Sciopero dei cacciatori, Campitelli accusa le associazioni agricole
La nota del presidente regionale della Libera Caccia in replica alle dichiarazioni della Copagri: «Con il parco della costa teatina i cinghiali aumenteranno»
Sciopero dei cacciatori, Campitelli accusa le associazioni agricole.
La nota del presidente regionale della Libera Caccia in replica alledichiarazioni della Copagri: «Con il parco della costa teatina i cinghiali aumenteranno».
Riceviamo da Antonio Campitelli, (primo da destra nella foto accanto, ndr) presidente regionale della Libera Caccia, e pubblichiamo:
In risposta alle dichiarazioni del presidente regionale Copagri Camillo D’Amico, mi preme fare maggiore chiarezza sulle motivazioni che hanno spinto i capisquadra dell’atc Vastese ad attuare questa forma di protesta ed a non voler reiscrivere le squadre di caccia al cinghiale.
Innanzitutto, nel precedente articolo, molti hanno inteso erroneamente che il problema fosse esclusivamente quello dell’assegnazione delle zone, mentre così non è…infatti la protesta è contro il regolamento e tutti i suoi aspetti cervellotici ed incongruenti, e non solo contro l’assegnazione delle zone.
Questo regolamento infatti, confligge con il fine per il quale è stato stilato, vietando la caccia in braccata sul territorio cosiddetto “non vocato” (art. 1, comma 28), e quindi, limitando fortemente il numero degli abbattimenti, proprio su quel territorio sul quale vengono arrecati il maggior numero di danni all’agricoltura. Questo divieto, oltre a non avere nessuna ragione tecnica, dimostra quanto possa essere inefficace questo regolamento per il contenimento della specie. Tutto ciò diventa ancora più palese, quando la Provincia di Chieti tenta di ovviare a queste problematiche, inventandosi provvedimenti fantasiosi, e volendo così far passare per “territori vocati alla specie cinghiale” comuni quali Torino di Sangro, Paglieta, Atessa, Casalbordino, Scerni, Cupello, Vasto, Gissi e tanti altri, il cui territorio è costituito prevalentemente da terreni agricoli con colture cerealicole e da seme. Stessa cosa che è successa nell’atc Chietino-Lancianese, in cui sono stati fatti passare per “territori vocati alla specie cinghiale” i comuni di Fossacesia, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Treglio, Frisa, Lanciano, Tollo, Ortona, Orsogna e tanti altri, i cui territori sono per la maggior parte coltivati a vigneti, che producono delle pregiatissime uve. Mi chiedo come di fronte a tutto ciò, le associazioni agricole non si accorgano come questo regolamento non sia altro che un’enorme bluff !!!…come si possa pretendere di contenere seriamente il numero dei cinghiali, senza l’utilizzo della forma di caccia in braccata (ed anche qui ci sarebbe da aprire una parentesi, per l’utilizzo improprio del termine “braccata”, visto che la tipologia di caccia collettiva che si pratica in Abruzzo, nulla ha a che vedere con la classica “braccata” che viene praticata tradizionalmente nell’area della maremma Toscana. La nostra forma prevede meno partecipanti alle battute, meno cani e territori più circoscritti. Ma di questi aspetti “pratici”, sicuramente non sono a conoscenza coloro che pretendono di legiferare, comodamente seduti sulla poltrona, dietro la loro scrivania, e che mai hanno praticato la caccia al cinghiale !!!).
Chiarite le questioni tecniche, vorrei ribattere anche alle dichiarazioni del presidente regionale Copagri (a destra in foto, ndr), che parla di “una sorta di disobbedienza civile”, dimenticando forse, che l’attività venatoria, non è certo un “dovere”, ma una passione, che di fronte a certe vessazioni, può anche non essere praticata. Se quindi i capisquadra non ritengono opportuno iscrivere le squadre, e di conseguenza non praticare la caccia al cinghiale, nessuno li può “costringere”. Assumersi tutte le responsabilità e le incombenze previste dal regolamento, equivale a far diventare la caccia al cinghiale quasi come un lavoro, e non come una passione. Se la Regione, la Provincia, o chi altri, pretendono di imporci di andare a caccia, quasi come se fossero dei datori di lavoro, comincino a pensare di corrisponderci un congruo stipendio !!!….così come fanno per i loro dirigenti, funzionari, tecnici ed impiegati. Qualcuno ha forse dimenticato che gli attori principali di questa “recita” siamo noi cacciatori, ed a meno che le istituzioni non intendano risolvere il problema cinghiale scatenando una “guerra batteriologica”, o magari sganciando qualche “ordigno nucleare”, si dovrebbe cominciare a pensare di coinvolgerci maggiormente nelle discussioni per la risoluzione del problema, e non relegandoci al ruolo di meri attuatori di ciò che viene deciso dall’alto !!! Di ciò ne gioverebbero tutti, istituzioni, agricoltori e cacciatori. Gli unici che non ne trarrebbero giovamento, sono le associazioni ambientaliste (che di fatto da un po’ di anni, strizzano l’occhio al mondo dell’animalismo fondamentalista, diventando a tutti gli effetti associazioni animaliste), cioè coloro che il problema l’hanno causato, continuando a chiedere periodi sempre più restrittivi, sempre maggiori limitazioni, e sempre maggiori porzioni di territorio precluso, o comunque fortemente limitato, all’attività venatoria. Quelle associazioni che per anni hanno gestito (o meglio, NON GESTITO) parchi, oasi e riserve naturali, che ormai coprono un’altissima percentuale del territorio Abruzzese, non muovendo mai un dito per affrontare il problema cinghiale. E a tal proposito, mi chiedo come possano alcune associazioni agricole, di cui anche la Copagri, dichiararsi favorevoli all’istituzione del “parco della costa teatina”, ben sapendo che in un parco, è vietata l’attività venatoria, e che questi istituti, sono proprio i più difficili da gestire, vista la totale mancanza di concreti provvedimenti che inibiscano la proliferazione della specie cinghiale. E come se prima si volesse causare il problema, e poi gridare “al cinghiale”.
Altro tema sul quale il presidente D’Amico si esprime senza ben comprendere l’entità del problema, è quello dell’attività di selecontrollo. Infatti nessuno vuole osteggiare a tutti i costi tale attività, ma nemmeno si tenti di far passare quest’ultima come “soluzione definitiva” al problema cinghiale, perché, numeri alla mano, chiunque può essere tranquillamente smentito. Il selecontrollo si è dimostrato per quello che è, cioè un palliativo che sicuramente non potrà sopperire agli abbattimenti che non verranno effettuati dalle squadre. Ad oggi, in provincia di Chieti, dopo quasi due mesi e mezzo di attività di selecontrollo, sono stati abbattuti circa trecento cinghiali, numeri che le squadre potrebbero fare in una settimana !!!
Suggerisco quindi al presidente D’Amico, al posto di chiedere tavoli tecnici e politici, di confrontarsi con i cacciatori, affinché possa capire quali siano le ragioni che ci hanno spinto ad attuare questa forma di protesta.
Resto a disposizione sia del presidente Copagri, sia dei presidenti delle altre associazioni agricole, per aprire un dialogo serio e costruttivo, che possa portare ad una seria risoluzione del problema, auspicando ad una sinergia tra il mondo agricolo e quello venatorio, rendendo partecipi, più che tecnici e plurilaureati, coloro che questa passione la vivono quotidianamente !!!
Infine esorto tutti i colleghi capisquadra, a continuare questa nostra forma di protesta, finche il regolamento regionale non verrà seriamente modificato.
L’unione fa la forza, ma mali estremi, estremi rimedi !!!
Innanzitutto, nel precedente articolo, molti hanno inteso erroneamente che il problema fosse esclusivamente quello dell’assegnazione delle zone, mentre così non è…infatti la protesta è contro il regolamento e tutti i suoi aspetti cervellotici ed incongruenti, e non solo contro l’assegnazione delle zone.
Questo regolamento infatti, confligge con il fine per il quale è stato stilato, vietando la caccia in braccata sul territorio cosiddetto “non vocato” (art. 1, comma 28), e quindi, limitando fortemente il numero degli abbattimenti, proprio su quel territorio sul quale vengono arrecati il maggior numero di danni all’agricoltura. Questo divieto, oltre a non avere nessuna ragione tecnica, dimostra quanto possa essere inefficace questo regolamento per il contenimento della specie. Tutto ciò diventa ancora più palese, quando la Provincia di Chieti tenta di ovviare a queste problematiche, inventandosi provvedimenti fantasiosi, e volendo così far passare per “territori vocati alla specie cinghiale” comuni quali Torino di Sangro, Paglieta, Atessa, Casalbordino, Scerni, Cupello, Vasto, Gissi e tanti altri, il cui territorio è costituito prevalentemente da terreni agricoli con colture cerealicole e da seme. Stessa cosa che è successa nell’atc Chietino-Lancianese, in cui sono stati fatti passare per “territori vocati alla specie cinghiale” i comuni di Fossacesia, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Treglio, Frisa, Lanciano, Tollo, Ortona, Orsogna e tanti altri, i cui territori sono per la maggior parte coltivati a vigneti, che producono delle pregiatissime uve. Mi chiedo come di fronte a tutto ciò, le associazioni agricole non si accorgano come questo regolamento non sia altro che un’enorme bluff !!!…come si possa pretendere di contenere seriamente il numero dei cinghiali, senza l’utilizzo della forma di caccia in braccata (ed anche qui ci sarebbe da aprire una parentesi, per l’utilizzo improprio del termine “braccata”, visto che la tipologia di caccia collettiva che si pratica in Abruzzo, nulla ha a che vedere con la classica “braccata” che viene praticata tradizionalmente nell’area della maremma Toscana. La nostra forma prevede meno partecipanti alle battute, meno cani e territori più circoscritti. Ma di questi aspetti “pratici”, sicuramente non sono a conoscenza coloro che pretendono di legiferare, comodamente seduti sulla poltrona, dietro la loro scrivania, e che mai hanno praticato la caccia al cinghiale !!!).
Chiarite le questioni tecniche, vorrei ribattere anche alle dichiarazioni del presidente regionale Copagri (a destra in foto, ndr), che parla di “una sorta di disobbedienza civile”, dimenticando forse, che l’attività venatoria, non è certo un “dovere”, ma una passione, che di fronte a certe vessazioni, può anche non essere praticata. Se quindi i capisquadra non ritengono opportuno iscrivere le squadre, e di conseguenza non praticare la caccia al cinghiale, nessuno li può “costringere”. Assumersi tutte le responsabilità e le incombenze previste dal regolamento, equivale a far diventare la caccia al cinghiale quasi come un lavoro, e non come una passione. Se la Regione, la Provincia, o chi altri, pretendono di imporci di andare a caccia, quasi come se fossero dei datori di lavoro, comincino a pensare di corrisponderci un congruo stipendio !!!….così come fanno per i loro dirigenti, funzionari, tecnici ed impiegati. Qualcuno ha forse dimenticato che gli attori principali di questa “recita” siamo noi cacciatori, ed a meno che le istituzioni non intendano risolvere il problema cinghiale scatenando una “guerra batteriologica”, o magari sganciando qualche “ordigno nucleare”, si dovrebbe cominciare a pensare di coinvolgerci maggiormente nelle discussioni per la risoluzione del problema, e non relegandoci al ruolo di meri attuatori di ciò che viene deciso dall’alto !!! Di ciò ne gioverebbero tutti, istituzioni, agricoltori e cacciatori. Gli unici che non ne trarrebbero giovamento, sono le associazioni ambientaliste (che di fatto da un po’ di anni, strizzano l’occhio al mondo dell’animalismo fondamentalista, diventando a tutti gli effetti associazioni animaliste), cioè coloro che il problema l’hanno causato, continuando a chiedere periodi sempre più restrittivi, sempre maggiori limitazioni, e sempre maggiori porzioni di territorio precluso, o comunque fortemente limitato, all’attività venatoria. Quelle associazioni che per anni hanno gestito (o meglio, NON GESTITO) parchi, oasi e riserve naturali, che ormai coprono un’altissima percentuale del territorio Abruzzese, non muovendo mai un dito per affrontare il problema cinghiale. E a tal proposito, mi chiedo come possano alcune associazioni agricole, di cui anche la Copagri, dichiararsi favorevoli all’istituzione del “parco della costa teatina”, ben sapendo che in un parco, è vietata l’attività venatoria, e che questi istituti, sono proprio i più difficili da gestire, vista la totale mancanza di concreti provvedimenti che inibiscano la proliferazione della specie cinghiale. E come se prima si volesse causare il problema, e poi gridare “al cinghiale”.
Altro tema sul quale il presidente D’Amico si esprime senza ben comprendere l’entità del problema, è quello dell’attività di selecontrollo. Infatti nessuno vuole osteggiare a tutti i costi tale attività, ma nemmeno si tenti di far passare quest’ultima come “soluzione definitiva” al problema cinghiale, perché, numeri alla mano, chiunque può essere tranquillamente smentito. Il selecontrollo si è dimostrato per quello che è, cioè un palliativo che sicuramente non potrà sopperire agli abbattimenti che non verranno effettuati dalle squadre. Ad oggi, in provincia di Chieti, dopo quasi due mesi e mezzo di attività di selecontrollo, sono stati abbattuti circa trecento cinghiali, numeri che le squadre potrebbero fare in una settimana !!!
Suggerisco quindi al presidente D’Amico, al posto di chiedere tavoli tecnici e politici, di confrontarsi con i cacciatori, affinché possa capire quali siano le ragioni che ci hanno spinto ad attuare questa forma di protesta.
Resto a disposizione sia del presidente Copagri, sia dei presidenti delle altre associazioni agricole, per aprire un dialogo serio e costruttivo, che possa portare ad una seria risoluzione del problema, auspicando ad una sinergia tra il mondo agricolo e quello venatorio, rendendo partecipi, più che tecnici e plurilaureati, coloro che questa passione la vivono quotidianamente !!!
Infine esorto tutti i colleghi capisquadra, a continuare questa nostra forma di protesta, finche il regolamento regionale non verrà seriamente modificato.
L’unione fa la forza, ma mali estremi, estremi rimedi !!!
Antonio Campitelli
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