martedì 24 aprile 2012

copio e incollo da FB: Referendum sulla limitazione della caccia in Piemonte

Il 3 Giugno in Piemonte si svolgerà un referendum volto, secondo quanto riferito dai promotori, a “Ridimensionare” la caccia in Piemonte attraverso la modifica di alcuni articoli della legge Regionale Piemontese.
Sorvolo sul fatto che dall’epoca in cui furono raccolte le firme, (il passato remoto è d’obbligo) siano passati ormai 25 anni e che la legge regionale che i firmatari si proponevano di modificare è stata sostituita dalla legge n.70 del 1996, e pertanto la legge che il referendum si proporrebbe di modificare non è più in vigore.
Secondo quanto riportato nel sito www.referendumcaccia.it, il referendum non è volto all’abolizione della caccia in Piemonte, ma si pone l’obbiettivo di limitare drasticamente l’attività venatoria nella nostra Regione. In realtà la denegata vittoria dei “si” comporterebbe di fatto al chiusura della caccia in Piemonte per i motivi nel seguito riportati.
Le “richieste referendarie” possono così essere sintetizzate:

1) Divieto di caccia per 25 specie selvatiche, secondo i promotori referendari a rischio di estinzione. Preliminarmente occorre rilevare che le specie cacciabili, sono stabilite a livello
nazionale dall’ISPRA, già INFS, (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) autorevole istituzione posta ora alle dipendenze del Ministero dell’Ambiente, riconosciuta ed apprezzata anche a livello internazionale per la propria competenza, sulla cui imparzialità nessun soggetto in buona fede ha mai osato insinuare dubbi. Orbene se per l’ISPRA queste specie sono cacciabili non si capisce il motivo per cui, secondo i promotori referendari, queste specie siano invece a rischio di estinzione.
Probabilmente i promotori referendari si arrogano una competenza superiore a quella dei tecnici faunistici dell’ISPRA. Ma soprattutto QUELLO CHE I PROMOTORI SUBDOLAMENTE NON DICONO è che alcune delle specie per le quali si vuole introdurre il divieto di prelievo
venatorio (volpe capriolo cervo e daino) sarebbero comunque oggetto di interventi di controllo (cioè sottoposte a piani di abbattimento per limitare i danni all’ambiente ed all’uomo) con la differenza che, non potendo essere prelevate dai cacciatori che pagano per farlo, (procurando ricavi alle amministrazioni provinciali) verrebbero abbattute esclusivamente dal personale delle amministrazioni provinciali, che invece devono essere pagati per farlo, (comportando ulteriori costi alle già “ricche” casse delle amministrazioni provinciali) Inoltre si consideri che, attualmente il prelievo degli ungulati (camoscio, capriolo cervo e daino) che i promotori vorrebbero interdire, avviene solo ed esclusivamente, secondo la legislazione nazionale e regionale, attraverso la caccia di selezione, da parte di cacciatori appositamente abilitati attraverso corsi particolarmente impegnativi e selettivi.
Per i profani spiego brevemente in cosa consista la caccia di selezione agli ungulati: Ogni anno a fine inverno nei comprensori alpini (all’interno dei quali la caccia è esercitata solo previo conseguimento di un’ulteriore abilitazione, il cui esame è particolarmente selettivo) e negli ambiti territoriali di caccia, vengono effettuati i c.d. “censimenti” ai quali partecipano cacciatori volontari coordinati dal personale delle Amministrazioni Provinciali, sotto la supervisione di tecnici faunistici dell’ISPRA (istituzione, come sopra riportato, universalmente riconosciuta come particolarmente qualificata e “super partes,” che in un mondo ideale dovrebbe essere l’unica ad avere il potere di disporre in materia venatoria). Tali censimenti hanno lo scopo di individuare il numero di animali presenti in una determinata area, suddiviso per specie, sesso e classe di età. Una volta effettuato il censimento quali - quantitativo (numero, sesso e classe di età) delle diverse specie, i tecnici faunistici dell’ISPRA e delle province, in funzione del raggiungimento o del mantenimento delle corrette densità faunistiche, (ovvero del numero di animali che può vivere in un determinato territorio in salute e senza creare problemi all’ambiente o all’uomo) redigono i piani di prelievo. I piani di prelievo individuano per sesso e classe di età il numero di animali che dovranno essere prelevati nel corso della successiva stagione venatoria. Tali animali, eccedenti la capacità portante del territorio, vengono quindi assegnati ai cacciatori (in possesso dell’abilitazione alla caccia di selezione negli ambiti territoriali di caccia, ed in possesso dell’abilitazione alla caccia dei selezione ed alla caccia in zona alpi, nei comprensori alpini) mediante consegna di una “fascetta”.
Tale assegnazione non avviene in modo generico (es. un cervo), ma per sesso e classe di età (un cervo maschio adulto piuttosto che una camoscia femmina giovane), al fine di conservare o tendere al corretto equilibrio qualitativo e alla corretta “sex ratio” all’interno delle diverse specie. Il cacciatore pertanto nel momento in cui va a caccia, ha solo la possibilità di prelevare il capo assegnatogli per specie, sesso e classe di età.
Il cacciatore effettuerà quindi parecchie uscite (nei limiti delle ahimè scarsissime possibilità offerte dal calendario regionale), per cercare il selvatico da insidiare, riconoscerlo come corrispondente al piano di prelievo assegnatogli e riuscire a sparare con la ragionevole certezza di effettuare un prelievo pulito, ossia senza ferire l’animale e provocare allo stesso inutili sofferenze prima della morte. Una volta portata a coronamento l’azione venatoria (cosa che molto difficilmente avviene alla prima uscita) il cacciatore deve apporre la fascetta al capo prelevato, portare il capo al centro di controllo per l’esame dello stesso e, qualora il capo prelevato corrisponda al capo assegnato, lo stesso viene consegnato al cacciatore previa asportazione della fascetta ed effettuazione delle rilevazioni biometriche, che consentono di verificare lo stato di salute della popolazione.
In caso di errore, il cacciatore viene inibito dall’esercizio venatorio per tutta la stagione e per quella successiva. Tutto ciò premesso appare evidente a qualsiasi soggetto in buona fede, come la caccia di selezione, che i promotori referendari vorrebbero abolire, sia volta esclusivamente alla GESTIONE DELLA FAUNA, secondo i più rigidi criteri scientifici e poiché le assegnazioni dei piani di prelievo come sopra identificate, avvengono a pagamento (e non a prezzi modici) come sia fonte di non indifferenti ricavi per le amministrazioni provinciali.
In caso di abolizione della caccia di selezione i piani di prelievo verrebbero comunque eseguiti, come sopra evidenziato, da personale della polizia provinciale, che invece deve essere pagato, comportando invece costi per le amministrazioni provinciali. Inoltre le stesse amministrazioni non avrebbero, senza l’ausilio gratuito dei cacciatori, mezzi sufficienti per porre in essere le necessarie attività di gestione come censimenti, foraggiamenti e miglioramenti ambientali. Perché non ho mai visto un’animalista partecipare a tali attività?

2) Divieto di caccia la Domenica, secondo i promotori al fine di “restituire ai cittadini la possibilità di frequentare la domenica in sicurezza boschi, campagne, monti, aree naturali della nostra regione”. Secondo quanto asserito dai promotori referendari l’attività venatoria “mette a repentaglio” la sicurezza dei cittadini che vogliono frequentare la natura. Nel riconoscere che ogni anno si verificano alcuni, anche gravi, “incidenti di caccia” rilevo tuttavia come nella quasi totalità dei casi, le vittime di tali incidenti (comunque da evitare attraverso una maggiore attenzione da parte di alcuni cacciatori) siano i cacciatori stessi. Rilevo inoltre che il numero dei ciclisti vittime di incidenti stradali sono di gran lunga superiori a quello delle vittime di incidenti venatori (secondo le compagnie di assicurazione il ciclismo su strada è lo sport più pericoloso praticato in Italia).
Mi aspetterei pertanto che i promotori richiedano il divieto di circolazione delle autovetture la Domenica al fine di consentire ai ciclisti la possibilità esercitare la loro passione domenicale percorrendo le strade in sicurezza! Rilevo altresì che, secondo quanto statuito dalla legge nazionale la caccia si esercita dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre o dal primo di novembre al 31 gennaio, a seconda delle regioni, per non più di tre giorni alla settimana con esclusione delle giornate di martedì e venerdì.
Considerando che mal calcolati sono tre mesi all’anno, se qualcuno è così spaventato dall’attività venatoria, in quei tre mesi potrebbe benissimo astenersi dal frequentare la natura e dedicarsi ad altre attività, posto che IL CACCIATORE HA IL MEDESIMO DIRITTO DI USUFRUIRE DEL TERRITORIO DEGLI ALTRI CITTTADINI, E CHE LO FA PER SOLI TRE MESI ALL’ANNO che peraltro, climaticamente, non sono i migliori per frequentare la natura.
Rilevo infine che l’attività venatoria viene generalmente svolta in luoghi e soprattutto in orari in cui difficilmente si incontrano dei gitanti a spasso per i boschi. La caccia di selezione ad esempio viene efficacemente praticata fino a mezz’ora dopo il sorgere del sole ed al tramonto, orari nei quali i gitanti o sono ancora a letto, o sono già tornati a casa.

3) Divieto di cacciare su terreno ricoperto di neve.

Gli stessi promotori referendari riconoscono che “già oggi è così” La caccia su territorio ricoperto di neve è consentita solo nei comprensori alpini, dove si pratica prevalentemente la caccia di selezione agli ungulati secondo quanto sopra specificato e che i promotori referendari vorrebbero abolire. Di fatto vietare la caccia sulla neve significherebbe vietare la caccia in montagna posto che in gran parte del periodo in cui è concesso l’esercizio dell’attività venatoria, le montagne sono innevate. In questo caso la gestione del cervo, che se in sovrannumero impedisce il rinnovamento dei boschi da chi verrebbe posta in essere? Nel parco dello Stelvio, dove la caccia era interdetta ed i cervi in sovrannumero le
amministrazioni provinciali hanno ottenuto, dopo lunghe battaglie e polemiche, di poter consentire il prelievo di selezione, perché i boschi stavano morendo.

4) Limitazione ai privilegi concessi alle aziende faunistico-venatorie.
Nelle aziende faunistico venatorie non esistono i limiti di prelievo in vigore nel territorio libero ed i promotori referendari vorrebbero “abolire questo privilegio per chi può permettersi di andare a caccia in strutture private” Il motivo per il quale la LEGISLAZIONE NAZIONALE e non solo quella Pimontese, non pone limiti al prelievo nelle aziende faunistico-venatorie è molto semplice e di immediata comprensione.
Nelle aziende faunistico-venatorie, non esistono le necessità di tutela che invece sono presenti sul resto del territorio dove la fauna, se prelevata in numero eccessivo, non è in grado di rigenerarsi. Nelle aziende faunistico-venatorie la fauna da prelevare viene introdotta dal titolare della concessione (il proprietario) che la acquista presso gli appositi allevamenti, con benefici effetti di diffusione della stessa nel territorio circostante.
Si consideri che per effetto delle mutazioni subite dal territorio (e si badi bene non per effetto dell’attività venatoria) la fauna presente in Italia è radicalmente cambiata. Se una volta i volatili (in termine venatorio “La Piuma”) erano le prede principali se non esclusive dei cacciatori, l’abbandono dei campi coltivati (habitat naturale di questo tipo di selvaggina) ha determinato l’espandersi del bosco che invece è l’habitat naturale degli ungulati. Le uniche zone ancora ricche di avifauna stanziale di interesse venatorio (fagiani, pernici, starne ecc.) sono le aziende faunistico-venatorie ed i territori immediatamente limitrofi, dove tale tipo di fauna viene periodicamente introdotto dal concessionario.
Imporre alle aziende faunistico-venatorie gli stessi limiti di prelievo in vigore nel territorio libero, di fatto significa decretarne la chiusura, non essendo più in grado le stesse di coprire i costi di gestione, consentendo il prelievo di due fagiani a cacciatore!!! Dopo aver “brevemente” analizzato i quesiti referendari è forse più agevole comprendere perché la malaugurata “vittoria dei si” e la modifica della legge regionale secondo le richieste referendarie (peraltro allo stato la più rigida e meno permissiva di tutto il territorio nazionale) comporterebbe di fatto la chiusura della caccia in Piemonte
L’introduzione del limite di carniere all’interno delle aziende faunistico-venatorie, comporterebbe la scomparsa delle stesse per impossibilità di stare sul mercato. L’abolizione della caccia di selezione agli ungulati determinerebbe l’impossibilità per le amministrazioni provinciali di gestire efficacemente tale tipo di fauna, in assenza dell’ausilio gratuito dei cacciatori che, in cambio dell’assegnazione dei piani di prelievo, pongono in essere sotto la supervisione dei tecnici faunistici provinciali le necessarie attività di gestione.
L’abolizione della caccia di selezione inoltre non porterebbe alcun beneficio alla fauna stessa, comunque oggetto di piani di abbattimento da parte del personale delle amministrazioni provinciali.
Infine abolire la possibilità di esercitare l’attività venatoria la Domenica significa in pratica interdire l’esercizio della caccia alla maggior parte dei cacciatori che avendo ancora la “fortuna di lavorare” possono dedicare alla loro passione solo tale giorno.

QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che la caccia oggi è indirizzata alla gestione e conservazione della fauna e della biodiversità, gestione ispirata ai più rigidi criteri scientifici, sotto l’attenta supervisione dell’ISPRA

QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che l’attività venatoria muove in Piemonte ogni anno milioni di euro tra tasse, che vengono utilizzate per miglioramenti ambientali e risarcimenti dei danni causati dalla fauna all’agricoltura ed indotto, che da vivere a migliaia di famiglie

QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che l’accoglimento dei quesiti referendari metterebbe in ginocchio migliaia di famiglie che vivono di indotto, fra aziende faunistiche venatorie, allevamenti di selvaggina produttori di abbigliamento ed armerie. Ma tanto al giorno d’oggi non è difficile trovare un altro lavoro!!!
Un calcolo sommario dell’Associazione Nazionale Produttori di Selvaggina, ha stimato in circa 4 mila le aziende agricole che chiuderebbero in caso di accoglimento dei quesiti referendari.

QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che la caccia di selezione, della quale è richiesta l’abolizione, è attualmente l’unica forma possibile di gestione degli ungulati, praticata da cacciatori appassionati e preparati, formati da corsi estremamente selettivi e che nutrono un profondo amore per la natura e per gli animali stessi.

QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che nei parchi dove la caccia di selezione non è consentita, i piani di abbattimento vengono comunque realizzati dal personale delle amministrazioni provinciali, con metodi necessariamente sbrigativi e assai lontani dall’etica. Nel parco della Mandria dove ad oggi la caccia di selezione non è consentita, e dove vi sono circa mille cinghiali da eradicare, questi vengono catturati attraverso delle gabbie e freddati a colpi di pistola.
Nello stesso parco le guardie provinciali hanno dovuto abbattere negli ultimi anni più di mille cervi perché impedivano il ricambio del bosco. La carne di questi animali, anziché essere consumata come avrebbero fatto i cacciatori, veniva bruciata perché l’amministrazione non disponeva dei fondi necessari ad approntare un macello a norma di legge.

PER TUTTO QUANTO SOPRA SI  INVITANO I PIEMONTESI A NON ANDARE A VOTARE IL 3 GIUGNO PROSSIMO

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