copio e incollo da FB: Referendum sulla limitazione della caccia in Piemonte
Il 3 Giugno in Piemonte si svolgerà un referendum volto, secondo quanto
riferito dai promotori, a “Ridimensionare” la caccia in Piemonte
attraverso la modifica di alcuni articoli della legge Regionale
Piemontese.
Sorvolo sul fatto che dall’epoca in cui furono
raccolte le firme, (il passato remoto è d’obbligo) siano passati ormai
25 anni e che la legge regionale che i firmatari si proponevano di
modificare è stata sostituita dalla legge n.70 del 1996, e pertanto la
legge che il referendum si proporrebbe di modificare non è più in
vigore.
Secondo quanto riportato nel sito www.referendumcaccia.it,
il referendum non è volto all’abolizione della caccia in Piemonte, ma
si pone l’obbiettivo di limitare drasticamente l’attività venatoria
nella nostra Regione. In realtà la denegata vittoria dei “si”
comporterebbe di fatto al chiusura della caccia in Piemonte per i motivi
nel seguito riportati.
Le “richieste referendarie” possono così essere sintetizzate:
1) Divieto di caccia per 25 specie selvatiche, secondo i promotori
referendari a rischio di estinzione. Preliminarmente occorre rilevare
che le specie cacciabili, sono stabilite a livello
nazionale
dall’ISPRA, già INFS, (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica)
autorevole istituzione posta ora alle dipendenze del Ministero
dell’Ambiente, riconosciuta ed apprezzata anche a livello internazionale
per la propria competenza, sulla cui imparzialità nessun soggetto in
buona fede ha mai osato insinuare dubbi. Orbene se per l’ISPRA queste
specie sono cacciabili non si capisce il motivo per cui, secondo i
promotori referendari, queste specie siano invece a rischio di
estinzione.
Probabilmente i promotori referendari si arrogano
una competenza superiore a quella dei tecnici faunistici dell’ISPRA. Ma
soprattutto QUELLO CHE I PROMOTORI SUBDOLAMENTE NON DICONO è che alcune
delle specie per le quali si vuole introdurre il divieto di prelievo
venatorio (volpe capriolo cervo e daino) sarebbero comunque oggetto di
interventi di controllo (cioè sottoposte a piani di abbattimento per
limitare i danni all’ambiente ed all’uomo) con la differenza che, non
potendo essere prelevate dai cacciatori che pagano per farlo,
(procurando ricavi alle amministrazioni provinciali) verrebbero
abbattute esclusivamente dal personale delle amministrazioni
provinciali, che invece devono essere pagati per farlo, (comportando
ulteriori costi alle già “ricche” casse delle amministrazioni
provinciali) Inoltre si consideri che, attualmente il prelievo degli
ungulati (camoscio, capriolo cervo e daino) che i promotori vorrebbero
interdire, avviene solo ed esclusivamente, secondo la legislazione
nazionale e regionale, attraverso la caccia di selezione, da parte di
cacciatori appositamente abilitati attraverso corsi particolarmente
impegnativi e selettivi.
Per i profani spiego brevemente in
cosa consista la caccia di selezione agli ungulati: Ogni anno a fine
inverno nei comprensori alpini (all’interno dei quali la caccia è
esercitata solo previo conseguimento di un’ulteriore abilitazione, il
cui esame è particolarmente selettivo) e negli ambiti territoriali di
caccia, vengono effettuati i c.d. “censimenti” ai quali partecipano
cacciatori volontari coordinati dal personale delle Amministrazioni
Provinciali, sotto la supervisione di tecnici faunistici dell’ISPRA
(istituzione, come sopra riportato, universalmente riconosciuta come
particolarmente qualificata e “super partes,” che in un mondo ideale
dovrebbe essere l’unica ad avere il potere di disporre in materia
venatoria). Tali censimenti hanno lo scopo di individuare il numero di
animali presenti in una determinata area, suddiviso per specie, sesso e
classe di età. Una volta effettuato il censimento quali - quantitativo
(numero, sesso e classe di età) delle diverse specie, i tecnici
faunistici dell’ISPRA e delle province, in funzione del raggiungimento o
del mantenimento delle corrette densità faunistiche, (ovvero del numero
di animali che può vivere in un determinato territorio in salute e
senza creare problemi all’ambiente o all’uomo) redigono i piani di
prelievo. I piani di prelievo individuano per sesso e classe di età il
numero di animali che dovranno essere prelevati nel corso della
successiva stagione venatoria. Tali animali, eccedenti la capacità
portante del territorio, vengono quindi assegnati ai cacciatori (in
possesso dell’abilitazione alla caccia di selezione negli ambiti
territoriali di caccia, ed in possesso dell’abilitazione alla caccia dei
selezione ed alla caccia in zona alpi, nei comprensori alpini) mediante
consegna di una “fascetta”.
Tale assegnazione non avviene in
modo generico (es. un cervo), ma per sesso e classe di età (un cervo
maschio adulto piuttosto che una camoscia femmina giovane), al fine di
conservare o tendere al corretto equilibrio qualitativo e alla corretta
“sex ratio” all’interno delle diverse specie. Il cacciatore pertanto nel
momento in cui va a caccia, ha solo la possibilità di prelevare il capo
assegnatogli per specie, sesso e classe di età.
Il cacciatore
effettuerà quindi parecchie uscite (nei limiti delle ahimè scarsissime
possibilità offerte dal calendario regionale), per cercare il selvatico
da insidiare, riconoscerlo come corrispondente al piano di prelievo
assegnatogli e riuscire a sparare con la ragionevole certezza di
effettuare un prelievo pulito, ossia senza ferire l’animale e provocare
allo stesso inutili sofferenze prima della morte. Una volta portata a
coronamento l’azione venatoria (cosa che molto difficilmente avviene
alla prima uscita) il cacciatore deve apporre la fascetta al capo
prelevato, portare il capo al centro di controllo per l’esame dello
stesso e, qualora il capo prelevato corrisponda al capo assegnato, lo
stesso viene consegnato al cacciatore previa asportazione della fascetta
ed effettuazione delle rilevazioni biometriche, che consentono di
verificare lo stato di salute della popolazione.
In caso di
errore, il cacciatore viene inibito dall’esercizio venatorio per tutta
la stagione e per quella successiva. Tutto ciò premesso appare evidente a
qualsiasi soggetto in buona fede, come la caccia di selezione, che i
promotori referendari vorrebbero abolire, sia volta esclusivamente alla
GESTIONE DELLA FAUNA, secondo i più rigidi criteri scientifici e poiché
le assegnazioni dei piani di prelievo come sopra identificate, avvengono
a pagamento (e non a prezzi modici) come sia fonte di non indifferenti
ricavi per le amministrazioni provinciali.
In caso di
abolizione della caccia di selezione i piani di prelievo verrebbero
comunque eseguiti, come sopra evidenziato, da personale della polizia
provinciale, che invece deve essere pagato, comportando invece costi per
le amministrazioni provinciali. Inoltre le stesse amministrazioni non
avrebbero, senza l’ausilio gratuito dei cacciatori, mezzi sufficienti
per porre in essere le necessarie attività di gestione come censimenti,
foraggiamenti e miglioramenti ambientali. Perché non ho mai visto
un’animalista partecipare a tali attività?
2) Divieto di
caccia la Domenica, secondo i promotori al fine di “restituire ai
cittadini la possibilità di frequentare la domenica in sicurezza boschi,
campagne, monti, aree naturali della nostra regione”. Secondo quanto
asserito dai promotori referendari l’attività venatoria “mette a
repentaglio” la sicurezza dei cittadini che vogliono frequentare la
natura. Nel riconoscere che ogni anno si verificano alcuni, anche gravi,
“incidenti di caccia” rilevo tuttavia come nella quasi totalità dei
casi, le vittime di tali incidenti (comunque da evitare attraverso una
maggiore attenzione da parte di alcuni cacciatori) siano i cacciatori
stessi. Rilevo inoltre che il numero dei ciclisti vittime di incidenti
stradali sono di gran lunga superiori a quello delle vittime di
incidenti venatori (secondo le compagnie di assicurazione il ciclismo su
strada è lo sport più pericoloso praticato in Italia).
Mi
aspetterei pertanto che i promotori richiedano il divieto di
circolazione delle autovetture la Domenica al fine di consentire ai
ciclisti la possibilità esercitare la loro passione domenicale
percorrendo le strade in sicurezza! Rilevo altresì che, secondo quanto
statuito dalla legge nazionale la caccia si esercita dalla terza
domenica di settembre al 31 dicembre o dal primo di novembre al 31
gennaio, a seconda delle regioni, per non più di tre giorni alla
settimana con esclusione delle giornate di martedì e venerdì.
Considerando che mal calcolati sono tre mesi all’anno, se qualcuno è
così spaventato dall’attività venatoria, in quei tre mesi potrebbe
benissimo astenersi dal frequentare la natura e dedicarsi ad altre
attività, posto che IL CACCIATORE HA IL MEDESIMO DIRITTO DI USUFRUIRE
DEL TERRITORIO DEGLI ALTRI CITTTADINI, E CHE LO FA PER SOLI TRE MESI
ALL’ANNO che peraltro, climaticamente, non sono i migliori per
frequentare la natura.
Rilevo infine che l’attività venatoria viene
generalmente svolta in luoghi e soprattutto in orari in cui
difficilmente si incontrano dei gitanti a spasso per i boschi. La caccia
di selezione ad esempio viene efficacemente praticata fino a mezz’ora
dopo il sorgere del sole ed al tramonto, orari nei quali i gitanti o
sono ancora a letto, o sono già tornati a casa.
3) Divieto di cacciare su terreno ricoperto di neve.
Gli stessi promotori referendari riconoscono che “già oggi è così” La
caccia su territorio ricoperto di neve è consentita solo nei comprensori
alpini, dove si pratica prevalentemente la caccia di selezione agli
ungulati secondo quanto sopra specificato e che i promotori referendari
vorrebbero abolire. Di fatto vietare la caccia sulla neve
significherebbe vietare la caccia in montagna posto che in gran parte
del periodo in cui è concesso l’esercizio dell’attività venatoria, le
montagne sono innevate. In questo caso la gestione del cervo, che se in
sovrannumero impedisce il rinnovamento dei boschi da chi verrebbe posta
in essere? Nel parco dello Stelvio, dove la caccia era interdetta ed i
cervi in sovrannumero le
amministrazioni provinciali hanno ottenuto,
dopo lunghe battaglie e polemiche, di poter consentire il prelievo di
selezione, perché i boschi stavano morendo.
4) Limitazione ai privilegi concessi alle aziende faunistico-venatorie.
Nelle aziende faunistico venatorie non esistono i limiti di prelievo in
vigore nel territorio libero ed i promotori referendari vorrebbero
“abolire questo privilegio per chi può permettersi di andare a caccia in
strutture private” Il motivo per il quale la LEGISLAZIONE NAZIONALE e
non solo quella Pimontese, non pone limiti al prelievo nelle aziende
faunistico-venatorie è molto semplice e di immediata comprensione.
Nelle aziende faunistico-venatorie, non esistono le necessità di tutela
che invece sono presenti sul resto del territorio dove la fauna, se
prelevata in numero eccessivo, non è in grado di rigenerarsi. Nelle
aziende faunistico-venatorie la fauna da prelevare viene introdotta dal
titolare della concessione (il proprietario) che la acquista presso gli
appositi allevamenti, con benefici effetti di diffusione della stessa
nel territorio circostante.
Si consideri che per effetto delle
mutazioni subite dal territorio (e si badi bene non per effetto
dell’attività venatoria) la fauna presente in Italia è radicalmente
cambiata. Se una volta i volatili (in termine venatorio “La Piuma”)
erano le prede principali se non esclusive dei cacciatori, l’abbandono
dei campi coltivati (habitat naturale di questo tipo di selvaggina) ha
determinato l’espandersi del bosco che invece è l’habitat naturale degli
ungulati. Le uniche zone ancora ricche di avifauna stanziale di
interesse venatorio (fagiani, pernici, starne ecc.) sono le aziende
faunistico-venatorie ed i territori immediatamente limitrofi, dove tale
tipo di fauna viene periodicamente introdotto dal concessionario.
Imporre alle aziende faunistico-venatorie gli stessi limiti di prelievo
in vigore nel territorio libero, di fatto significa decretarne la
chiusura, non essendo più in grado le stesse di coprire i costi di
gestione, consentendo il prelievo di due fagiani a cacciatore!!! Dopo
aver “brevemente” analizzato i quesiti referendari è forse più agevole
comprendere perché la malaugurata “vittoria dei si” e la modifica della
legge regionale secondo le richieste referendarie (peraltro allo stato
la più rigida e meno permissiva di tutto il territorio nazionale)
comporterebbe di fatto la chiusura della caccia in Piemonte
L’introduzione del limite di carniere all’interno delle aziende
faunistico-venatorie, comporterebbe la scomparsa delle stesse per
impossibilità di stare sul mercato. L’abolizione della caccia di
selezione agli ungulati determinerebbe l’impossibilità per le
amministrazioni provinciali di gestire efficacemente tale tipo di fauna,
in assenza dell’ausilio gratuito dei cacciatori che, in cambio
dell’assegnazione dei piani di prelievo, pongono in essere sotto la
supervisione dei tecnici faunistici provinciali le necessarie attività
di gestione.
L’abolizione della caccia di selezione inoltre non
porterebbe alcun beneficio alla fauna stessa, comunque oggetto di piani
di abbattimento da parte del personale delle amministrazioni
provinciali.
Infine abolire la possibilità di esercitare l’attività
venatoria la Domenica significa in pratica interdire l’esercizio della
caccia alla maggior parte dei cacciatori che avendo ancora la “fortuna
di lavorare” possono dedicare alla loro passione solo tale giorno.
QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che la caccia oggi è
indirizzata alla gestione e conservazione della fauna e della
biodiversità, gestione ispirata ai più rigidi criteri scientifici, sotto
l’attenta supervisione dell’ISPRA
QUELLO CHE I PROMOTORI
REFERENDARI NON DICONO è che l’attività venatoria muove in Piemonte ogni
anno milioni di euro tra tasse, che vengono utilizzate per
miglioramenti ambientali e risarcimenti dei danni causati dalla fauna
all’agricoltura ed indotto, che da vivere a migliaia di famiglie
QUELLO CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che l’accoglimento dei
quesiti referendari metterebbe in ginocchio migliaia di famiglie che
vivono di indotto, fra aziende faunistiche venatorie, allevamenti di
selvaggina produttori di abbigliamento ed armerie. Ma tanto al giorno
d’oggi non è difficile trovare un altro lavoro!!!
Un calcolo
sommario dell’Associazione Nazionale Produttori di Selvaggina, ha
stimato in circa 4 mila le aziende agricole che chiuderebbero in caso di
accoglimento dei quesiti referendari.
QUELLO CHE I PROMOTORI
REFERENDARI NON DICONO è che la caccia di selezione, della quale è
richiesta l’abolizione, è attualmente l’unica forma possibile di
gestione degli ungulati, praticata da cacciatori appassionati e
preparati, formati da corsi estremamente selettivi e che nutrono un
profondo amore per la natura e per gli animali stessi.
QUELLO
CHE I PROMOTORI REFERENDARI NON DICONO è che nei parchi dove la caccia
di selezione non è consentita, i piani di abbattimento vengono comunque
realizzati dal personale delle amministrazioni provinciali, con metodi
necessariamente sbrigativi e assai lontani dall’etica. Nel parco della
Mandria dove ad oggi la caccia di selezione non è consentita, e dove vi
sono circa mille cinghiali da eradicare, questi vengono catturati
attraverso delle gabbie e freddati a colpi di pistola.
Nello stesso
parco le guardie provinciali hanno dovuto abbattere negli ultimi anni
più di mille cervi perché impedivano il ricambio del bosco. La carne di
questi animali, anziché essere consumata come avrebbero fatto i
cacciatori, veniva bruciata perché l’amministrazione non disponeva dei
fondi necessari ad approntare un macello a norma di legge.
PER TUTTO QUANTO SOPRA SI INVITANO I PIEMONTESI A NON ANDARE A VOTARE IL 3 GIUGNO PROSSIMO
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