L’America che
trovi
L’ecologia del
fucile
La natura,
tornata selvaggia, costa al Paese 30 miliardi,
e dà il via
libera alla caccia
NEW
YORK
Quella del
cacciatore con stivali e tuta mimetica è una delle immagini tipiche dell’America
“profonda” (e conservatrice), con evidente disagio di John Kerry che veniva
opposto con questa immagine a George Bush nella battaglia per la Casa Bianca, a
caccia dei voti dell’America rurale, più che di selvaggina. Ma oggi, proprio nel
Massachusetts progressista, ci sono docenti di scienze ambientali che
considerano ecologico e giusto abbattere cervi a fucilate. A differenza di
quello che si crede in genere, la riforestazione negli Usa (soprattutto nell’Est
americano), ha avuto un successo enorme: i boschi hanno riconquistato quasi il
90% dell’area coperta nel 1630. E molti animali selvatici (dai castori ai
coyote) pressoché estinti nell’800, epoca di caccia spietata e incontrollata,
sono tornati a moltiplicarsi. La popolazione dei cervi, che un secolo fa si era
ridotta ad appena 350 mila esemplari in tutti gli Stati Uniti, ora è tornata ai
livelli dell’America selvaggia dell’era precolombiana: 30 milioni. Solo che nel
frattempo l’America è cambiata: piena di foreste (il 63% del Massachusetts) ma
anche di città e strade. Risultato: questa natura di nuovo rigogliosa costa agli
americani 30 miliardi di dollari l’anno tra danni ai raccolti e a infrastrutture
varie e incidenti stradali. Un miliardo e mezzo solo per i cervi investiti
sull’asfalto. Così anche nei borghi “liberal” del New England la gente, sempre
più esasperata, rivaluta la figura del cacciatore. Chi è comunque contro le armi
da fuoco riceve una fredda risposta matematica: le armi uccidono 31 mila
americani ogni anno, ma i casi nei quali a sparare è un cacciatore sono solo 100
(in genere si ammazzano tra loro, per sbaglio). E gli incidenti stradali causati
da un cervo provocano 25 morti e 30 mila feriti l’anno.
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