Giacomo Nicolucci come al solito riporta pensieri di qualità superiore. "E' stato un grosso errore d'impostazione. E di politica/sociologia venatoria.
Passare dal nulla ai vincoli delle zone, e senza innanzitutto creare le unità gestionali.
Ormai tutte le istituzioni sia nazionali che internazionali e tutti i provvedimenti normativi sono nettamente contrari ad ogni forma di prelievo venatorio che non sia "sostenibile" (la sostenibilità è un concetto di diritto ambientale, quale uso non deteriorante le risorse rinnovabili). Maggiormente allorché si parla unicamente di finalità ludica. Se continuiamo a pretendere di andare a caccia per poterci divertire siamo già belli e morti. Ormai i cacciatori si attestano sulle 370.000 licenze e, in quanto tali sono considerati meno che una minoranza dalla politica e, per la mancanza di profonde radici culturali nel substrato sociale, sono anche avversati dalla maggioranza della popolazione. Per giunta parliamo di un coacervo di praticanti dell'arte di Diana, molto anziani, quindi destinati progressivamente a diminuire per cause naturali. Non c'è nessun appeal rivolto verso i giovani.
E, affinché la caccia sia sostenibile, è necessario che la stessa divenga gestionale, cioè che non costituisca un prelievo casuale ed indeterminabile, ma che sia legato a marcatori quali-quantitativi e, soprattutto, all'interfaccia con gli habitat naturali.
Tutto questo, se non in forma embrionale, nella l. 157/1992 e men che mai in tutte le attività di regolazione della caccia sino ad oggi intraprese, con delle eccezioni, anche molto valide, per la zona delle Alpi, dove i cacciatori intervengono direttamente, con le proprie risorse, al fine del mantenimento degli habitat della c.d. "tipica alpina" (coturnice, fagiano di monte, lepre variabile, pernice bianca).
Si tratta, prevalentemente, di ricostituire il millenario rapporto tra attività antropiche agro-silvo-pastorali tradizionali e fauna minore.
La solita solfa degli inutili e costosi lanci lo dimostra.
Quei denari dovrebbero essere destinati a sfalci, a riapertura di incolti, al ripristino delle fonti e, più in generale, delle forme tradizionali di agricoltura. Il paesaggio agricolo tradizionale è scomparso e con esso la piccola selvaggina e, per conseguenza, sono esplosi i cinghiali e presto arriveranno i cervi (nelle zone a sufficiente copertura arborea). I caprioli sono solo una preziosità.
Questa attività respingerebbe il cinghiale nei luoghi a lui "meglio vocati" (secondo un criterio di riduzione del danno e non certo di habitat idoneo, posto che ogni habitat che offre rifugio ed alimentazione è idoneo per la specie) e ridarebbero fiato alla bassa selvaggina tradizionale.
Esistono anche fondi europei per tutto questo, così come per il mantenimento ed il ripristino delle zone umide, destinate alla sosta dei migratori acquatici.
Un passaggio gestionale di questo tipo consentirebbe di avere dati più che ottimi di consistenza della fauna selvatica cacciabile, con buona rottamazione di tutti i problemi oggi afferenti al calendario venatorio, dovuti principalmente al fatto che gli unici dati che s'impiegano per la verifica delle consistenze delle specie sono quelle dei bugiardini venatori (tesserini) che nessuno segna per via del fatto che le penne si seccano.
Per il cinghiale si tratta solo, come anticipavo, di costruire grosse unità di gestione, dove devono essere stabilite le tendenza di mantenimento/riduzione/aumento delle densità di popolazione. Con un'ampia libertà dei metodi di prelievo, ma con l'onere, per tutti, squadre in primis, di accettare anche l'opzione di dover drasticamente ridurre il numero dei capi sul territorio.
Il conflitto con il mondo agricolo, del resto non ci fa gioco, anzi ci deteriora. Il conduttore dei fondi deve essere con noi, deve essere dalla nostra parte.
Per giunta, numeri importanti di prelievo, senza una filiera di valorizzazione del cinghiale "lavorato", come ricchezza per il territorio abruzzese a cosa servono? Attenzione, parlo di ricchezza per il territorio in quanto apertura a prodotti tipici di lavorazione della carne del cinghiale, non di business di abbattimento.
Altro discorso è quello di aprirsi al turismo venatorio, affinché cacciatori ospiti, che in un attimo s'innamorerebbero della nostra terra, possano portare economia per tutto un indotto come accade nel 99% del resto dei paesi del mondo. Solo noi siamo arretrati, con salvezza di alcune regioni che hanno investito in afv.
Ricapitoliamo.
La caccia rispetto alle istanze ambientaliste/animaliste, rispetto all'emergenza cinghiali e rispetto al conflitto con il mondo agricolo la salviamo solo con la "gestione venatoria" (che non sono le zone, ovviamente) e con gli interventi fattivi di ripristino degli habitat agro-silvo-pastorali tradizionali. Circostanza questa, che consente di ripartire anche con il recupero delle economie rurali, con la vendita dei prodotti tipici e con il "ritorno alla terra" in favore di molti giovani. Queste ultime devono essere politiche sopratutto della Regione (vedi PSR), in particolare d'interfaccia con la PAC (Politica Agraria dell'Unione europea). Ma è sotto l'occhio di tutti che si tratta di un settore che non ha interessato alcun politico da almeno trent'anni a questa parte (e, eprché, i politici lo sanno?).
La caccia la salviamo rispetto alla popolazione producendo una caccia gestionale e "sicura".
La caccia la salviamo rispetto al paese dimostrandone la possibilità di produrre reddito (lavorazione delle carni di selvaggina - e non semplice vendita a grossisti del nord - e sua valorizzazione come prodotto tipico abruzzese, turismo).
E, attenzione, tutto questo non deve cadere dall'alto, ma deve essere "proposto" dalle associazioni venatorie …
Quanti ne sono capaci?"
Questo blog e per tutti quelli che vivono pienamente il profondo rapporto con la natura. Faremo di questo spazio un laboratorio d’idee, di scambio di esperienze, parleremo e mostreremo le nostre attività promuovendo il pensiero che andare a pesca e a caccia non significa solo catturare o uccidere le prede, ma che le persone che hanno la vera passione per questi sport lavorano e s’impegnano anche per salvaguardare equilibri e ambienti con cui amano essere a contatto. Angelo Pessolano
giovedì 6 settembre 2018
Opere Pensieri e Parole del dott. Giacomo Nicolucci
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