La caccia è patrimonio di tutti, come lo è la fauna che essa stessa gestisce. Proprio per questo i cacciatori sanno che devono dare conto delle loro azioni e agire osservando scrupolosamente tutte le leggi. Hanno competenze e compiti spesso parificati a quelle dei tanti tecnici faunistici stipendiati dagli enti pubblici, indi per cui la loro funzione è ritenuta più che preziosa dagli enti territoriali che infatti non di rado si lanciano in commoventi lodi in favore delle sentinelle del bosco (effettivamente quanto costerebbe alla comunità pagare dei professionisti per regolare le specie in eccesso?).
Non ci si può aspettare dunque che di caccia in bene o in male non si parli. Visto che solitamente si protende per la seconda possibilità, è necessario dare conto di alcuni piccoli miracoli accaduti in questi giorni. A cominciare dall’effetto che hanno avuto i dati usciti sulle vittime della stagione, su cui per una volta anche le associazioni più intransigenti non se la sono sentita di annacquare il brodo: “solo” 11 casi mortali in tutta la stagione, un record degli ultimi anni, che dimostra come la tendenza, nonostante alcuni insistano a dire il contrario, sia quella di una sempre maggiore ed efficace educazione alla sicurezza delle doppiette.
Sui giornali sono poi apparse riflessioni e approfondimenti in merito al rapporto più generico uomo – animale (che è un po' il fulcro di ogni avversione contro la caccia), scevri per una volta di atteggiamenti superficiali e sentimentalismi. Sulle pagine di Repubblica per esempio è stato pubblicato un bell'articolo di Matteo Nucci, dal titolo La mistica degli animali, frutto di un'intervista al filosofo spagnolo Fernando Savater, autore di Tauretica, un saggio che a partire dalla polemica tutta spagnola sulla corsa dei tori, indaga sul modello dell'uomo - cittadino animal friendly (per dirla alla Brambilla), ormai svincolato dal proprio naturale rapporto con il mondo animale, falsificato e antropizzato. “Non distinguere gli uomini dagli altri esseri viventi è nefasto” dice a proposito delle teorie degli animalisti antispecisti. “Il problema dei nostri giorni è che, soprattutto in città, non si sviluppa più alcuna relazione con gli animali”, si finisce per conoscere solo quelli di Walt Disney umanizzati e per questo si stenta a vedere in cosa siano diversi dagli uomini. Insomma in poche concise parole, il filosofo smonta ogni presupposto animalista, evidenziando storture e proiezioni umane sul mondo degli animali, compresa quella di una oggettiva difficoltà di relazione tra persone, ragion per cui si finisce poi col preferire cani e gatti. Relazionarsi a loro - ed è questo uno degli argomenti scelti anche dagli stessi animalisti per giustificare le loro propensioni - è molto più facile e affettivamente appagante: un cane, che è fedele per definizione, difficilmente ti può tradire e certo non ti contraddice se dici una stupidaggine.
Rimaniamo nel filosofico e segnaliamo che la rivista Il Covile, la scorsa settimana ha deciso di dedicare proprio alla caccia uno speciale che, attraverso alcuni contributi autorevoli, ha voluto dimostrare “che – dice il direttore Stefano Borselli - non sempre i filosofi vivono nelle nuvole e come alcuni loro scritti possano contribuire a restituire onore e prestigio alla figura del cacciatore, oggi tanto calunniata". Onore e prestigio, al netto delle fisiologiche eccezioni (le mele marce ci sono in ogni categoria sociale), è infatti quello che la caccia ha dato alla civiltà umana fin dai suoi albori. Basta aprire qualche libro per scoprirlo. Fortunatamente ogni tanto qualche illustre intellettuale ce lo ricorda anche attraverso le parole di filosofi del calibro di Ortega, Roger Scruton, così come hanno fatto i nostri Montanelli e Rigoni Stern o best sellers come Ernest Hemingway e Wilbur Smith.
Sembra quindi che si cominci a ragionare. E a parlare di caccia in termini di contributi alla collettività, come patrimonio culturale e sociale della specie umana, come ricorda anche Telmo Pievani sul settimanale Europa quando fa presente che l'uomo è esso stesso un animale e che la sua straordinaria evoluzione e il suo ingegno sono partiti anche dall'esigenza di trovare nuove tecniche e nuove zone di caccia, così come la sua capacità di formare società sempre più complesse.
Qualche passo avanti, in merito alla percezione del valore della caccia, lo devono fare gli stessi cacciatori, favorendo per esempio il dialogo e l'autocritica su ciò che ancora non va. Rimaniamo su questo portale segnalando un bell'esempio di critica costruttiva. Nel suo “senso della caccia”, Silvia Redaelli ha portato un punto di vista non convenzionale, quello delle donne che si giostrano tra figli, lavoro e la loro che è una passione considerata, molto più di altre, quasi esclusivamente maschile. Parlando di sé, Silvia ha spiegato cosa la caccia ha aggiunto alla sua vita da qualche anno a questa parte. Per esempio che ha imparato a conoscere centinaia di specie animali, gustare meravigliosi piatti di selvaggina, aspettare allontanando la fretta, sentire gli odori, ascoltare il silenzio lontano dalla città. Cose che la maggior parte delle sue contemporanee non conoscerà mai, e di cui forse per sempre diverse generazioni ignoreranno l'esistenza. Queste parole hanno attirato qualche anticaccia, dapprima innervosito, poi sempre più persuaso sulla possibilità di poter dialogare ed essere ascoltato dai temuti cacciatori. I toni si sono distesi e chi era entrato per sbaglio , o come spesso succede per provocare, forse a corto di argomenti, ha preferito abbandonare la piazza, senza spiegare ciò che forse non può essere spiegato.
Quello che è emerso è anzitutto la necessità di riprendere in mano i valori che uniscono cacciatori e non cacciatori, per capirsi. C'è chi ha puntato il dito sulla necessità di promuovere una maggiore coerenza a tutti i livelli. Se si vuole essere considerati per le tantissime cose belle che si fanno per l'ambiente, occorre anzitutto evitare zone d'ombra cui gli animalisti possano appigliarsi per delegittimare il nostro enorme bagaglio culturale e sociale. A dirlo era un'altra donna, Laura. E' proprio dalle donne e dai giovani che bisogna ripartire per dare un'energia nuova di profonda credibilità alla caccia. Non è un'impresa impossibile favorire la crescita di queste due categorie: in Germania le donne cacciatrici sono 35 mila. In una quindicina di anni la loro crescita è stata esponenziale: si è passati dal rapporto di una cacciatrice su 100 uomini a 1 su 10 cacciatori maschi di oggi. Cinzia Funcis
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