martedì 10 luglio 2012

LA RICERCA DIMENTICATA


lunedì 9 luglio 2012

Tordo Si diceva la ricerca. Quella applicata alla caccia. Così si chiamava infatti un tempo il laboratorio di Bologna (Laboratorio di Zoologia Applicata alla caccia), quello fondato nel 1933 dal prof. Alessandro Ghigi. Per anni Rettore dell'Ateneo bolognese, come si legge sul Dizionario biografico Treccani, Ghigi fu “un antesignano della protezione della natura, della difesa degli equilibri biologici, della tutela del paesaggio, della conservazione delle risorse naturali, dell'educazione naturalistica nella scuola, argomenti a lui congeniali fin dall'inizio dell'attività, ma a cui consacrò in particolare gli ultimi, operosissimi anni di vita; deve essere quindi considerato maestro e pioniere dell'ecologia pura e applicata".

“Scienziato, educatore e umanista – si legge ancora sul Treccani - il G. fu altresì uomo di azione, capace di iniziative che lasciarono il segno nel settore dell'educazione e nel campo della zoologia applicata. Presso l'Università di Bologna istituì nel 1922 la cattedra, e nel 1939 l'istituto, di zoocolture, il Centro avicolo e l'Istituto nazionale di apicoltura nel 1931, il Laboratorio di zoologia applicata alla caccia, divenuto poi Istituto di biologia della selvaggina. A Rovigo creò nel 1921 la Stazione sperimentale di pollicoltura di cui tenne la direzione fino al 1936, e a Fano il Laboratorio di biologia marina e di pesca (1939). Nel 1911 fondò, insieme con E. Arrigoni degli Oddi e altri, la Rivista italiana di ornitologia e nel 1931 la Rivista di avicoltura. Nel 1951 costituì, e per lunghi anni presiedette, la Commissione per la protezione della natura e delle sue risorse in seno al Consiglio nazionale delle ricerche".

E ancora: “La sua riconosciuta competenza gli valse importanti cariche amministrative e politiche: deputato al Parlamento dal 1934 al 1939, consigliere nazionale dal 1939 al 1943, senatore del Regno fino alla soppressione del Senato regio, consigliere superiore della educazione nazionale dal 1935 al 1943: in tale veste propose, come unico naturalista, riforme tuttora in vigore nelle nostre università. Fu membro dell'Accademia pontificia, di quelle dei Lincei, dei XL, delle scienze di Bologna, delle scienze di Torino e dell'American Ornithologists' Union di Washington, socio onorario della British Ornithologists' di Londra, della Zoological Society di Londra e della Societé mammologique et ornithologique di Francia, membro d'onore e medaglia d'oro del Conseil international de la chasse di Parigi, presidente della World's Poultry science Association, medaglia d'oro del Consiglio nazionale delle ricerche, dottore honoris causa delle Università di Boston e di Coimbra".

Questo era l'uomo, non esente da peccati ideologici, dirà qualcuno, che tuttavia non potranno cancellare i tanti tantissimi meriti scientifici. E il grande merito di aver assistito con la sua sapienza, e il suo impegno, un'attività, la nostra, ponendosi come primo riferimento la  zoologia “applicata”. Si adoperò, come del resto i suoi allievi (fra tutti Augusto Toschi, autore di una monumentale “Avifauna Italiana”), a far sì che la ricerca s'indirizzasse su questioni pratiche, che avessero riscontro nelle cose. Basandosi sulle tante tantissime competenze dei cacciatori. Volontari, al servizio di una causa, che prima di essere fine a se stessa, si preoccupava - e ancora si preoccupa - della conservazione di un bene comune.

Allora c'erano le risorse, si dirà, allora erano altri tempi. Allora c'erano altri valori. E' vero. Non c'è dubbio. Ma è altrettanto vero che l'esperienza e la disponibilità dei cacciatori, nonostante tutto, ci sono ancora. La passione e la voglia di darsi da fare, da parte degli stessi, pure. Le competenze, lacunose quanto volete, anche. Perdipiù, nel mentre  si denuncia un distacco sempre più marcato di certa ricerca dalle cose reali – e non solo per mancanza di fondi – d'altra parte si fa di tutto per arroccarsi dietro a pretese competenze, ignorando o rifiutando confronti, collaborazioni, disponibilità.

Certo è che non si può fare ricerca applicata - alla caccia, ovviamente, che non si ha più neppure il coraggio di definirla col suo nome: oggi si nasconde tutto dietro una generica e mistificante definizione di Protezione e Ricerca Ambientale con un rinvio specifico a un tramontato Istituto per la Fauna Selvatica, ancor prima definito  della Biologia della Selvaggina” (che poi caccia è. O almeno “era”, visto che sempre più spesso si adoperano termini come "controllo", "selezione", "prelievo degli esuberi") - no non si può fare, se non si usufruisce di competenze diffuse, se non si "presidia" quotidianamente l'ambito dell'indagine, se non si fa conto su una disponibilità di risorse a basso costo e ad alta resa.

Del resto, volendo approfondire, sono anni che si fa di tutto per allargare il solco, insistendo nel distinguere fra caccia (e sua gestione) e tutela della fauna, fra ministeri competenti: da una parte quello dell'agricoltura, - quello giusto, non c'è dubbio alcuno, almeno finchè la presenza della fauna selvatica dipenderà dalle peculiarità “rurali” del territorio - e quello dell'ambiente, costituito, ormai l'hanno capito tutti, per far da paravento a certe “trascuratezze” (le vogliamo chiamare così?) dei nostri amministratori pubblici, dediti più a cavalcare le diverse onde populiste, e certi egoismi, che non a preoccuparsi di una tutela dinamica, produttiva, economicamente sostenibile, come invece fanno ovunque nel mondo. In cerca di applausi facili, piuttosto che di critiche sofferte.

E che la ricerca applicata non navighi in mari tranquilli lo si riscontra facilmente quando ci soffermiamo a scorrere i dati delle scarne ricerche (e vecchie) verso cui si indirizzano le ancor più scarne risorse di cui si dispone. Sull'avifauna, per esempio, cavallo di battaglia di Ghigi (e di Toschi), quella migratoria in particolare, si fa prima a dire "non siamo in grado di fornire elementi conoscitivi", piuttosto che "diamoci da fare insieme, dateci una mano, diamoci una mano".

Per cui si assiste a una superfetazione di organismi, con l'immancabile apposizione di nuove sigle a liturgie vecchie e logore, che celebrano più il dejavue piuttosto che addentrarsi in territori incogniti, e si perdono di vista gli obiettivi primari, che non sono quelli di stabilire un soggettivo primato della verità, ma più semplicemente risolvere problemi pratici per  mantenere un patrimonio che ormai sembra orientarsi verso un'irresponsabile "automanutenzione". Col risultato che la natura prenderà davvero il sopravvento e il nostro bel paese (paesaggio?) e la selvaggina che un tempo si definiva "pregiata", ovvero che aveva un...prezzo, se ne andranno a farsi benedire.

Belli quei tempi, quando il vecchio prof. Videsott, direttore del Gran Paradiso, concedeva qualche capo al safarista di turno, e così integrava i suoi bilanci. Mentre oggi si assiste alla commedia del capo-vigilantes imbellettato, che davanti a una telecamera snocciola i successi contro il bracconaggio, ignaro che l'acqua del fiume che gli lambisce i lucidi stivaloni da parata, trasporta veleni, liquami organici e lavatrici, non certo prodotti da quei pochi untorelli - esecrandi, d'accordo, nessuno vuole giustificare il bracconaggio -   ma frutto invece di macroscopiche anomalie di cui tutti siamo vittime.
O tempora, o mores...
 

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