Il nodo delle specie aliene che fa capitolare gli ambientalisti | |
Si
parla di loro solo quando se ne percepisce il danno economico (12
miliardi di euro l'anno solo in Europa, fonte Commissione Ue), ovvero
quando la loro diffusione è ormai ai limiti dell'emergenza. Ma le specie
“aliene” sono qui già da un pezzo e a portarcele, nella stragrande
maggioranza dei casi, siamo stati noi.
E' proprio la loro “estraneità” a renderle inesorabilmente così pericolose. Nelle nostre poche aree verdi, ormai – soprattutto nella nostra martoriata Italia - ridotte ad un colabrodo e aggredite da periferie sempre più invasive, non esistono le condizioni perché possano inserirsi in un ecosistema senza stravolgerlo. Scoiattoli “stranieri” e castorini grossi come maiali (nutrie) non hanno predatori naturali nel vecchio continente e la loro presenza finisce per ridurre all'osso e soppiantare per sempre altre specie autoctone, preziose per quella che oggi chiamano biodiversità.
Qualcuno obietterà che è sempre accaduto nella storia del pianeta che
alcune specie estranee abbiano ad un certo punto colonizzato altre aree,
determinando di conseguenza profonde trasformazioni negli anelli della
catena alimentare, causando l'estinzione di piante e animali che lì vi
erano da millenni. Del resto, si potrebbe aggiungere, anche l'uomo è una
specie invasiva, visto che dalla sua origine in Africa alcuni milioni
di anni fa, ha colonizzato man mano tutto il globo, causando
irreparabili danni qua e là. Certamente sì. Ma è proprio la nostra
ingombrante presenza a far cambiare le regole del gioco. Lo spazio delle
foreste è così ridotto che se perdiamo una specie in un determinato
posto, non abbiamo alcuna speranza che possa trovare condizioni
favorevoli in altro luogo e ciò significa una sola cosa: perdita,
appunto, di biodiversità. Da qui nasce lo spirito innescato
dall'assemblea dell'Onu di pensare ad una strategia per invertire la
marcia e comunque rallentare il ritmo della sparizione di specie. (Con
la prospettiva, speriamo, di invertire poi il percorso del pernicioso
fenomeno).
Oggi l'UE dice che gli “alieni” sono la prima minaccia per la
biodiversità insieme alla perdita di ambienti naturali e che, quindi,
occorre occuparsene al più presto. Chi ha orecchie per intendere capirà
che finalmente il messaggio è rivolto anche e soprattutto a quelle
barricate ambientaliste e animaliste che immancabilmente si alzano tutte
le volte che sentono parlare di contenimenti e cacce selettive.
Di
fronte a questi soggetti, finalmente, si apre un bivio. Le più famose
associazioni sedicenti ambientaliste dovranno decidere se schierarsi con
il raziocinio scientifico o se continuare a far finta che è possibile
proteggere tutto e tutti, senza un minimo di discernimento. Cambiare
però vuol dire anche fare i conti con le proprie enormi contraddizioni e
mettere a nudo quelle dei loro sostenitori, cittadini un po' distratti e
sensibili, che chiudono gli occhi di fronte alle esigenze di gestione
ma rispondono benissimo agli appelli di sensibilizzazione sulla
protezione di questo o quell'animale in pericolo.
Per
la verità un esempio di questa conversione si è già visto con la
derattizzazione sull'Isola di Montecristo, con Legambiente e Lipu che
hanno dovuto riconoscere pubblicamente l'esistenza di categorie ben
distinte tra animali di serie a (in questo caso la berta minore,
migratore minacciato) e di serie d (insulsi ratti capaci di riprodursi a
ritmo insostenibile). I topi non hanno lo stesso diritto di vita delle
splendide e rare berte minori, perché sono troppi e di conseguenza
costituiscono un problema. Erano anni che gli ambientalisti non
arrivavano a dire tanto!
Chissà quanti fra loro parteciperanno alla consultazione web avviata dalla Commissione UE per coinvolgere i cittadini europei nel processo decisionale, rispetto alle azioni da intraprendere sulle specie invasive, dalle cui premesse si evince in maniera non certo velata, quella della necessità di una drastica e rapida riduzione (eliminazione) del numero degli esemplari. Unica e vera forza motore della strategia sulla biodiversità approvata lo scorso anno. Le soluzioni finora applicate si sono rivelate inefficienti, per questo l'Europa intende adottare un approccio sistematico basato su prevenzione, rilevamento precoce e rapida reazione. Ovvero il principio autoregolato della caccia di selezione, praticata in ogni luogo del mondo per tenere sotto controllo le popolazioni faunistiche.
Ma la situazione può volgere anche in senso contrario e radicalizzare le
posizioni. Forse non è un caso che la Brambilla abbia tenuto a
battesimo proprio ora la nascita di una (grande?) federazione
animalista-ambientalista che, dalle premesse, sembra intenda accettare
per partito preso (in maniera fideistica) i più vieti e insulsi dogmi
animalisti. Chiudendo quindi la porta a qualsiasi recupero di
raziocinio. E' questa la strada? Lo chiediamo a quei tanti ambientalisti
iscritti alle associazioni che hanno aderito alla crociata
brambilliana, che – se non sono cacciatori, ma qualcuno c'è – hanno
almeno rispetto per i valori che il mondo della caccia rappresenta e
stima per tanti cacciatori.
|
Questo blog e per tutti quelli che vivono pienamente il profondo rapporto con la natura. Faremo di questo spazio un laboratorio d’idee, di scambio di esperienze, parleremo e mostreremo le nostre attività promuovendo il pensiero che andare a pesca e a caccia non significa solo catturare o uccidere le prede, ma che le persone che hanno la vera passione per questi sport lavorano e s’impegnano anche per salvaguardare equilibri e ambienti con cui amano essere a contatto. Angelo Pessolano
lunedì 2 aprile 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento