venerdì 30 novembre 2012



L’America che trovi
L’ecologia del fucile
La natura, tornata selvaggia, costa al Paese 30 miliardi,
e dà il via libera alla caccia

NEW YORK
Quella del cacciatore con stivali e tuta mimetica è una delle immagini tipiche dell’America “profonda” (e conservatrice), con evidente disagio di John Kerry che veniva opposto con questa immagine a George Bush nella battaglia per la Casa Bianca, a caccia dei voti dell’America rurale, più che di selvaggina. Ma oggi, proprio nel Massachusetts progressista, ci sono docenti di scienze ambientali che considerano ecologico e giusto abbattere cervi a fucilate. A differenza di quello che si crede in genere, la riforestazione negli Usa (soprattutto nell’Est americano), ha avuto un successo enorme: i boschi hanno riconquistato quasi il 90% dell’area coperta nel 1630. E molti animali selvatici (dai castori ai coyote) pressoché estinti nell’800, epoca di caccia spietata e incontrollata, sono tornati a moltiplicarsi. La popolazione dei cervi, che un secolo fa si era ridotta ad appena 350 mila esemplari in tutti gli Stati Uniti, ora è tornata ai livelli dell’America selvaggia dell’era precolombiana: 30 milioni. Solo che nel frattempo l’America è cambiata: piena di foreste (il 63% del Massachusetts) ma anche di città e strade. Risultato: questa natura di nuovo rigogliosa costa agli americani 30 miliardi di dollari l’anno tra danni ai raccolti e a infrastrutture varie e incidenti stradali. Un miliardo e mezzo solo per i cervi investiti sull’asfalto. Così anche nei borghi “liberal” del New England la gente, sempre più esasperata, rivaluta la figura del cacciatore. Chi è comunque contro le armi da fuoco riceve una fredda risposta matematica: le armi uccidono 31 mila americani ogni anno, ma i casi nei quali a sparare è un cacciatore sono solo 100 (in genere si ammazzano tra loro, per sbaglio). E gli incidenti stradali causati da un cervo provocano 25 morti e 30 mila feriti l’anno.

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