciali, l’ottimo cal. 6,5 X 54 Mannlicher-Schonauer.
Si potrebbe adottare per le cacce più pesanti, il buonissimo cal. 8 X 57 JRS
Mauser, oppure l’energico 9,3 X 62 ed il
9,3 X 74, quest’ultimo adatto ai basculanti. Sono tutte cartucce che hanno più
di 100 anni e sono le migliori di tutte, altro non serve. Se proprio si
vogliono usare calibri medi americani, talora più facili da reperire in giro
per il mondo, vanno benissimo il .30-06 (derivato dall’8 X 57 Mauser), e forse
più ancora il .270 Winchester, può
inoltre prendersi in considerazione il 7,62 NAT0 (.308 Winchester in veste
civile), specie per le carabine semiautomatiche, ma pur avendo il vantaggio di
essere ovunque comunissimo, non raggiunge i pregi del 7 X 57 Mauser.
L’uso
delle carabine monocolpo (ma anche express di medio calibro) o a ripetizione ordinaria non ha ragione di
essere imposto per la caccia di selezione come poteva forse essere un tempo, in
quanto la precisione delle carabine semiautomatiche moderne è di gran lunga più
che sufficiente alle esigenze di questo tipo di caccia, benché gli “esperti
legislatori” non l’abbiano ancora capito. Bisogna pensare che i russi da
decenni, utilizzano per i tiratori scelti in tutti i teatri di guerra proprio
un fucile semiautomatico ….
Queste
mie sono solo considerazioni leggere e personali “a macchia di leopardo”, però
esprimono le mie insofferenze per ogni sorta di imposizione in eccesso, di
divieto immotivato, di ingerenze inutili e pedanti nella mia libertà d’azione.
E’
ovvio che la caccia debba essere regolamentata ! Però che bisogni erogare minuziosamente disposizioni in merito
a tutto, anche a ciò che è opinabile, a
me fa rabbia.
A cosa
serve, per esempio, l’uso dell’ottica sempre e comunque, se con l’aiuto di un
cane, si sta seguendo un animale ferito per finirlo ? In tal caso si sparerà a
200 metri ?!? Oppure a 3-4 metri, tra le frasche ?
Ma
torniamo alla caccia di selezione così come è stata ormai impostata in Italia.
A parte
l’imitazione patetica di altri usi e tradizioni che dovremmo per forza adottare
onde far contenti i promotori di queste sciocchezze, perché tale forma di
caccia ha subito suscitato l’avversione mia e di tantissimi altri cacciatori,
specie se di vecchia data ?
I
motivi, come ho accennato sono molti, ma si riconducono tutti ad una prepotenza
di fondo subito manifestata dai cosidetti “cacciatori di selezione” i quali
singolarmente e tramite le loro associazioni,
hanno cominciato dall’inizio, a considerarsi una sorta di “élite”
rispetto a tutti gli altri, senza che se ne capisca il perché. In specie
l’URCA, costituitasi nel Nord Italia, pratica una politica aggressiva e
manifestamente “di conquista” verso tutte le regioni, a partire dall’Emilia
Romagna, e ora sono quelle del Sud a
stare nelle sue mire.
E’
accaduto che la caccia di selezione non si è voluta accontentare dei suoi
caprioli e dei suoi daini, dei suoi mufloni, e ora anche dei cervi, ma ha
cominciato immediatamente, a pretendere di estendere le competenze sui
cinghiali, contendendoli agli altri cacciatori.
E’
questo fa indignare sopra ogni altra cosa.
La
caccia al cinghiale non ha bisogno di alcuna “selezione” perché riconosce
criteri del tutto differenti, perché il cinghiale è una specie robusta e
prolifica ed ora fortunatamente abbondante, e infine perché questo animale in
Italia si è sempre cacciato da parte di tutti i cacciatori, con la tradizionale
battuta. Una forma venatoria, questa sì, profondamente radicata nell’italica
tradizione per la natura dei nostri territori, la non esclusiva esigenza di
armi specializzate e per il nostro carattere
esuberante di italiani. E’ infatti una forma corale di caccia grossa,
praticabile come si è detto, con armi d’uso comune, ancora ci riserva un pizzico di avventura per un animale
senza timidezze e perfino aggressivo
che suscita profonde emozioni, con il piacere del ritrovarsi insieme di tanti
cacciatori, l’uso di innumerevoli cani, urla, confusione, spari e divertimento
assicurato, in realtà, agli occhi di chi se ne intende, caccia con un ordine ed
un metodo impressionanti, simile ad una operazione militare in piena regola.
Ecco, a
noi piace cacciare il cinghiale così: nei boschi dei nostri climi, tra i folti
sottoboschi, con l’anima tra i denti alle urla dei canai ed allo sfrascare
della bestia che ci viene incontro e talora addosso !
Questa
è l’unica forma di caccia al cinghiale delle nostre tradizioni venatorie, prima
tra tutte quella nobilissima della Toscana, e se praticata sapientemente con
squadre ben affiatate, garantisce un proficuo bottino sempre democraticamente distribuito.
Non
ha nulla di raffinato, noi cacciatori di
cinghiali non siamo dei damerini, ma siamo cacciatori schietti e vogliamo
continuare ad esserlo, delle puzzette sotto il naso da “pervenu” ce ne
freghiamo, non portiamo “capi firmati” ma usiamo a caccia i vestiti più vecchi,
molti di noi hanno i calli alle mani, sono contadini, operai, pensionati dal
passato venatorio glorioso: la migliore e più bella compagnia che io possa
immaginare !
E
quando al ritorno dalla battuta, mangiamo tutti insieme quei piatti robusti che
da soli rozzamente ci cuciniamo, annaffiati da generosi bicchieri di vino, tra
rievocazioni del tiro fortunato, urla e battute grasse, ebbene, allora noi siamo felici e non vogliamo
tollerare eppure l’idea che altri da chissà dove, ci vengano a dire quel che
dobbiamo fare e a guastarci il divertimento.
Io non
a caso ho parlato di “battuta al cinghiale” perché questi “puristi” usciti da
non si sa quali salotti e non certo dai boschi con la faccia e le mani
graffiate, hanno cominciato a spiegarci che la nostra caccia si deve chiamare
“braccata” e non battuta, termine improprio, ecc., ecc.
Mi
fanno ridere, e mi ricordano i pedanti che disquisivano un tempo su tutte le
regole del duello, rendendolo sempre più grottesco, oppure i loro colleghi da
biblioteca che riempivano interi volumi e disputavano dottamente tra loro per
spiegare il vero significato di ogni particolare dell’araldica.
Insomma elucubrazioni di oziosi.
Ho
studiato anch’io. Conosco benissimo la differenza tra la battuta nobiliare dei
tempi che furono, con dame e cavalieri e la solita plebe in funzione servile, e
la “caccerella”, come venne così chiamata nel Lazio e nella bassa Toscana la
“battuta al cinghiale” che noi conosciamo perché riservata ai contadini e ai
loro cani dalla generosità del padrone, alla fine del divertimento dei ricchi.
Ma chi
scrive osserva che da molti e molti decenni in Italia, spariti i nobili e le
loro cacce sontuose, la “battuta ai cinghiale” è una sola, ed è quella che
conosciamo noi, con cacciatori, canai e battitori o braccali (quando nell’uso
locale, come in Toscana) e che così abbiamo sempre chiamato le nostre cacce al
cinghiale. Con buona pace di questi scocciatori della crusca.
Ora
perché dovremmo chiamarle “braccate” non saprei dire, ma gli snob mi sono
sempre stati antipatici.
La
battuta al cinghiale, dunque, la nostra tradizionale battuta al cinghiale, è il
tipo di caccia che si pratica in Italia per il cinghiale ed è il metodo più
adatto e più che sufficiente a “controllare” la specie, basta soltanto adattare
la lunghezza del periodo di caccia consentito alle situazioni locali e la libertà di accesso ai luoghi di
caccia, senza alcun bisogno dei cacciatori di selezione, con volute confusioni
normative tra caccia e controlli.
Infatti
in Emilia Romagna, non appena inaugurata la caccia di selezione ed estesa la
musica al cinghiale, si è assistito ad
un fenomeno degenerativo prevedibile.
E’
accaduto infatti che suscitando ad arte con articoli giornalistici e pubbliche
lamentele, la riprovazione generale sui danni provocati dai cinghiali, agli
inizi di ogni anno, e accarezzando il favore di gente incompetente – spesso
nemici dichiarati della caccia – i cacciatori di selezione si sono
immediatamente proposti per i “selecontrolli” (che modo rozzo di esprimersi !
Questo sì che è coniare in burocratese parole da buzzurri !) e si sono gettati
come lupi sui cinghiali, approfittando delle autorizzazioni della provincia.
Pertanto quando finisce la caccia regolare in gennaio, entrano in azione
costoro che fanno strage di animali fino all’estate, con mezzi talora
riprovevoli (a me è giunta spesso notizia dell’uso di fari abbaglianti in ore
notturne, ecc.) e si impadroniscono delle spoglie per vendersele allegramente a
privati e ristoratori.
Per la
verità, la cosa negli ultimi tempi è stata un po’ ridimensionata da più accorte
disposizioni sulla proprietà e l’acquisizione degli animali abbattuti, ma
tuttora i cinghiali sono oggetto di cupidigia da parte di queste persone e la scarsità
dei controlli favorisce una infinità di abusi.
In
pratica è successo che con la nuova pratica,
i cacciatori pagano tasse salatissime per i 3 miseri mesi di stagione
venatoria ed i sedicenti “selecontrollori” vanno a caccia tutto l’anno e si godono
gratuitamente divertimento e profitti.
Nella
provincia di Bologna ed in altri posti assoggettati man mano alla stessa
normativa, si è verificato il fenomeno di ex cacciatori (non vedo come definire
costoro che di sportivo non hanno più nulla) divenuti macellai professionisti
con notevoli guadagni, al punto che alcuni in un recente passato, si sono
dedicati interamente a questa attività licenziandosi perfino dai lavori
abituali e incrementando fortemente le loro entrate economiche. E pur essendo “autorizzati”
a fare tutto ciò, il limite tra il lecito ed il bracconaggio è talmente esile
da lasciare i veri cacciatori con la bocca amara.
Questi
abusi apparvero chiari fin da subito e ben presto furono oggetto di molte
proteste e perfino di un esposto alla Pretura (quando ancora esisteva)
purtroppo per noi finito male.
Infatti la lunga durata del periodo concesso a costoro per esercitare la
cosidetta “caccia di selezione”, la libertà di circolazione con le carabine
pronte, la sorveglianza che purtroppo si riduce, la libertà di sparare e di
abbattere ciò che vogliono, conduce ovunque a questa aberrazione.
Non
dico che tutti i cacciatori di selezione siano persone del genere, ma
l’occasione fa l’uomo ladro e visto che è successo in altre parti, non c’è
alcuna ragione di credere che in Abruzzo sarà diverso.
Oppure
non si può dire a questi ed altri tartufi, che il re è nudo ?!?
Ho
scritto prima che la diffusione degli ungulati nei territori italiani ha
imposto per forza di cose, regole diverse e ciò va riconosciuto, ma ribadendo
l’assoluta inopportunità ed estraneità della caccia di selezione per il
cinghiale, io non ho mai capito per quale ragione anche gli altri ungulati,
ormai sovrabbondanti quasi ovunque sul territorio nazionale, sopratutto i
caprioli, debbano essere riservati solo a questo genere di cacciatori.
Attesa
la situazione attuale, io penso invece che una monteria alla spagnola una
tantum, possa essere permessa in buona parte d’Italia: si stabilisce un giorno
all’anno in cui tutti i cacciatori possono sparare a tutti gli ungulati nel
corso delle battute, e non credo affatto che da ciò derivino danni irreparabili a tal genere di
grossa selvaggina. La monteria è una
tradizionale caccia spagnola, ma almeno è una cosa molto più consona al nostro
modo di cacciare e darebbe a tutti l’opportunità di un colpo diverso dal solito
e di mangiarsi carne di capriolo frutto
delle proprie cacce lecite, senza andare a mendicare o a comprar cosciotti ai
signori “cacciatori di selezione”.
E continuo ad analizzare i danni della
situazione venatoria attuale scaturiti dalle aberrazioni di un “qualcosa”
sfuggito di mano.
L’ISPRA, così come si fa chiamare, è un Istituto radicatosi in Emilia
Romagna ed anche esso, come l’URCA, ha subito mostrato tendenze ipertrofiche e
vocazione di potere per la sola ragione
di esistere.
Questo
“Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale” è il braccio
operativo degli ambientalisti all’italiana e degli animalisti, in altri termini
è null’altro che un Istituto Superiore Anticaccia e non a caso viene lodato e
sempre invocato dai nostri nemici.
In
realtà l’Ispra è un organo che nasce e tuttora resta, un erogatore di pareri
anche sulla caccia. Il suo parere è
CONSULTIVO, NON E’ VINCOLANTE, come si cerca di far credere e di far passare a
tutti i costi. Anche richieste in tal senso alla Comunità Europea hanno
ribadito la sua natura consultiva e comunque il fatto che esso è sottoposto
alla legislazione di competenza nazionale la quale non gli ancora consegnato in
mano la caccia. O almeno non ancora è
accaduto l’irreparabile.
L’Ispra
e i suoi sostenitori, ritengono che esso debba ormai “dirigere” la caccia in
Italia in forza di legge ed una normativa quanto mai ambigua, che viene di
continuo sbandierata dagli attivisti per dimostrare secondo loro che solo
l’Ispra può dire che cosa si può cacciare oggi in Italia e in quale modo.
Non è
così e se soltanto i politici dello stato e delle varie regioni ponessero
attenzione anche al mondo venatorio, potrebbero riportare le cose nel verso
giusto. Esistono sentenze giudiziarie che continuano a ritenere il parere
dell’Ispra solo consultivo e per esempio, un autorevole commento nel 2012
dell’Avv. Paola Brambilla di Bergamo (vedi in Internet: http://www.ambientediritto.it/home/oad/la-natura-dei-pareri-dell%E2%80%99istituto-superiore-la-protezione-e-la-ricerca-ambientale-ispra-ex-infs) spiega dettagliatamente perché quest’organo
non possa essere ritenuto erogatore di pareri vincolanti in materia venatoria.
E’ altresì vero che il TAR della regione Marche ha emesso nel 2013 una sentenza
in senso contrario, subito applaudita dai soliti, ma tutto questo non dimostra
altro che la normativa a riguardo resta ambigua e che solo l’indifferenza dei
politici e uno scontato conformismo, permettono interpretazioni contrarie al
mondo della caccia.
Dunque non ha senso accettare come ordini inderogabili le sue pronunce
su tutto e su qualunque cosa e bisogna incoraggiare soprattutto le regioni a
non farsi mettere i piedi sulla testa da questo ingombrante Ispra. Ciò richiede
impegno e altrettanta determinazione da parte delle nostre Associazioni e una
decisa volontà politica di arginare il fenomeno una volta per tutte.
Il
mondo della caccia ha non nessun interesse a fare per forza ciò che vuole
l’ISPRA, e di accettare che i suoi tecnici mettano bocca dappertutto, ma quel
che conta, non è per niente obbligatorio ciò che sostiene l’ISPRA a suo
vantaggio.
Costoro
vogliono egemonizzare il mondo della caccia dai loro uffici e imporre decisioni
spesso assurde, che ci stanno togliendo le ultime opportunità e ci rendono perfino
ridicoli agli occhi degli altri europei.
Quindi l’ISPRA va riportata nel suo alvo, senza tanti complimenti, e i
politici non debbono offrire sponde inopportune su pressioni di questi
interessatissimi personaggi. La nostra attuale protesta potrebbe costituire
finalmente l’occasione per rimettere in discussione una moda per noi nefasta,
ormai accettata con colpevole passività e rassegnazione da tutti.
La
caccia di selezione nacque implicitamente con un “apposito corso”, mai reso
obbligatorio dalla legge nazionale, eppure adottato all’istante come tale dalle
province della Regione Emilia Romagna, ove fu fatto credere “conditio sine qua
non” per esercitare tale forma di caccia.
Siccome
l’appetito vien mangiando, a quel “corso” ne furono subito aggiunti altri.
Quando fu concesso estendere la caccia di selezione anche al cervo, per
esempio, ci si dimenticò del fatto che si era parlato abbondantemente pure di
questo animale nel “corso per la caccia agli ungulati”, e venne subito
istituito un altro “apposito corso” che abilitava specificamente alla caccia al
cervo.
Nel
frattempo la Regione Emilia Romagna (e forse altre, non so) ha preso ad
istituire “corsi” per ogni genere di caccia: vuoi cacciare la volpe ? Non è
vero che si è sempre fatto, e quindi deve essere insegnato ai cacciatori
italiani che, poveretti, non ne sapevano nulla …ecco dunque, un apposito coso
per la caccia alla volpe. E poi una pioggia in crescendo di altri “corsi” per cacciare i piccioni in eccesso,
per portare i cani da traccia, per questo e per quell’altro, fino al punto che
per me ha veramente dell’incredibile: il “corso” per cacciare le nutrie (SIC
!).
Tutti
sanno che questa sorta di roditori (dei topacci dalle dimensioni sesquipedali)
diffusi da gente che se ne voleva disfare dopo improvvidi tentativi di
allevamento per le pellicce, hanno invaso gran parte dell’Italia, ma
soprattutto la pianura padana, dove hanno mostrato di essere dannosi assai per
le gallerie che scavano nella compagine degli argini dei fiumi.
Preso
atto di un’invasione del genere (nella pianura padana se ne possono vedere
ovunque, basta affacciarsi in ogni canale, o anche si vedono sui campi, riunite
a gruppi, per esempio nelle zone prospicienti l’autostrada che va a Milano) e
della necessità di eliminare il maggior numero possibile di questi animali,
invece di farli cacciare come “nocivi” (altra espressione TABU della nostra
epoca più ipocrita dei salotti seicenteschi) da chiunque possieda una
doppietta e in primis, dai contadini
proprietari dei fondi, è stato istituito “l’apposito corso per la caccia alle
nutrie” che spiega tutto, ma proprio tutto, ve’ ? Anche come disfarsi in sicurezza, delle
carogne.
Ora che
una Regione sui generis come è sempre stata l’Emilia Romagna prenda una simile
iniziativa, io non mi stupisco, però rimango esterrefatto da chi li ha presi
sul serio, li ha accettati e perfino disciplinatamente seguiti, e oggi percorre
regolarmente i campi, fucile in spalla, per “rendere questo servizio alla
comunità”. Orgogliosamente.
Insomma, per la prima volta, abbiamo i
cacciatori di zoccoloni autorizzati !
E si
vuole imporre anche a noi svegli meridionali, queste cretinate ?!?!
Nessuno
pare rendersi conto del grottesco implicito in queste vicende e di come certe
persone cadano in simili tentazioni, pur di riuscire a sparare qualche colpo.
Io non
so più quanti “corsi” abbia ormai autorizzato la Regione Emilia Romagna e
neppure mi interessa, osservo tuttavia
che così facendo, si sta svuotando del tutto il significato dell’esame per
accedere alla Licenza di caccia, esame ormai inutile.
Io però
dico che dietro questa situazione impazzita e in fondo comica, ci sono
interessi concreti di soldi e di potere, fosse pure un piccolo potere da far
gravare sulle spalle della negletta categoria dei cacciatori.
Infatti
tutti questi “corsi”, di fatto imposti a forza se vuoi esercitare una qualche
forma di caccia praticabile, prevedono sempre quote corpose da parte dei
richiedenti e ottime retribuzioni da parte dei “docenti”, una categoria sorta
silenziosamente e apparentemente dal nulla, moltiplicatasi come cavallette
bibbliche.
Ecco
dunque la scoperta dell’acqua calda. C’è ormai un sacco di gente che si è
inventata questo mestiere posticcio e ci nuota come rane nello stagno, e vuole
espandersi come una multinazionale americana per conquistare nuovi mercati,
vale a dire nuove regioni e nuove province.
Un
altro sassolino mi voglio cavare dalla scarpa sulla caccia in genere. Solo in
Italia e solo da alcuni decenni, è
proibito cacciare nei parchi, oltretutto dilatati nel tempo in modo esagerato e
inutile, visto che non proteggono dagli sfruttamenti ambientali e dalla
proliferazione edilizia, e forse anche contro la legge che prevede limiti al
territorio imbalsamato dai Tabu degli anticaccia.
Ma chi
ha detto che nei parchi nazionali e regionali non si può cacciare ?!?
Si
cacciare benissimo nei parchi naturali,
pur dovendosi rispettare alcuni limiti ed alcune regole in più rispetto
ai territori liberi, dunque non facciamoci infinocchiare e chiediamo buone
leggi a riguardo !
Specialmente il cinghiale dovrebbe potersi cacciare sia attorno alle
zone protette, oggi soggette a vincoli assurdi, sia proprio all’interno dei
parchi stessi, e di sicuro qualche battuta ben condotta, non provocherebbe
alcun danno mentre potrebbe essere risolutiva per ristabilire equilibri
faunistici alterati.
Ricordo
come oramai svariati anni fa, si potesse cacciare lo stambecco nel Parco
Nazionale del Gran Paradiso allorché vi fossero esemplari troppo vecchi, malati
o difettosi. L’Ente metteva allora a disposizione alcuni di questi capi e i
cacciatori che facevano richiesta molto tempo prima, con l’accompagnamento dei
guardaparco che indicavano gli animali prescelti, potevano abbatterli: costava
parecchio, questo sì, somme che se non ricordo male, variavano da 2 milioni a 2
milioni e mezzo di vecchie lire, ma così il Parco incamerava per quei tempi,
dei significativi finanziamenti. Poi
cominciarono a protestare i primi fanatici, e ciò non fu più possibile,
restando compito delle guardie effettuare gli abbattimenti necessari degli
esemplari malati per non lasciar rovinare le linee genetiche delle popolazioni
di stambecco. Insomma: stessa cosa, però …senza soldi !
Si
può essere più stupidi di così ?
Ora,
alla luce di queste mie premesse, come si può commentare il nuovo Regolamento
sulla caccia agli ungulati (scusate, no, sulla “gestione faunistico-venatoria
degli ungulati, ecc., ecc.”) della
Regione Abruzzo ?
La
prima cosa che osservo è che si tratta di una fotocopia di quello dell’Emilia
Romagna, è sfido io ! E’ stato suggerito ai nostri politici regionali, così mi
si dice, proprio da gente che proviene
da quelle parti (Emilia Romagna e Marche) e che ci vuole insegnare tutto,
specialmente a cacciare il cinghiale.
Infatti
io che ho preso la Licenza di caccia nella seconda metà degli anni ’60, ho
iniziato subito con la caccia al cinghiale che allora facevamo nell’Alto Molise
e nelle zone abruzzesi limitrofe estese fino al lago di Bomba.
Diversamente
in provincia di Bologna i cacciatori locali hanno cominciato a vedere come è
fatto un cinghiale soltanto nei primi anni ’90, animale che era noto al massimo
a quei pochi che si recavano in Toscana. Per il resto ricordo che da quelle
parti, nessuno sapeva di quale animale si trattasse. Ma ora noi abruzzesi
dobbiamo imparare ad andare a caccia di cinghiali dagli emiliani che ci
spiegano che roba è …
La
prima cosa che salta agli occhi nel Regolamento è la sudditanza che si vuole
imporre nei confronti dell’ISPRA (sfido: l’Ispra se lo è scritto da sé !) e si
comincia con l’art. 3 ove è scritto: “Le informazioni di cui sopra (cioè la
valutazione delle popolazioni di ungulati nel territorio) sono acquisite sulla
base delle metodologie indicate dall’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale (ISPRA).”
E
perché ?
E
quindi, art. 5: “Sugli interventi di reintroduzione o ripopolamento l’ISPRA
esprime parere vincolante …”.
Perché
l’ISPRA dovrebbe esprimere un parere “vincolante” se è solo un organo
consultivo ? La serva diventa padrona di casa ? Dico bene che si deve chiarire
una volta per tutte una normativa ambigua e foriera solo di divieti ai nostri
danni, se forzata in una certa direzione.
Noi
cacciatori vogliamo che l’Ispra resti un organo consultivo per l’eternità, non
amando sudditanze nei confronti di
alcuno, specie di chi si inventa le disposizioni e i divieti più
strampalati per contrastarci a bella posta.
Di
nuovo si mette tutto in mano all’ISPRA quando vengono elencate le figure
“preposte alla gestione faunistico-venatoria degli ungulati”. A questo istituto
si offre il monopolio della gestione e se ne impone l’ingerenza su tutto e si
comincia con l’istituzione dei famosi “corsi” (articoli 8 e 9).
La
iattura dei “corsi” prosegue naturalmente ad essere menzionata fino alla
nausea: infatti è il succo del discorso per chi si prefigge di prendere in mano
la direttiva assoluta sulla caccia in Italia.
L’ISPRA giudicherà pure sull’equipollenza dei titoli abilitanti secondo
i “corsi che debbono essere di sua piena soddisfazione” (art. 18).
Poi si
comincia a parlare di graduatorie per l’accesso agli abbattimenti e si comincia
a edificare tutta quella burocrazia venatoria che impera ormai da anni nel
bolognese e che i colleghi cacciatori di laggiù hanno dovuto subire, “bevendo
il calice fino all’ultima feccia”, essendo incapaci a ribellarsi.
Un’altra cosa che ritengo inaccettabile è scritta all’art. 20, dove si
stabilisce che “I cacciatori iscritti e ammessi agli ATC appartenenti alle
associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale che partecipano alla
gestione degli ungulati (leggi URCA), sulla base dei criteri fissati dalla
giunta regionale, possono essere esclusi dal pagamento della quota d’iscrizione
o di ammissione all’ATC.”
Questo
è un privilegio indecoroso che contribuisce a consolidare l’idea dei cacciatori
di selezione come qualcosa di speciale e di rango superiore, mentre essi sono
cacciatori come tutti gli altri, come tutti noi. Si tratta solo di gente che si
dedica ad una forma di caccia piuttosto che ad un’altra, per cui costoro
valgono né più, né meno di un cacciatore di quaglie o di beccacce.
Assolutamente non si devono ammettere discriminazioni del genere.
All’art. 23 dove si parla del “Piano di gestione quinquennale” (i “piani
quinquennali” a chi scrive suscitano sempre reazioni allergiche perché sotto
sotto, finisce che gli ricordano qualcosa di infelice nella storia …) si
continua con un equivoco di fondo, vale a dire una voluta commistione tra
caccia di selezione e abbattimenti per esigenze di controllo della fauna. Già i
termini di “selecacciatori” e “selecontrollori” sono brutti neologismi, ma sarà
bene che una volta per tutte, la Legge nazionale definisca con molta maggior
chiarezza cosa sia una cosa e cosa sia l’altra, e non è detto affatto che il
controllo della selvaggina debba essere
prerogativa dei “selecacciatori”, anzi, sarebbe il caso di tenere questi
ultimi il più lontano possibile da certi ….”sacrifici” in favore della
comunità, proprio per evitare tentazioni improprie.
Su
questo equivoco infatti, si basano certe pretese e l’incredibile convinzione
dei cacciatori di selezione, di essere una specie di Eletti dedita …..al
volontariato sociale !
I più
semplici tra loro te lo dicono pure …
Sempre
in questo articolo 23, ad un certo punto è scritto: “Le squadre di caccia
assegnatarie delle zone o macroarea il cui territorio ricade nella zona di
controllo hanno l’obbligo di fornire il personale necessario al compimento dei
censimenti.”
E qui
per me si tocca una questione di principio e si apre la stura al disgusto.
In
primo luogo stiamo parlando di attività ludiche e gli “obblighi” non sono
graditi a chi ha solo (e dovrebbe avere) l’intenzione di divertirsi. La caccia
non è un mestiere, almeno oggi in Italia, e i cacciatori non debbono essere
obbligati a niente, specie in una situazione dove per andare a caccia ci
costringono a tirare fuori tanti soldi. Che se ne occupino guardiacaccia e
guardie forestali (se esistono ancora), magari con l’aiuto libero e volontario
dei cacciatori, tanto meglio, per carità: chi vuol farlo, lo faccia. Ma da libero, non da servo.
E se
proprio vogliamo inventarci qualcosa del genere, si lasci “l’obbligo” ai
cacciatori di selezione, visto che costoro ritengono di essere gli specialisti
di queste passeggiate campestri e si compiacciono di tali moti di pubblica
generosità.
Uno dei
motivi per cui da subito, non mi è piaciuta la caccia di selezione è stato
proprio l’obbligo di fare questi censimenti ridicoli (è molto difficile censire
gli animali selvatici e ci vorrebbero dei biologi specialisti, soprattutto
gente lontana da pregiudizi e ideologie) e tutto quel che ne consegue. Andare a
caccia liberamente vale qualcosa, sottoporsi a tutti questi riti vuoti per poi
vantarsi di aver fatto chissà cosa per la comunità è ben altro e - parlo per me
– ribadisco di non averne nessuna voglia, in particolare se mi si parla di
“obblighi”. Ho già detto che si tratta di una forma di caccia che non mi
appassiona per niente, io al massimo ci starei per qualche colpo nell’anno,
tirato in libertà, al solo scopo di procurarmi un poco di carne diversa e
basta. Ma nell’impossibilità di cose normali, ne faccio tranquillamente a meno:
lascio il campo e gli animali che vi pascolano a chi si diverte in tal modo,
senza rimpianti. Le mie soddisfazioni di tiro me le prendo al poligono.
Tuttavia il maggior motivo
dell’indignazione è quello relativo alle aree che si vogliono assegnare alle
singole squadre di caccia al cinghiale per effettuare le battute.
Ricordo quando tale coercizione venne imposta alle squadre della
provincia di Bologna. Prima noi andavamo a caccia dove ci pareva, pur con i
limiti di una provincia molto piccola e dal territorio non particolarmente
bello, poi improvvisamente ci siamo ritrovati a cacciare in un buco dove era
possibile fare solo 1-2-3 battute diverse, non di più e sempre lì.
Inizialmente alcuni erano perfino contenti: così dove siamo noi –
dicevano - nessuno ci romperà le scatole !
E poi siamo riusciti ad avere dalla provincia proprio un bel posto,
meglio di quello degli altri ….!
In
realtà la caccia diventò presto noiosa e ci ritrovammo addirittura a stare di
posta sempre gli stessi e sempre nello stesso punto: c’era la posta di Caio e
quella di Sempronio e sempre quelle erano, quando si andava, già sapevamo a
memoria dove metterci senza che alcuno più ce lo indicasse. L’Italia non è la
Siberia o il Canada, i posti sono piccoli e un ATC bolognese non è altro che un
buco.
Ora chi
conosce la caccia la cinghiale sa una cosa che fa parte dell’esperienza comune:
per rifare una battuta fruttuosa nello stesso posto, debbono passare almeno 2
settimane. In altre parole non si debbono più disturbare gli animali almeno per
una quindici di giorni prima di tornare lì, diversamente non ci si trova niente
e gli animali poi si allontanano definitivamente se non hanno il tempo di
riambientarsi.
E invece
eravamo costretti a tornarci al massimo la domenica seguente, oppure appena
dopo qualche giorno. D’altra parte non c’erano altri posti dove andare: quello
era il pozzo dove ci avevano calato. Così a volte non andavamo nemmeno.
In
questa situazione, cominciarono i borbottamenti e le malevolenze delle altre
squadre che pure stavano subendo lo stesso trattamento. Ne sapevamo poco e
sempre dopo, ma quello che si dicevano tra loro i Capisquadra era ormai
improntato ad astio: voi state nel posto migliore, perché ? Non è vero, il
posto vostro è meglio ! Noi qua non ci vogliamo stare ! No, voi dovete stare
là, ed anzi noi vogliamo che la zona resti assegnata sempre a noi, ecc., ecc.
Il
risultato fu che si scatenarono odi e guerre, gettate perfino sul terreno della
politica in quanto l’Appennino in Emilia Romagna, resta uno dei serbatoi elettorali
più sicuri del locale partito di maggioranza, cosicché bastava (e basta) che
“le squadre della montagne” volessero qualcosa contro “quelli della pianura” e
borbottassero irati ai loro referenti della provincia, per ottenerla.
Ricordo
come andò a finire con la mia prima squadra locale. Il Caposquadra,
estremamente ligio a qualunque desiderio della provincia pur di restare dove
gli piaceva, un bell’anno di punto in bianco, fu “espropriato” e “trasferito
d’Ufficio” perché il territorio dove cacciava la nostra squadra piaceva alla
squadra di uno dei paesi della montagna inseriti nell’area …
Negli
anni la mia vecchia squadra si dovette allontanare sempre più da Bologna, e fu
costretta anche ad accorparsi con un’altra, ma io già avevo fatto vela per altri
luoghi.
L’ATC
vastese è tutt’altra cosa rispetto agli “ATC” della piccola provincia di
Bologna: esso è ampio, dai territori boscosi e selvaggi ancora, è uno degli
ultimi paradisi che ci sono rimasti.
Qui,
almeno fino a quest’anno, abbiamo sempre resistito a questa maledizione
disgregatrice. Infatti le nostre squadre - ben 38 ! – sono sempre riuscite a
trovare un loro passabile equilibrio e senza troppe liti. Riservatamente ognuna
si è accordata con le altre su dove
cacciare, mai confinandosi da sole in pochi ettari, ma alternandosi e godendosi
la varietà dei luoghi, delle battute e delle possibilità di preda.
Io ho
sempre detto ai miei compagni di caccia del vastese, mettendoli in guardia:
Ragazzi, siate contenti di questa magnifica situazione e fate di tutto per
conservarvela ! Io so che cosa accade dalle altre parti, specie nella provincia
di Bologna e vi assicuro che se pure qua introdurranno certe idee, abbiamo
finito di andare a caccia in pace e di divertirci !
Ma già
la malapianta cresce e qualcuno comincia a pensare che si potrebbe stare bene
in un certo posto piuttosto che in un altro e che se agli altri cacciatori la
divisione è andata male, pazienza ! Ce ne sta più per noi …
Eh, no
! Non va bene: unione ed armonia sono i segreti delle grandi nazioni e di
qualunque comunità umana.
Mi si
dica che bisogno c’era di venire a suscitare il malcontento e le discordie da
queste nostre parti !
E
addirittura vengono per questo dall’Emilia Romagna e dalle Marche a far la
corte ai nostri sprovveduti politici regionali ?!?!
Già il
fatto di non poter più cacciare liberamente in entrambi gli Abruzzi ci
dispiace, e neppure possiamo più spostarci a nostro piacimento, nella nostra
provincia di Chieti, e adesso dovremmo
chiuderci da soli in qualche ettaro di
campagna a morderci le mani ?
No.
Questa storia delle squadre detenute agli arrsti domiciliari non deve essere
accettata a nessun costo, e sono veramente contento che finalmente qualcuno si
è ribellato.
All’art. 24, comma c) è scritto che i cacciatori che cacciano il
cinghiale e i “selecontrollori”, se non si raggiunge quanto deciso per la
prevenzione dei danni agricoli, “possono essere tenuti all’erogazione di un
contributo economico al fine di concorrere agli oneri risarcitori conseguenti.”.
Qui si
entra in un altro … campo minato, visto che di attività in campagna stiamo
parlando.
Personalmente non capisco per quale motivo gli animali selvatici fanno i
danni e i cacciatori debbono pagarli.
Che li
paghi la provincia ! E ed è ancora più giusto il concetto visto che oggi si
moltiplicano animalisti di tutte le specie note e ignote, osservatori di
uccelli, passeggiatori ecologisti e compagnia cantando. Se anche costoro godono
della presenza degli animali selvaggi, che paghino anche loro !
Ormai a
Bologna per il diritto di cacciare il cinghiale nell’ambito BO3 che si rivolge
all’Appennino, l’ATC menzionato chiede al singolo cacciatore 200 Euro per
stagione venatoria. Altrettanto chiedono o sono costretti a chiedere, i responsabili
delle varie squadre, poiché anche queste sono chiamate a far fronte a danni
veri o presunti, creare recinzioni elettriche, ecc.
Avete
capito bene. A Bologna solo per il diritto di poter andare a caccia al
cinghiale, bisogna sborsare 400 (quattrocento) Euro. E poi tutto il resto che
sono costretti a pagare comunque i
cacciatori.
Anche i
cacciatori dell’ATC vastese vogliono ritrovarsi a pagare queste somme e a
passare i giorni di caccia piantando paletti tra gli orti come accade tra i
petroniani ?!?!
E
bisogna anche intendersi di quali danni all’agricoltura si tratta.
Nell’Appennino bolognese, fino ad alcuni anni fa, con il rimborso dei
danni ci si andava “forte” e bastavano due metri quadrati di terreno seminato a
foraggio o a granturco un po’ grufolati, perché la provincia erogasse somme
molto consistenti ai postulanti. Quando però ci si è reso conto che a volte si
trattava di “gonfiature” ad arte, (e soprattutto da quando sono diminuiti i
soldi pubblici) alcune cose sono cambiate, ma sempre pagare bisogna.
Per
erogare fondi a rimborso occorrono buone e oneste perizie di esperti in agraria
e, soprattutto, criteri reali,
altrimenti si corre il rischio che …ci si trovi come con le pensioni INPS di
qualche nota parte d’Italia ….
L’Appennino
bolognese, salvo le zone pedecollinari e
quelle immediatamente collinari dove esistono culture vinicole, all’interno non
è quasi più coltivato, salvo un poco di foraggio e un poco di mais; a cavallo del bolognese e del modenese,
esiste in qualche paese una pregiata coltivazione di patate e poi ci sono le
onnipresenti castagne, ma ormai quasi tutte inselvatichite, e ridottissime,
superstiti coltivazioni di “marroni”.
Tolte
quelle particolari situazioni, i cinghiali arano campi e boschi con effetti che
non interessano più a nessuno.
La
ricchezza del patrimonio faunistico del cinghiale è di gran lunga superiore a
quelle poche grufolature. Il cinghiale è
animale di per sé prezioso sotto il profilo venatorio e alimentare ed è
alla base di un notevole turismo, sia per caccia che per ragioni eminentemente
gastronomiche. Per il vastese, come per tante altre zone dell’Appennino
italiano, questo è un fatto e si sprecano ormai i piatti e i salumi “tipici”,
allegramente consumati anche dai nostri beneamati animalisti (avevo un amico
del genere, peraltro carissimo e rimpianto: anticaccia sfegatato con tutta la
famiglia, se veniva a cena a casa mia, con tutta la famiglia, mangiava
cinghiale a quattro palmenti, precisando però che ciò faceva perché ormai il
cinghiale era morto, altrimenti mai e poi mai se lo sarebbe mangiato (per la
cronaca: era un formidabile avvocato).
Ma in
definitiva, torno a dire, perché se gli
animali selvatici fanno danni, questi debbono pagarli solo i cacciatori ?
E poi solo
i cinghiali fanno danni ? Daini e caprioli sono assimilabili sotto questo
profilo alle comunissime capre e tutta la gente di montagna sa che le capre
danneggiano fortemente boschi e
sottobosco, mangiando i germogli degli alberi e i fiori. Non a caso la Guardia
Forestale contestava forti multe ai pastori che lasciavano andare le capre nei
boschi, ma forse tutti ormai, se ne sono scordati …anche se eravamo la regione
con il più consistente patrimonio pastorale d’Italia.
Dunque
bisogna stare attenti a queste pretese di rimborso di danni alle culture e
comunque, che vadano a carico dell’intera comunità e non di una minoranza, cosa
ingiusta e che sa di punizione, non è chiaro a che titolo.
All’art. 26 si continua con la confusione tra caccia e controllo e si
riprende con ipotesi sanzionatorie il caso di mancato svolgimento dei
censimenti, l’obbligo di parteciparvi per le squadre oltre che per i
“selecontrollori”. Ho già scritto cosa ne penso, ma se i “selecontrollori”
vogliono assumersi questo obbligo, per quanto mi riguarda, essi sono liberi di
farlo.
L’art.
28 esclude la “braccata” (abbiamo visto che è la battuta al cinghiale) dove si
deve eliminare la presenza dei cinghiali, si parla di “MA” (“macroaree”, tutte
parole e sigle care ai burocrati che passano il tempo ad inventarsele, a creare
acronimi, a collocarli negli “appositi” scaffali …).
Ma
perbacco ! Qui si parla di tutte le forme di caccia ammesse e si esclude la
buona vecchia, efficacissima battuta !
Eh !
Ma d’altra parte, i “tecnici” hanno detto che le battute disturbano gli animali
! Anche il pisolino pomeridiano di certi falchi (non mi ricordo più quali,
essendo di memoria labile per le assurdità) viene disturbato, secondo questi
ineffabili signori, figuriamoci tutti gli altri animali !
E
poi più avanti (art.30) si comincia la solfa del “cane limiere”, animale che
per essere autorizzato ad accompagnare il cacciatore individuale, deve essere
laureato all’Università dell’ENCI (dopo il regolare superamento di tutti gli
esami e la discussione della tesi, ritengo).
Questa
è un’altra di quelle aberrazioni che è lecito guardare con sospetto, trovando
certi connubi – qui ISPRA / ENCI -
quanto meno discutibili.
Prima
di tutto richiamo il fatto che questo “cane limiere” (ovvero cane al guinzaglio
lungo) secondo le opinioni di chi se lo è inventato, deve fare tutto, ma
proprio tutto quello …..che piace ad un
cacciatore tedesco e austriaco, altrimenti “non è idoneo” !
Ma le
nostre tradizioni, specie nel Sud, non hanno nulla da spartire con le
tradizioni di caccia teutoniche dove peraltro gli ambienti sono così diversi
(foreste d’alto fusto quasi senza sottobosco, a differenza delle nostre selve
dove il l’italico cinghiale alligna proprio perché selvagge ed inestricabili,
tra roveti e fittissimo sottobosco).
Di
tutti i riti dei tedeschi, noi ce ne infischiamo. Buoni cani in grado di
seguire un cinghiale ferito o di permettere una proficua caccia ad un
cacciatore solitario, facendogli trovare con certezza un animale, ce ne sono sempre
stati e buoni allevatori di cani del genere pure. A volte sono semplici
bastardini che nessuno addestra, limitandosi a portarseli nel bosco, altre
volte segugi più o meno puri, però abili e ben affiatati con il padrone.
Ora, se
io ho un buon “cane limiere” o un bastardo rognoso che però mi fa trovare
l’animale che sto cacciando, che gliene deve importare – dico ! - a tutto questo consesso di burocrati
tedescheggianti ?
E
perché me lo deve certificare l’ENCI ? Anzi questo è assolutamente “obbligatorio
per le operazioni di controllo” !
Mi
sembrano quelle regole d’eleganza dei casinò, dove non si può entrare senza
cravatta …..
Il
fatto è che se cadono simili proposte, gli “appositi corsi per conduttore di
cane limiere” poi chi se li farà pagare ?
Questo,
credo, sia il punto sostanziale.
L’art. 32 riprende la durata della stagione venatoria al cinghiale: o
dal 1° ottobre al 31 dicembre, oppure quella classica e sempre rimpianta dove
non più adottata, dal 1° novembre al 31 gennaio.
Bene. Questo è il fatto su cui imperniare
il discorso del controllo della specie: se si lasciassero stare immotivate
rigidità, basterebbe prolungare un poco la durata della stagione e le battute
(ripeto: le battute), per cui oltre un più lungo divertimento, si risolverebbe
sicuramente la situazione della sovrabbondanza di cinghiali tanto temuta.
Lasciamo stare dunque i “cacciatori di selezione” che debbono occuparsi di
altro: ovvero di animali fragili e poco riproduttivi, sicuramente non di cinghiali.
Quando
prolungare la stagione venatoria di caccia al cinghiale ? Si deve vedere in
modo sperimentale nei singoli luoghi, stando però bene attenti a non
distruggere un animale bellissimo da insidiare e che ha salvato la caccia in
Italia quando non c’era più niente !
Ecco
cosa è successo nel bolognese prima e dopo l’avvento della “caccia di
selezione” e dopo la reintroduzione irresponsabile dei lupi (altra follia nata
nei “salotti buoni”, ma non ne parlerò perché da buon abruzzese, avrei molto,
troppo da dire sull’argomento, cioè
esattamente tutto il contrario di quanto è stato detto e scritto, alla base di
certe iniziative).
All’inizio io facevo parte di una squadra che era arrivata a prendere la
bellezza di oltre 300 animali per stagione venatoria. Da quando è stata
autorizzata la caccia di selezione e poi immessi i lupi, le stesse squadre di
allora non arrivano a prenderne 100 da ottobre a metà gennaio, ormai
attestandosi sui 90 circa !!!
Poi
ogni anno vengono pubblicate ampie statistiche che descrivono veri ed
ingiustificati massacri, lodandoli, per la soluzione del problemi dei danni
all’agricoltura.
Ma
tasse e balzelli li paghiamo noi che cacciamo solo quei prescritti tre mesi a
stagione, con ogni sorta di limitazione.
Si
vuole anche qui da noi, la riduzione ad un terzo del carniere a favore di
privilegiati ?
Che ci
riflettessero bene i miei amici cacciatori dell’ATC vastese.
L’art.
38 vuole limitare, non si sa perché, a non più di 10 cani le battute (ma loro
le chiamano sempre “braccate”). In realtà solo i canai meglio esperti del
territorio e buoni conoscitori dei loro ausiliari, sanno quanti cani occorre mettere in campo
per ogni battuta. Considerando il tipo di selve delle nostre parti con il folto
sottobosco di cui abbiamo detto, i roveti, le forre, ecc., possono essere
necessari molti più cani per ogni singola battuta. Inoltre i cani hanno varie
specialità all’interno delle mute: pochi sono eccellenti capomuta, alcuni sono
ottimi cercatori, altri instancabili inseguitori, altri ancora formidabili
abbaiatori a fermo, ecc., ecc. I cani
poi si stancano, anche più di noi cristiani, e debbono essere nel caso
alternati durante la caccia, cosicché a volte è necessario avere a diposizione
più mute, come sanno tutti i canai e tutti i cacciatori di cinghiale.
Per
concludere: occorre lasciare al barcaiolo l’uso dei remi.
Con
l’art. 39 si mette bocca a tutta la gerarchia che dovrebbe avere secondo lor
signori, ogni squadra di caccia al cinghiale, contemplando Capi e Vice capi che
debbono avere ben precise qualifiche (leggi: “corsi” a pagamento).
L’art.
43 impone severamente, l’estromissione di chi non è potuto andare a caccia in
battuta, almeno 5 volte. Ho letto già altre volte di queste storielle, ma
ribadisco: andare a caccia è un libero divertimento, oppure un obbligo
professionale, per cui il datore di lavoro ci licenzia se manchiamo troppe
volte dallo stabilimento ?
Qui si
è smarrito il buon senso e il rispetto delle libertà individuali: a caccia io
ci vado quando mi pare !
Inutile
commentare articoli seguenti, dove sempre si fa confusione tra caccia di
selezione (che pur sempre è una forma di caccia e quindi di divertimento) e
controllo faunistico, cosa del tutto diversa. Ma proprio da queste volute confusioni
nascono presunti diritti e pretese di alcuni a danno di tutti, come ho già
detto.
Gli
articoli seguenti insistono in un modo o nell’altro, su quel concetto di
rinchiudere le squadre di caccia al cinghiale nelle apposite “celle
territoriali” cui chi scrive è contrario e – nota con piacere – contrari tutti
i cacciatori vastesi, trattandosi della
negazione della libertà e dello spirito stesso della caccia.
Potrei
commentare ancora sugli obblighi relativi alle armi da adottarsi. La legge
generale della caccia dice che si possono usare i fucili a canna liscia, i
fucili a canna rigata (carabine) con alcune limitazioni (talune cervellotiche,
ma non ne parlo) per i calibri di scarsa energia, gli archi ed i falconi. Punto
e basta.
Dà
francamente fastidio che si indichi per forza quale tipo di arma impiegare per
certi scopi e se dotarla di ottica o meno. Di sicuro anche per le cacce
individuali al cinghiale non ha senso
imporre l’uso della carabina con ottica (addirittura con caricatori ancor più
limitati rispetto alle disposizioni della legge statale): se si trova il
cinghiale si spara a pochi metri nel folto e un’ottica può essere solo
d’impaccio, specie se l’animale infuriato carica.
L’unica
cosa seria che mi sento di condividere in questo deplorevole Regolamento della
Regione Abruzzo per la caccia agli ungulati è l’art. 69: “Durante la caccia
collettiva al cinghiale è obbligatorio l’utilizzo di mezzi ausiliari di
comunicazione nel rispetto delle normative vigenti per consentire una agevole
comunicazione tra i cacciatori finalizzata prevalentemente alla prevenzione di
incidenti connessi all’attività venatoria.”
Finalmente è detto con chiarezza, ma si potevano usare frasi più
semplici, che la radio rice-trasmittente non solo è utile, ma indispensabile a fini
di sicurezza. Alla via così ! Ma fare tutto ‘sto trambusto per dire solo una
cosa seria riguardanti le radioline, mi sembra eccessivo.
All’art. 72 leggo una scemenza che un vero cacciatore di cinghiale
rimarcherebbe aspramente: durante le battute è consentito abbattere le volpi.
Ma scherziamo ?!
Tutti
sanno (i veri puristi, non quelli da salotto) che non si spara alla volpe
quando si caccia il cinghiale perché si rovinano i cani da seguita. Certi
Caposquadra, specie in Toscana, ti cacciano via all’istante, se osi sparare
alle volpi. Evidentemente chi ha scritto
queste cose sa poco di caccia al cinghiale.
Più
avanti si ritorna sul “cane limiere” (art. 77) per imporlo durante le “girate”,
così bisogna “abilitare” per forza quel
povero cane per poterlo impiegare, e perdere tempo e denaro.
L’art.
80 nel menzionare i calibri ammessi per le armi rigate, riprende la stucchevole
faccenda delle “munizioni atossiche”, ovvero recanti proiettili privi di
piombo.
Questa storia è da qualche anno che fa il giro d’Italia, eppure nemmeno
la Regione Emilia Romagna (e ce ne vuole !!!) si è ancora sognata di imporre
questo genere di proiettili.
Vi
sono molti studi che negano la tossicità del piombo in così piccole quantità
legate alle armi da fuoco e in ogni caso certi divieti ebbero origine negli
Stati Uniti in merito alla caccia agli uccelli acquatici in alcune paludi. Per
il resto il discorso non ha alcun senso, ed il piombo si trova in natura nelle
sue forme minerali che non hanno mai sterminato nessuna specie vivente.
Naturalmente è inutile affrontare discorsi del genere con certe platee,
ma si osserva che mentre non sono mai stati provati effetti patogeni legati
all’uso dei proiettili delle armi da fuoco, è controverso l’effetto di
balistica terminale dei proiettili privi di piombo. Si tratta comunque di
munizioni assai costose, la cui imposizione non ha semplicemente senso, che in
molti casi limitano l’efficacia lesiva dei proiettili da caccia, oltre causare
problemi anche di balistica interna ed intermedia (proiettili in materiale
troppo leggero), rigature classiche delle armi commerciate non sempre adeguate
a certi tipi di munizioni, ecc.
Insomma, si tratta null’altro che di un puntiglio lasciato vincere agli
“ambientalisti” che forse si ricrederebbero se gli si dicesse come in diversi
casi gli animali colpiti a caccia sono di difficile recupero e muoiono dopo
lunghe e inutili e peregrinazioni. E’ inoltre vero che proiettili del genere
spesso si rivelano poco espansivi e perciò sono più pericolosi.
A
proposito, tra le tante sciocchezze che propagano gli “esperti”, vi è la
leggenda che l’uso della carabina nelle battute al cinghiale sarebbe
preferibile a fini di sicurezza (taluni
arrivano a proporlo come obbligatorio !) in quanto i proiettili da canna rigata si frantumerebbero
minutamente su qualsiasi bersaglio,
annullando i rischi dei rimbalzi.
In
realtà i più recenti e approfonditi studi balistici tedeschi, proprio in ambito
venatorio, hanno dimostrato che il rischio di rimbalzo dei proiettili da
carabina è uguale a quello da canna liscia. In più esiste, quello sì
maggiorato, il rischio legato al forte aumento delle portate (anche più di 5000
metri per i medi calibri da carabina, a fronte di circa 1500 metri per le palle
uniche da fucile liscio).
E’
chiaro che finché la legge ci permette ancora di scegliere, ognuno potrà
regolarsi su quale arma usare in battuta, per cui se la carabina affascina chi
non ne ha mai avuta una sinora, o chi crede in buona fede che sia l’arma
preferibile, che faccia pure !
La
sicurezza a caccia al cinghiale, dipende dall’intelligenza e dall’esperienza
del cacciatore e dalla buona e rigorosa organizzazione della battuta. Se devo
trovare un pesante difetto al nostro modo di cacciare è il disordine e le troppe
iniziative personali dei singoli componenti che a dispetto di ciò che credono,
va a detrimento pure del risultato della caccia.
Nella
mia vita professionale, ho fatto molte perizie e consulenze tecniche in materia
balistica e sugli incidenti mortali o i ferimenti di caccia, altre ne ho in
corso (una proprio sul rimbalzo mortale del nucleo di piombo di un proiettile
cal. .30-06), e posso assicurare che differenze tra carabine e fucili a canna
liscia non ne esistono, anzi, gli incidenti più terribili li ho veduti proprio
derivare dall’uso allegro delle carabine, sia per colpo diretto che indiretto
per rimbalzi, dunque so di cosa parlo e le mie Relazioni sono depositate nei
Tribunali di quasi tutta Italia.
Esperti
italiani preparati e autorevoli, che hanno scritto su questo tema sono il
famoso Giudice Edoardo Mori di Bolzano, nonché Vittorio Balzi che ebbe a
pubblicare qualche tempo addietro, una eccellente disamina sulle munizioni da
carabina nel sito della Benelli di Urbino.
Il
comma c) dell’art. 102, apre un curioso tema di attualità, vista l’occhiuta
sorveglianza dello stato in materia fiscale. Per le spoglie degli ungulati
cacciati il Regolamento ammette che si possano vendere e parla chiaramente di
“commercializzazione, ovvero cessione con l’obbligo di conferimento presso un
centro di lavorazione carni.”
Effettivamente nel bolognese oramai hanno stabilito anche questo, ma con
quale regime fiscale avverrebbe la “commercializzazione” ?
Lascio
ovviamente a questi Soloni il problema, ma osservo, sempre disgustato, che la
caccia è una cosa e il mestiere di macellaio che essi desiderano esercitare, è
un altro.
Ora mi
sono stufato di leggere sciocchezze e provocazioni, rinnovo soltanto le mie
proteste per l’art. 108 dove addirittura si legge che le abilitazioni dei cani
da traccia deve essere rinnovata ogni 3 anni.
Ma
stiamo scherzando, a queste cose porta la voglia di far soldi alle spalle dei
cacciatori ?
Concludo con il commento ad un’osservazione non mia.
Un mio
carissimo amico d’infanzia, compaesano e abilissimo cacciatore, infinitamente
più bravo di me, ascoltando le mie parole di protesta con la faccia sempre più
nera, a un certo punto dopo avermi vigorosamente controbattuto su molti punti,
urlando come un ossesso, mi ha detto: ma insomma, il nuovo Regolamento
rispecchia gli indirizzi della normativa nazionale sulla caccia, lo vuoi capire
o no !?!?
Abbiamo
litigato, come possono fare due vecchi amici di una vita davanti a cose sentite
e sofferte nell’intimo, ma gli ho risposto urlando anch’io, che non me ne
importava niente.
Io la
penso in questo modo, e sono contento che finalmente qualcuno si è ribellato e
voglio contribuire ad una protesta che amerei si estendesse ai cacciatori di
tutta Italia. Il mio amico ha finito per dirmi che tanto non succederà niente e
che le squadre del nostro ATC vastese saranno facilmente sconfitte e l’ATC
commissariato, lasciandoci tutti con un palmo di naso.
Forse
succederà così, ma una bella battaglia perduta vale lo stesso qualcosa e i
politici se hanno a cuore anche i nostri voti, farebbero bene a darci ascolto
ogni tanto, se non altro per cercare di capire le nostre ragioni che invece,
pare, non interessino a nessuno.
Corrado Cipolla
d’Abruzzo
Bisogna... Che ogni cacciatore dirigente politico legga con attenzione questa lettera...
RispondiEliminaCosì si fa proprio una bella idea dei cacciatori e chiude per sempre la caccia ...
EliminaOVUNQUE SCRIVO LUNGHI SERMONI IN UN PESSIMO ITALIANO,MA CON QUESTO TUO LUNGHISSIMO RESO CONTO DEI FATTI ATTUALI SULLA CACCIA IN TOTO IN ITALIA MI TOCCA INCHINARMI PER LA PRIMA VOLTA IN VITA MIA E DICO BREVEMENTE E SEMPLICEMENTE :SEI GRANDE !!!!
RispondiEliminaOVUNQUE SCRIVO LUNGHI SERMONI IN UN PESSIMO ITALIANO,MA CON QUESTO TUO LUNGHISSIMO RESO CONTO DEI FATTI ATTUALI SULLA CACCIA IN TOTO IN ITALIA MI TOCCA INCHINARMI PER LA PRIMA VOLTA IN VITA MIA E DICO BREVEMENTE E SEMPLICEMENTE :SEI GRANDE !!!!
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