cari
tutti,
per opportuna conoscenza le due sentenze e il nostro comunicato stampa.
Come avevo detto in consulta era in itinere questo ricorso alla Corte Costituzionale sul comparto unico, dall'esito piuttosto scontato visti i precedenti.
Ora attendiamo la sentenza del TAR sul ricorso 2011-2012, attesa per gli inizi di luglio.
augusto de sanctis
wwf abruzzo
per opportuna conoscenza le due sentenze e il nostro comunicato stampa.
Come avevo detto in consulta era in itinere questo ricorso alla Corte Costituzionale sul comparto unico, dall'esito piuttosto scontato visti i precedenti.
Ora attendiamo la sentenza del TAR sul ricorso 2011-2012, attesa per gli inizi di luglio.
augusto de sanctis
wwf abruzzo
Comunicato
stampa
del 25/06/2013
Corte
Costituzionale
e TAR L'Aquila con due sentenze censurano duramente la Regione
Abruzzo sulla caccia.
Bocciata
la
Legge regionale e il comportamento di Giunta Regionale e
Dirigente della Direzione Agricoltura. Uno-due decisivo grazie
ai ricorsi di WWF, Animalisti Italiani e altre associazioni,
migliaia di animali uccisi in maniera palesemente illegittima.
L'uno-due
subito
in questi giorni dalla Regione Abruzzo in materia di caccia è
clamoroso.
La
Corte Costituzionale e il TAR Abruzzo depositano, rispettivamente,
giovedì 20 giugno e venerdì 21 giugno 2013, due diverse sentenze
destinate a rivoluzionare l'attività venatoria nella regione.
Tutto
nasce dai ricorsi presentati da WWF, Animalisti Italiani e altre
associazioni che hanno affidato all'Avv. Michele Pezone il compito
di ricorrere sui calendari venatori 2009-2010 e 2010-2011 della
regione Abruzzo, evidenziando fortissime criticità e illogicità
nelle scelte filo-venatorie.
Nel
ricorso sul calendario 2010-2011 si contestava, tra l'altro, anche
l'incostituzionalità della norma contenuta nella legge Regionale
10/2004 che riammetteva il cosiddetto “nomadismo venatorio”,
perimetrando
un Comparto Unico regionale sulla Migratoria e rendendo così
possibile lo spostamento dei cacciatori da una parte all'altra
dell'Abruzzo.
Il TAR
L'Aquila, giudicando non manifestamente infondata l'eccezione di
costituzionalità, aveva quindi sollevato il caso davanti alla
Corte Costituzionale. Quest'ultima con una sentenza di cristallina
chiarezza ha sancito che la Legge Regionale 10/2004 ha violato le
normative nazionali che regolamentano il prelievo venatorio. La
Corte ricorda nella sentenza che uno dei capisaldi della legge
nazionale sulla Caccia, la 157/92 è il legame tra cacciatori e
territorio attraverso la perimetrazione di ambiti di caccia di
carattere sub-provinciale. Invece la Regione Abruzzo aveva
concesso ai cacciatori per diversi mesi all'anno di potersi
spostare da un capo all'altro della regione, definita, come detto,
“comparto unico per la migratoria”.
Il TAR
di L'Aquila, invece, ha depositato la sentenza relativa ad un
ricorso presentato da Aninalisti Italiani e L.A.C. sul calendario
venatorio 2009-2010, dopo aver accolto allora la richiesta di
sospensiva. Nonostante il tempo trascorso il TAR ha ritenuto
opportuno entrare comunque nel merito perché la Giunta Regionale
deve riproporre ogni anno il calendario venatorio. Era dunque
importante definire la causa per evitare il ripresentarsi degli
stessi vizi in futuro.
I
giudici del tribunale amministrativo aquilano, con giudizi
estremamente duri, hanno fatto crollare l'esile difesa regionale
con commenti durissimi sull'operato della Giunta Regionale, che
aveva varato un calendario venatorio che si distaccava dal parere
dell'ISPRA ampliando i periodi di caccia per diverse specie. Tutto
ciò nonostante gli uffici regionali fossero completamente privi
dei necessari dati relativi all'abbondanza e alla distribuzione
delle diverse specie in Abruzzo. Il TAR ha altresì censurato il
comportamento del Dirigente della Direzione Agricoltura che si era
sostituito alla Giunta nel riscrivere il calendario venatorio dopo
l'accoglimento da parte dei giudici amministrativi della richiesta
di sospensiva avanzata dalle associazioni.
WWF e
Animalisti Italiani ringraziano l'Avv.Michele Pezone, il
rappresentante delle associazioni in Consulta venatoria Regionale
Augusto De Sanctis e i diversi attivisti che hanno contribuito a
queste importantissime vittorie. Resta però il rammarico per il
comportamento della Giunta Regionale e della Direzione Agricoltura
che, nonostante i tempestivi appelli al buon senso e al rispetto
delle leggi inviati dalle associazioni ambientaliste, hanno voluto
difendere strenuamente una linea di estremismo venatorio che li ha
portati ad una vera e propria Caporetto. Peccato per le decine di
migliaia di animali che sono stati uccisi dal 2004 ad oggi a causa
di una norma rivelatasi ora anticostituzionale, un attacco al
patrimonio faunistico in piena regola che testimonia la totale
insostenibilità del prelievo venatorio in Abruzzo. Auspichiamo un
immediato cambio di rotta.
Alleghiamo
qui
sotto le due sentenze.
INFO:
3683188739
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA
N. 142
LA CORTE COSTITUZIONALEANNO 2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO |
|
composta dai signori: Presidente: Franco
GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,
Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo
CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, |
|
Ha pronunciato la seguente |
|
SENTENZA |
|
nel giudizio
di legittimità costituzionale dell'art. 43, commi 6, 6-bis
e 6 ter della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004,
n. 10 (Normativa organica per l'esercizio dell'attività
venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e
la tutela dell'ambiente), promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per l'Abruzzo nel procedimento
vertente tra l'Associazione Italiana per il World Wide
Fund For Nature Ong Onlus ed altre e la Regione Abruzzo
con ordinanza del 17 luglio 2012 iscritta al n. 300 del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale,
dell'anno 2013.
Udito nella camera di consiglio del 22
maggio 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi. |
|
Ritenuto in fatto |
|
1. - Con
ordinanza del 17 luglio 2012, iscritta al n. 300 del
registro ordinanze 2012, il Tribunale amministrativo
regionale per l'Abruzzo, sezione prima, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 43,
commi 6, 6-bis, 6-ter, della legge della Regione Abruzzo
28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l'esercizio
dell'attività venatoria, la protezione della fauna
selvatica omeoterma e la tutela dell'ambiente), in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione ed in relazione all'art. 14, comma 1, della
legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio).
1.1. - Il
rimettente, in punto di fatto, espone che le ricorrenti
del giudizio principale, Associazione italiana per il
World Wide Fund For Nature Ong Onlus, Animalisti Italiani
Onlus, Lega per l'abolizione della caccia Onlus, hanno
impugnato gli atti con i quali la Regione Abruzzo ha
approvato il calendario venatorio 2011 - 2012 e ne hanno
chiesto l'annullamento. L'amministrazione regionale
resistente si è costituita e all'esito dell'udienza di
discussione, il ricorso è stato parzialmente deciso con
sentenza, che ha accolto taluni motivi, annullando di
conseguenza i relativi capi del provvedimento, e ha
rigettato le altre censure.
1.2 - Per la
definizione del giudizio residua il motivo con il quale le
ricorrenti censurano il Capo F del calendario impugnato,
che disciplina l'attività venatoria nell'ambito del
comparto unico sulla fauna migratoria.
2. - Il TAR
Abruzzo rileva che l'istituto del comparto unico sulla
fauna migratoria è previsto dall'art. 43, comma 6, nonché
dal comma 6-bis, che dispone l'iscrizione di diritto al
comparto unico dei cacciatori iscritti ad un ambito
territoriale di caccia (ATC) abruzzese o residenti in
Regione, e dal comma 6-ter, che disciplina le giornate
settimanali di caccia consentite.
I tre commi
hanno sostituito il precedente comma 6 - già modificato
una prima volta dall'art. 128, comma 25, della legge
regionale 26 aprile 2004, n. 15 (Disposizioni finanziarie
per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale
2004-2006 della Regione Abruzzo - legge finanziaria
regionale 2004) - per effetto della sostituzione disposta
dall'art. 5 della legge regionale 28 luglio 2004, n. 21
(Modifiche ed integrazioni alla L.R. n. 15/2004:
Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio
annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo
- legge finanziaria regionale 2004). Il comma 6 è stato
poi modificato dall'art. 106 della legge regionale 8
febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la
redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale
2005-2007 della Regione Abruzzo - legge finanziaria
regionale 2005).
2.1. - Le
associazioni ricorrenti hanno dedotto l'illegittimità
delle previsioni del calendario venatorio, in quanto
disattendono immotivatamente una contraria indicazione
dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale (ISPRA) e comunque perché applicative di una
norma ritenuta costituzionalmente illegittima, della quale
hanno chiesto fosse sollevata la relativa questione.
2.2 - Con la
sentenza parziale il TAR Abruzzo ha ritenuto infondato il
primo aspetto della censura, poiché il comparto unico è
istituito direttamente dalla legge regionale, di cui
l'impugnato calendario costituisce provvedimento meramente
applicativo e l'amministrazione resistente è vincolata
dalla previsione legale che fa coincidere l'intero
territorio regionale con un unico comparto venatorio, sia
pure ai limitati fini della caccia alle specie migratorie.
Ha invece ritenuto rilevante la questione di
costituzionalità, poiché la legittimità della previsione
del provvedimento impugnato sarebbe interamente dipendente
dalla legittimità costituzionale della norma di cui
costituisce applicazione. Sul punto, il TAR Abruzzo
richiama la giurisprudenza costituzionale, secondo la
quale il fatto che la dedotta incostituzionalità di una o
più norme legislative costituisca l'unico motivo di
ricorso innanzi al giudice a quo «non impedisce (...) di
considerare sussistente il requisito della rilevanza,
ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un
petitum, separato e distinto dalla questione (o dalle
questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il
giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi (cfr.
sentenze n. 263 del 1994 e n. 128 del 1998)».
2.3. - Con
la richiamata sentenza il TAR, quindi, tenuto conto del
carattere periodico e dell'efficacia stagionale del
provvedimento impugnato, ha riconosciuto la persistenza
dell'interesse dei ricorrenti alla decisione, anche se
l'atto ha esaurito i suoi effetti nel corso del giudizio.
È stato altresì riconosciuto l'interesse alla decisione
sui singoli motivi in quanto coinvolgenti capi autonomi
del calendario tendenzialmente in grado di riprodursi in
quello successivo. In particolare sussisterebbe
l'interesse alla pronuncia sullo specifico punto in esame,
visto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale
della norma regionale determinerebbe l'annullamento della
connessa previsione dell'atto impugnato e precluderebbe la
futura possibilità di consentire l'esercizio venatorio
nell'ambito del comparto unico.
2.4. - Sulla
non manifesta infondatezza il giudice rimettente osserva
che l'art. 43, commi 6, 6-bis e 6-ter, della legge
regionale n. 10 del 2004 sarebbe in evidente contrasto con
l'art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992, il quale
dispone che «le Regioni, con apposite norme, sentite le
organizzazioni professionali agricole maggiormente
rappresentative a livello nazionale e le province
interessate, ripartiscono il territorio
agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai
sensi dell'articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di
caccia, di dimensioni sub-provinciali, possibilmente
omogenei e delimitati da confini naturali».
La
previsione di un unico comparto regionale sarebbe allora
in palese contrasto sia con la prescritta dimensione sub
provinciale dell'ambito venatorio, sia con l'esigenza di
assicurare la naturale omogeneità di ciascun ambito. La
norma statale non consentirebbe, infatti, una
regolamentazione regionale derogatoria in funzione della
caccia alle specie migratorie.
Sul punto il
TAR Abruzzo richiama la sentenza n. 4 del 2000, con la
quale la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale di una norma regionale
contenente la previsione di ambiti venatori di dimensioni
provinciali, sul rilievo che il legislatore statale non
solo ha voluto, attraverso la più ridotta dimensione degli
ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata
distribuzione dei cacciatori sul territorio, ma ha inteso,
altresì, attraverso il richiamo ai confini naturali,
conferire specifico rilievo anche alla dimensione propria
della comunità locale, in chiave di gestione,
responsabilità e controllo del corretto svolgimento
dell'attività venatoria e quindi ritenendo
«incostituzionale la disposizione (...) la quale (...)
consente l'indiscriminato esercizio della caccia alla
selvaggina migratoria in tutti gli ambiti. È evidente,
infatti, che tale norma non garantisce minimamente quella
equilibrata distribuzione dei cacciatori nell'esercizio
dell'attività venatoria, che costituisce uno degli
obiettivi fondamentali della normativa in materia, alla
stregua segnatamente dell'art. 14 della legge n. 157 del
1992».
Poiché tale previsione sarebbe
ascrivibile al novero delle misure indispensabili per
assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie
cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di
salvaguardia della fauna selvatica vincolante per le
Regioni, il contrasto con l'art. 14, comma 1, della legge
n. 157 del 1992 evidenzierebbe la violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. |
|
Considerato in diritto |
|
1. - Con
l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale amministrativo
regionale per l'Abruzzo, sezione prima, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'articolo 43,
commi 6, 6-bis e 6-ter, della legge della Regione Abruzzo
28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l'esercizio
dell'attività venatoria, la protezione della fauna
selvatica omeoterma e la tutela dell'ambiente), in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, ed in relazione all'art. 14, comma 1, della
legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio).
Quest'ultima
norma ha introdotto, per assicurare la naturale omogeneità
degli ambienti venatori, la nozione di ambito di caccia
«di dimensioni subprovinciali».
La questione
di legittimità è stata sollevata nel corso di un giudizio
amministrativo avente ad oggetto l'impugnazione, da parte
di associazioni ambientaliste, degli atti con cui è stato
approvato dalla Regione Abruzzo il calendario venatorio
2011-2012. Dal momento che detto calendario venatorio
risulterebbe meramente attuativo delle disposizioni
censurate, il rimettente deduce la necessaria
pregiudizialità dello scrutinio di legittimità
costituzionale delle stesse. Queste ultime - a suo avviso
- contrasterebbero con la normativa statale per il fatto
di prevedere un unico comparto regionale in luogo di
quelli di dimensioni subprovinciali prescritti dall'art.
14, comma 1, della legge n. 157 del 1992.
2. - Nei
termini proposti dal giudice rimettente la questione è
fondata.
L'art. 14,
comma 1, della legge n. 157 del 1992 dispone che: «Le
regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni
professionali agricole maggiormente rappresentative a
livello nazionale e le province interessate, ripartiscono
il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia
programmata ai sensi dell'articolo 10, comma 6, in ambiti
territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali,
possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali».
Questa Corte
ha già chiarito che con la legge n. 157 del 1992 il
legislatore statale «ha inteso perseguire un punto di
equilibrio tra il primario obiettivo dell'adeguata
salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e
l'interesse - pure considerato lecito e meritevole di
tutela - all'esercizio dell'attività venatoria, attraverso
la previsione di penetranti forme di programmazione
dell'attività di caccia» (sentenza n. 4 del 2000).
In tale
prospettiva risulta momento qualificante la valorizzazione
delle caratteristiche di omogeneità, dal punto di vista
naturalistico, dei territori nei quali si esercita la
caccia. Tali caratteristiche devono essere adeguatamente
considerate dalle Regioni «in vista della delimitazione
degli ambiti territoriali di caccia, giusta l'art. 14,
comma 1, della medesima legge, il quale dispone che le
Regioni, con apposite norme, ripartiscono il territorio
agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in
ambiti territoriali di caccia, di dimensioni
subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da
confini naturali. Come è dato evincere da quest'ultima
previsione, aspetto rilevante, nel disegno del legislatore
statale, è, perciò, quello della realizzazione di uno
stretto vincolo tra il cacciatore ed il territorio nel
quale esso è autorizzato ad esercitare l'attività
venatoria. Di qui, la configurazione in via legislativa di
ripartizioni territoriali quanto più vicine possibile agli
interessati, in ragione, per l'appunto, della prevista
dimensione sub-provinciale degli ambiti di caccia,
valorizzando, al tempo stesso, il ruolo della comunità
che, in quel territorio, è insediata e che è primariamente
chiamata, attraverso gli organi direttivi degli ambiti,
nella composizione di cui al comma 10 del medesimo art.
14, a gestire le risorse faunistiche» (citata sentenza n.
4 del 2000).
I principi
fissati dalla legislazione statale, così come specificati
dalla richiamata pronuncia di questa Corte, non sono stati
rispettati, nel caso in esame, dalla legislazione
regionale. L'art. 43, con riguardo alla parte impugnata,
dispone che: «6. Ai soli fini dell'esercizio dell'attività
venatoria da appostamento alla fauna selvatica migratoria,
per il periodo ricompreso tra il 1° ottobre e la
conclusione della stagione venatoria resta comunque
limitata al bimestre ottobre-novembre la possibilità di
consentire la fruizione di cinque giornate venatorie
settimanali, il territorio agro-silvo-pastorale della
Regione Abruzzo è considerato comprensorio faunistico
omogeneo ed il territorio ove è consentito l'esercizio
dell'attività venatoria costituisce un unico ambito
territoriale di caccia, ai sensi del comma 6 dell'art. 10
della legge n. 157/1992, di dimensioni regionali,
denominato "comparto unico regionale per l'esercizio della
caccia) da appostamento alla migratoria". 6-bis. Sono
iscritti di diritto al comparto unico regionale per
l'esercizio della caccia da appostamento alla migratoria
esclusivamente i cacciatori iscritti ad un ATC abruzzese o
residenti in Regione. 6-ter. La Giunta regionale, sentiti
l'OFR e la consulta regionale della caccia, può
consentire, nel periodo 1° ottobre - 30 novembre,
limitatamente all'esercizio dell'attività venatoria da
appostamento alla fauna selvatica migratoria, la fruizione
fino a cinque giornate di caccia settimanali, fermo
restando il silenzio venatorio nelle giornate di martedì e
venerdì».
Il contenuto
dei tre commi impugnati risulta in evidente contrasto con
il modello desumibile dall'art. 14, comma 1, della legge
n. 157 del 1992, sia per la mancata scansione in ambiti
venatori subprovinciali dell'intero territorio regionale,
sia per l'omessa considerazione delle peculiarità
ambientali, naturalistiche e umane afferenti ai singoli
contesti territoriali.
Mentre il
legislatore statale ha voluto, attraverso la ridotta
dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più
equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio,
e, attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire
specifico rilievo - in chiave di gestione, responsabilità
e controllo del corretto svolgimento dell'attività
venatoria - alla dimensione della comunità locale, più
ristretta e più legata sotto il profilo storico e
ambientale alle particolarità del territorio, le
disposizioni impugnate hanno disatteso queste finalità,
prevedendo un indistinto accorpamento territoriale e
soggettivo delle attività di caccia nei confronti delle
specie migratorie.
In
definitiva, la previsione di un unico comparto regionale
pone in essere una deroga non consentita alla
regolamentazione della caccia alle specie migratorie
contenuta nell'art. 14, comma 1, della legge n. 157 del
1992.
L'illegittimità
costituzionale delle prescrizioni inerenti all'istituzione
del comparto unico si riverbera anche sui requisiti
soggettivi e sulle modalità temporali di svolgimento della
caccia previsti nei tre commi impugnati, in quanto
riferiti ad attività venatoria in siffatto non consentito
ambito, indipendentemente dalla verifica di quanto
disposto sul punto dalla legislazione statale.
Essendo in contrasto con la salvaguardia
del nucleo minimo di tutela della fauna selvatica
vincolante per le Regioni, previsto dall'art. 14, comma 1,
della legge n. 157 del 1992, i commi 6, 6-bis e 6-ter
dell'art. 43, della legge reg. Abruzzo n. 10 del 2004
devono essere pertanto dichiarati costituzionalmente
illegittimi per violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. |
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Per Questi Motivi |
|
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'articolo 43, commi 6,
6-bis e 6-ter, della legge della Regione Abruzzo 28
gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l'esercizio
dell'attività venatoria, la protezione della fauna
selvatica omeoterma e la tutela dell'ambiente).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno
2013. |
|
|
|
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F.to: Franco GALLO, Presidente Aldo CAROSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI |
TAR L'AQUILA
N. 00330/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 330 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Animalisti Italiani Onlus, Lega Per L'Abolizione della Caccia Onlus, rappresentati e difesi dall'avv. Michele Pezone, con domicilio eletto presso Vittorio Avv. Isidori in L'Aquila, via Avezzano, 11;
contro
Regione Abruzzo, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura, domiciliata in L'Aquila, Complesso Monumentale S. Domenico;
per l'annullamento
DELLA DELIBERAZIONE N. 416 CON CUI E' STATO APPROVATO IL CALENDARIO VENATORIO 2009/2010; nonché della determinazione DH8 n.35 del Dirigente del servizio economia ittica e programmazione venatoria in data 11.11.2009 in parte qua..
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Abruzzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le associazioni Animalisti Italiani Onlus e Lega per l’Abolizione della caccia hanno impugnato con gravame introduttivo la DGR 416/09, con cui la Regione Abruzzo ha approvato il calendario venatorio per la stagione 2009/2010.
Con la prima doglianza, si deduce che la Regione avrebbe programmato l’attività venatoria in mancanza del necessario monitoraggio delle specie. Inoltre, sarebbe mancata adeguata motivazione per le decisioni prese in difformità dal parere dell’Ispra, e ciò con particolare riguardo:
- alle specie stanziali (lagomorfi e Fasianidi), per le quali il predetto istituto suggeriva la posticipazione dell’apertura della stagione venatoria all’inizio di ottobre, mentre la Regione ha anticipato tale apertura al 20 settembre;
-al fagiano, per il quale si consigliava il termine della caccia ai primi di dicembre, laddove il calendario ha invece previsto la data del 31 dicembre 2009;
-alla starna, per la quale l’Ispra aveva ritenuto non sussistere le condizioni di cacciabilità, mentre la Regione ha consentito per questo galliforme la caccia dal 20 settembre al 31 dicembre;
-alla lepre comune, la cui caccia veniva considerata dall’Ispra particolarmente insidiosa per il rischio di confusione con la lepre italica (specie altamente protetta), così da rendersi necessaria una cognizione sull’esatta distribuzione delle due specie di lepre sul territorio, fissando comunque una stagione di caccia in un arco temporale massimo compreso tra il 15 ottobre ed il 30 novembre. La Regione avrebbe invece disatteso in radice questi motivati suggerimenti, consentendo in modo indiscriminato la caccia alla lepre dal 20 settembre 2009 al 20 dicembre 2009;
-alla caccia vagante , che –soprattutto con l’ausilio del cane- secondo l’Ispra avrebbe dovuto terminare non oltre il mese di dicembre , mentre la Regione l’ha autorizzata fino a tutto gennaio 2010.
Con la seconda doglianza si lamenta infine la violazione del comma 7 dell’articolo 18 della citata legge 157/92, per aver la Pa intimata consentito orari di caccia giornalieri superiori a quelli massimi consentiti dalla citata normativa (un’ora prima del sorgere del sole sino al tramonto e, per gli ungulati, anche un’ora dopo quando sia fatta secondo un metodo selettivo).
Nel corso della camera di consiglio del 14.10.2009 è stata accolta l’istanza cautelare, per la probabile fondatezza della “censura di difetto di motivazione della delibera impugnata, nella parte in cui quest’ultima non ha dato adeguata contezza delle ragioni del dissenso rispetto alle concludenze consultive dell’Istituto Superiore di Ricerca Ambientale (ordinanza Tar Abruzzo –AQ- n. 200 del 15.10.2009).
A seguito di tale ordinanza, il dirigente del Servizio Economia Ittica della Regione Abruzzo, con determinazione n. 29 del 16.10.2009 ha assunto iniziative inibitorie verso la caccia alla starna, rimettendo per il resto alla giunta regionale il compito di conformarsi alla predetta ordinanza, previa indicazione delle parti del calendario da adeguare al parere Ispra.
Le associazioni ricorrenti hanno peraltro contestato la possibilità di mantenere in vita (mediante modifiche) un calendario venatorio ritenuto invece in radice inapplicabile, alla luce della rilevata carenza di un monitoraggio scientifico delle specie cacciabili. Pertanto, dopo una vana diffida in data 21.10.09, sono stati proposti in data 2.11.09 i (primi) motivi aggiunti per l’annullamento della citata determina dirigenziale del 16.10.09.
In data 11.11.09, il Dirigente del Servizio Economia Ittica e Programmazione Venatoria della Regione Abruzzo ha poi emanato la determina DH8 n. 35, con la quale, in parziale riforma del calendario Venatorio Regionale 2009/2010, ha disposto:
-la sospensione in via definitiva della caccia alla starna;
-il termine del prelievo venatorio della lepre comune fissato al 30.11.09, ferma restando la prescrizione già contenuta nel calendario venatorio in ordine al divieto di cacciabilità di detta specie, nelle aree ove vi fosse prova scientifica di sovrapposizione di popolazione di lepre italica;
-il termine del prelievo venatorio del fagiano fissato al 6.12.09;
-la possibilità di cacciare con il cane fino al 31.12.09, con eccezione delle aziende faunistico venatorie, delle aziende agri-turistico-venatorie e della caccia al cinghiale e alla volpe in squadre autorizzate, con conferma in questi casi del preesistente termine del 31.1.10.
Inoltre, con delibera regionale n. 515/09, è stato consentito (fra l’altro e per quanto qui interessa) l’uso del piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio (art. 3 bis).
Avverso i due citati provvedimenti è stato proposto un secondo gruppo di motivi aggiunti, notificato il 18.11.0.
Quanto alla determina n. 35 dell’11.11.09, è stato dedotto in primis un vizio di incompetenza, per aver il dirigente deliberato in materia riservata alla giunta regionale, in violazione dell’art. 49 dello Statuto sull’esercizio delle funzioni giuntali (come quelle sul calendario venatorio). In realtà il dirigente aveva trasmesso gli atti al predetto Organo collegiale, il quale tuttavia (tramite il componente preposto alla Caccia, con nota del 10.11.09) ha ritenuto di non deliberare in materia, sul rilievo che si trattasse “del mero recepimento di un atto giurisdizionale, riservato alla titolarità del dirigente”. Le rimanenti doglianze ribadiscono quanto già dedotto nei precedenti motivi aggiunti, in ordine al fatto che la Regione non avrebbe potuto in radice consentire prelievi venatori (meno che mai per quanto riguarda la lepre comune-europea, che ha lo stesso habitat della protetta specie italica), in difetto del necessario monitoraggio di ogni specie cacciabile.
Viene poi censurata la possibilità di usare il piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio (art. 3 bis delibera 515/09), perché in contrasto con la legge 157/92, che consentirebbe l’uso di uccelli allevati solo se appartenenti a specie cacciabili, previo parere dell’ISPRA (circostanze che sarebbero entrambe estranee al caso di specie).
Quanto alla chiesta misura cautelare in ordine ai proposti motivi aggiunti, il tar ha respinto la domanda, allegando l’irriducibilità delle relative questioni ad un vaglio di sommaria delibazione (ord. 251/09 del 3.12.09, confermata in appello con ord. 471/10 del 28.1.2010).
Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila, che ha controdedotto con memoria, mentre alla pubblica udienza del 22.5.13 la causa è stata riservata a sentenza.
DIRITTO
Va in primo luogo precisato che sussiste l’interesse alla presente decisione, anche se l’impugnativa riguarda (almeno in prevalenza) il calendario venatorio per un periodo ormai trascorso (2009-2010); ciò in quanto –trattandosi di provvedimenti annuali che regolano la caccia sul territorio- le normae agendi della sentenza possono ancora rivestire concrete utilità, ai fini della predisposizione dei prossimi calendari (sul punto, funditus, questo tar n. 440/12; cfr. anche Tar Lombardia -MI- 533/2010).
Risulta inoltre pacifica e non controversa la legittimazione attiva dei ricorrenti, enti associativi radicati sul Territorio Nazionale, statutariamente esponenziali di interessi di tutela ambientale e protezionistica.
Mediante ricorso introduttivo, il predetto calendario 2009/2010 viene censurato:
-per la mancanza di un presupposto monitoraggio scientifico della fauna selvatica (con conseguente violazione dell’articolo 13 della LR 10/04 che prevede una verifica annuale dei programmi faunistico venatori provinciali, sulla base dei quali l’art. 26 consente l’esercizio della caccia programmata);
-per aver la Regione disatteso le indicazioni dell’ISPRA in difetto di puntuale motivazione sulle ragioni del dissenso;
-per aver consentito una chiusura giornaliera posticipata, in violazione del comma 7 dell’articolo 18 della legge 157/92.
In seguito all’accoglimento della sospensiva del Tar del 15.10.2009 –nel dichiarato intento di conformarsi al predetto decisum- l’apparato dirigenziale della Regione ha ritenuto di adeguare il calendario alle parti del parere Ispra che erano rimaste disattese. A questo punto le associazioni ricorrenti, con la proposizione di due gruppi di motivi aggiunti, hanno però insistito nel richiamare la prima censura del ricorso introduttivo, secondo la quale la mancanza di dati scientifici sul prelievo (e sulla salute) delle varie specie interessate dalla caccia, impedirebbe più in radice qualsiasi programmazione venatoria, così che risulterebbero pertanto illegittime anche le successive modifiche introdotte al calendario, in asserita conformazione al parere Ispra.
In via pregiudiziale, collegio intende operare alcune considerazioni di fondo
E’ sicuramente da ribadire il diffuso orientamento giurisprudenziale (non solo di questo Tar) secondo cui la formulazione legislativa dell’art. 18 comma 2 legge 11.2.1992 n. 157 (laddove è previsto il previo parere obbligatorio dell’istituto Nazionale per la fauna selvatica in ordine ad eventuali modifiche dei periodi di caccia per determinate specie) implica che la Regione sia tenuta a fornire congrua motivazione, laddove intenda discostarsi dal parere dell’Istituto in questione; ciò del resto in applicazione dei principi generali in tema di pareri non vincolanti (a maggior ragione se obbligatori), nei quali l’acquisizione non condivisa obbliga comunque l’autorità procedente a dare conto del dissenso.
Ulteriore questione –in rilievo nella presente vertenza- riguarda il caso in cui nella Regione di riferimento non operi in modo adeguato il prescritto monitoraggio scientifico della fauna, in base al quale le autorità venatorie sono chiamate a prendere decisioni sui periodi di caccia. In difetto di tale monitoraggio, occorre chiedersi se la programmazione della caccia debba essere o meno radicalmente inibita, in attesa che le amministrazioni provvedano ad acquisire i necessari flussi informativi (in senso affermativo spingono le ricorrenti)
Quanto alla effettiva sussistenza di un deficit di programmazione e di gestione dei dati sulla fauna cacciabile, le associazioni de quibus si sono diffuse sia nel ricorso introduttivo che nei motivi aggiunti, sostenendo che in Abruzzo mancherebbe quella rete differenziata di piani e programmi per la gestione faunistico-venatoria ed ambientale sul territorio, pure ampiamente prevista dalle normative di settore europee, nazionali e regionali (in primis: direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici e la connessa “guida alla disciplina di caccia” della commissione europea, ove si argomenta della necessità di “efficaci sistemi di monitoraggio basati su dati scientifici in modo da assicurare che qualsiasi utilizzazione sia mantenuta a livelli sostenibili per le popolazioni selvatiche”, art. 1 legge 157/92; artt. 13 e 26 LR 10/04, secondo cui le province sono chiamate a trasmettere alla Giunta regionale “improrogabilmente entro il 15 aprile di ogni anno”, una relazione illustrativa sullo status delle popolazioni di animali selvatici omeotermi comprendente dati sugli abbattimenti e sulle catture nella stagione venatoria appena conclusa, corredata dalla consistenza numerica dei cacciatori residenti).
Le associazioni ricorrenti hanno riportato in proposito alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa dall’assessore regionale alla caccia, dalle quali si troverebbe conferma che i dati scientifici mancherebbero dal 2004, ed a tale inconveniente la Regione starebbe ponendo (tardivo) rimedio con la predisposizione in itinere del nuovo piano faunistico regionale.
Da qui si sostiene che la PA intimata–per di più con un piano faunistico venatorio regionale in prorogatio dal 2004 (recte, dal 2007,in tal senso, cfr. delibera di consiglio regionale n. 78/2011)- non avrebbe potuto svolgere alcuna azione amministrativa di programmazione dell’attività venatoria, atteso che il monitoraggio delle specie costituirebbe l’inderogabile presupposto per l’applicazione dei poteri di deroga alle prescrizioni nazionali, stabilite dagli artt. 18 e 19 bis della legge 157/92.
Ritiene il tar che la mancanza dei dati sulla fauna selvatica a disposizione della Regione procedente (dati da acquisire secondo le evidenziate modalità di legge) possa ritenersi provata in giudizio, anche in relazione al fatto che lo stesso patrono dell’amministrazione nulla ha specificamente controdedotto al riguardo, né ha depositato documentazione alcuna, mirata ex adverso a dimostrare l’assolvimento dei flussi informativi da parte delle amministrazioni a ciò preposte; in ogni caso la PA intimata non ha neanche indicato la disponibilità di fonti alternative (equiparabili per dettaglio e per qualificazione alla banca-dati da aggiornare), in grado di aver sopperito alle evidenziate lacune di monitoraggio.
Deve pertanto trovare applicazione il disposto dell’art. 64 CPA, in ordine al regime delle prove in giudizio ed alle conseguenze che il giudice deve trarre dal comportamento processuale delle parti.
Da ciò tuttavia non può conseguire una inibizione tout court dell’intera attività venatoria sul territorio regionale, come invece argomentato, non tanto nel ricorso introduttivo (ove tali concludenze risultano solo delineate, con ben maggiori insistenze e dettagli sulle ipotesi caducatorie per specifiche parti del calendario), quanto nel primo e nel secondo gruppo di motivi aggiunti, ove si impugnano (fra l’altro) i rimedi adottati dalla Regione a seguito dell’ordinanza cautelare del tar, sostenendo che si sarebbe trattato di una conformazione fittizia, in un contesto programmatorio di caccia in radice abusivo.
Può peraltro ben affermarsi che la carenza del monitoraggio aggiornato sulle specie cacciabili rappresenta un elemento che necessariamente affievolisce le potestà regolatorie ed autorizzatorie nella soggetta materia, potestà che –almeno per le parti rilievo nella presente vertenza- rimangono limitate ad una prudente (e restrittiva) predisposizione dello schema di calendario da sottoporre al vaglio dell’Ispra, con il quale dovrebbe essere peraltro perfezionata una fruttuosa interlocuzione previa; quanto sopra, con l’intesa che il programma venatorio potrà interessare le sole parti che detto Istituto –sulla base di propri studi scientifici sul territorio- ritiene compatibili con la buona salute delle specie interessate.
Si vuole cioè affermare che quell’Organo di consulenza scientifica –attraverso i dati di sua diretta disponibilità- è in grado, almeno in parte, di supplire al difettoso monitoraggio operato dalle amministrazioni del territorio, così che queste ultime possono ragionevolmente recepire le indicazioni di caccia rese nei pareri dell’Ispra, beninteso per le sole componenti prescrittive basate su studi scientifici già acquisiti, e sempre che la consulenza non subordini il parere positivo di cacciabilità ad ulteriori verifiche delle amministrazioni destinatarie (verifiche che non potrebbero essere improvvisate per l’occasione od affidate in extremis ad organi locali, in mancanza di una generale banca dati maturata e coordinata per tempo). Resta poi inteso che –pur nel delineato e più generale deficit informativo- le disposizioni regolatorie regionali possono basarsi su dati aliunde acquisiti da altri Organismi scientifici accreditati, dati comunque da riferire e da analizzare nello specifico contesto territoriale di intervento, e sempre in stretto coordinamento con l’Ispra.
E’ poi appena il caso di precisare che la suesposta programmazione (straordinaria) di caccia determina un impedimento alla Regione di esprimere un legittimo dissenso sul parere reso dal predetto Istituto scientifico, dissenso invece –come sopra visto-altrimenti delineabile attraverso congrua motivazione, ma solo nei casi di rituale disponibilità, da parte della PA procedente, della presupposta ricognizione delle popolazioni faunistiche, proprio perché nessuna argomentazione tecnico-scientifica la Regione sarebbe in grado di opporre in modo attendibile, senza il necessario monitoraggio delle specie, formalizzato secondo le modalità di legge. Né ovviamente potrebbero delinearsi decisioni alternative (di discutibile opportunismo), asseritamente basate sugli stessi dati scientifici posti a disposizione dell’Istituto (od episodicamente aliunde acquisiti), potendosi al più configurare una eventuale interlocuzione della Regione con Ispra, al fine di ottenere correttivi, scaturiti da una diversa interpretazione dei medesimi dati.
Sulla base degli esposti principi, deve pertanto operarsi lo scrutinio sulle disposizioni regionali oggetto di impugnativa.
Va ravvisata in primis la fondatezza delle censure azionate con il ricorso introduttivo, con cui viene dedotta l’illegittima difformità di alcune disposizioni del calendario impugnato rispetto alle diverse indicazioni rese dall’Ispra.
Infatti, non solo la Regione ha omesso di motivare alcunché in ordine al “perché” del dissenso dal parere dell’istituto (circostanza che secondo le regole generali determina ex se l’illegittimità del modus operandi regionale, come già evidenziato nell’ordinanza di sospensiva 200/09), ma, ancor più a monte, l’assenza di un proprio monitoraggio delle specie cacciabili avrebbe impedito alla Regione stessa di procedere a qualsiasi motivata disattenzione dell’apporto consultivo in questione, e ciò per la rilevata impossibilità di far valere –e di illustrare in modo convincente- una (inesistente) istruttoria scientifica di segno diverso.
L’ultima doglianza del ricorso introduttivo non può invece trovare condivisione. In essa si lamenta in modo generico la presunta violazione del comma 7 dell’articolo 18 della citata legge 157/92 ove si stabilisce che la caccia è consentita un’ora prima del sorgere del sole sino al tramonto e, per gli ungulati, anche un’ora dopo quando sia fatta secondo un metodo selettivo. Secondo la ricorrente l’impugnato calendario venatorio avrebbe invece consentito di protrarre la caccia ben oltre il tramonto (addirittura un’ora dopo nel mese di gennaio), come emergerebbe dal raffronto fra gli orari del calendario con quelli forniti dall’Osservatorio astronomico di Teramo. Nessuna indicazione concreta e puntuale dei reclamati scostamenti è stata tuttavia evidenziata e comprovata, così che nella detta censura emergono profili di estrema genericità, che conducono il tar alla conseguente reiezione.
Passando al vaglio dei primi motivi aggiunti notificati il 2.11.2009, va sùbito anticipato che la determinazione dirigenziale del 16.10.2009 –per le parti oggetto di questa impugnativa- ha assunto un connotato meramente preparatorio, privo di attuale lesività.
Più in particolare, il dirigente del Servizio Economia Ittica della Regione Abruzzo ha in quella sede sospeso il prelievo venatorio della starna nelle more dell’accertamento della effettiva consistenza dei relativi stock faunistici (disposizione, questa, ovviamente non gravata), suggerendo poi le varie modalità con cui la Giunta Regionale avrebbe potuto recepire il parere dell’Ispra del 29.6.09, ai fini della completa esecuzione della richiamata ordinanza.
Le associazioni ricorrenti –insoddisfatte dei contenuti conformativi della predetta determina- hanno diffidato in data 21.10.09 la Regione ad adottare iniziative ritenute elusive del provvedimento cautelare Tar, chiedendo che venisse fatta chiarezza in ordine al fatto che il divieto di prelievo venatorio valesse non solo per la starna, ma per tutte le specie cacciabili, sino ad una nuova legittima delibera della Giunta regionale. Da qui, per l’appunto, l’impugnativa aggiunta del 2.11.09 all’esame del collegio.
Ma in realtà, le disposizioni avversate si sono limitate a programmare la futura attività deliberativa della Giunta regionale, senza formalizzare alcun provvedimento lesivo, la cui impugnativa deve essere conseguentemente dichiarata inammissibile.
Quanto ai secondi motivi aggiunti del 24.11.09 –diretti sulla determinazione dell’11.11.09, con cui il predetto dirigente regionale ha (questa volta) effettivamente disposto la modifica del calendario venatorio nei sensi anticipati con la precedente determina del 16.10.2009- va preliminarmente accolta la doglianza di incompetenza dedotta dalle ricorrenti associazioni, in merito al fatto che tale modifica sarebbe illegittimamente avvenuta con atto dirigenziale, anziché con il diretto intervento deliberativo della Giunta regionale, Organo titolare del provvedimento sul quale le modifiche si appuntano.
Invero il dirigente aveva trasmesso gli atti alla Giunta, la quale tuttavia (tramite il componente preposto alla Caccia, con nota del 10.11.09) ha ritenuto di non deliberare in materia, sul rilievo che si sarebbe trattato “del mero recepimento di un atto giurisdizionale, riservato alla titolarità del dirigente”.
Detto assunto non può essere condiviso, in primis poiché la conformazione ad un decisum giudiziario può postulare –come nella specie- fasi interpretative ed applicative complesse, e comunque prive di meri automatismi, da rimettere pertanto all’Organo ordinariamente deputato a provvedere nella soggetta materia (il quale è pertanto tenuto a rispondere del suo operato anche e soprattutto per tali delicate fasi di adeguamento).
In secondo luogo, non appare così chiaro che le misure correttive in questione siano state assunte solo in vista del dovere conformativo all’ordinanza cautelare, senza alcuna condivisione degli adeguamenti stessi, e quindi senza alcun ripensamento amministrativo rispetto alla originaria versione.
Pur non potendosi escludere una tale evenienza (così che il ricorso principale sulle originarie previsioni del calendario è stato prudentemente deciso nel merito), nessuna specifica considerazione risulta esplicitata nella determinazione impugnata e/o nel rinvio alla dirigenza operato dal componente di Giunta, mentre neanche in vista dell’odierna udienza di discussione, l’amministrazione ha mai inteso riaffermare la legittimità del “primo” calendario impugnato.
Non sussistevano quindi attendibili ragioni per esonerare l’Organo collegiale dalla modifica ad hoc, ovvero dalla integrale riadozione del (nuovo) calendario venatorio, da ciò conseguendo la fondatezza della esposta censura di incompetenza.
Peraltro, la portata conformativa della presente pronuncia verso future deliberazioni di settore consiglia il collegio a ponderare anche le restanti doglianze, senza applicazione della regola giurisprudenziale che ravvisa nell’incompetenza un vizio pregiudiziale, capace di determinare l’integrale assorbimento di ogni altra censura.
Analizzando le singole modifiche introdotte con la determina in questione si osserva quanto segue:
-non può condividersi la prescrizione sul prelievo venatorio della lepre comune (fissato al 30.11.09, con divieto di cacciabilità di detta specie, nelle aree ove vi fosse prova scientifica di sovrapposizione di popolazione di lepre italica); infatti, in un contesto più volte evidenziato di carente monitoraggio scientifico in cui ancora versano gli enti territoriali e locali abruzzesi, il richiamo operato dalla Regione alla eventuale “prova scientifica” (di sovrapposizione con la specie protetta) appare privo di concretezza e di attendibilità, proprio in relazione al precario stato di capacità ricognitiva dell’intera fauna cacciabile, in cui la Regione stessa ha dimostrato ancora di versare (nonostante i volenterosi intenti connessi al nuovo piano venatorio in itinere). Nel delineato contesto non si vede come possa farsi riferimento ad una prova scientifica particolarmente complessa e severa –di assoluto impegno anche per le Regioni più virtuose, già in possesso di adeguati monitoraggi venatori – che dovrebbe presupporre tra l’altro l’accertamento sulla esatta distribuzione delle due specie sul territorio, con prelievo sostenibile della lepre comune “basato su censimenti o stime d’abbondanza, pianificazione del prelievo e analisi dei carnieri” (parere Ispra del 29.6.09).
Non rileva in contrario quanto affermato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila nella sua memoria del 2.11.2009, ove si afferma che “proprio per arginare il rischio indiretto derivante dalla confondibilità delle specie lepre europea (cacciabile) e lepre italica (protetta) … la Provincia di L’Aquila (che aveva provveduto a richiedere all’Ispra notizie in ordine alla contemporanea presenza delle due specie) ha interdetto la caccia alla lepre in due SIC (Siti di Importanza Comunitaria denominati Gole del Sagittario e Monte Genzana e nell’intera ZPS denominata Parco Regionale Sirente Velino”).
Ed invero, non può trovare condivisione un calendario venatorio con improprie deleghe “in bianco” che –relativamente ad un prelievo di caccia così delicato e pericoloso per un’altra specie “a contatto” con forte rischio di estinzione- affidi alle singole Province il compito di verificare “caso per caso” se autorizzare o meno tale prelievo, rinviando il tutto ad una “prova scientifica” che la stessa Regione procedente non sarebbe stata in grado di raggiungere, in carenza di quel monitoraggio delle specie cacciabili che le stesse Province avrebbero dovuto far confluire a livello regionale, per gli opportuni coordinamenti. Quanto sopra, peraltro in un contesto di legge statale (l. 157/92) e regionale (L.R. 10/2004) che affida alla Regione l’esclusiva titolarità del calendario stesso.
In via generale, compito della Regione sarebbe dunque quello di pubblicare i dati scientifici di riferimento, sulla base dei quali disporre nel suo calendario su quali ambiti territoriali (ritenuti più sicuri) poter autorizzare la caccia alla lepre, ovvero indicando –al contrario- quegli ambiti prudenzialmente interdetti. Di contro, in caso di mancata disponibilità di quei dati, la decisione di inibire in radice la caccia alla lepre sarebbe la soluzione più logica e conforme al principio comunitario di precauzione; ebbene è facile concludere che tale decisione sarebbe stata del tutto pertinente nella vicenda in esame, visto il grave deficit che ancora caratterizza in Abruzzo il censimento di tutta la fauna selvatica sul territorio (anche di quella più facile ad essere monitorizzata).
In ogni caso, a tutto voler concedere, la regione stessa avrebbe dovuto quantomeno avvalersi dell’aiuto offerto dall’Ispra nel citato parere del 29.6.09, laddove –in relazione al forte rischio di ricadute sulla lepre italica- si era deciso di assicurare “fin d’ora il proprio eventuale supporto tecnico scientifico sia a livello regionale che periferico”.
Il fatto che la (sola) Provincia dell’Aquila –secondo quanto riferisce il patrono della PA intimata- abbia consultato l’Ispra al fine di avere ragguagli suoi luoghi di maggiore commistione delle due specie, per poi prendere coerenti decisioni inibitorie in relazione a tali luoghi, non affievolisce ma conferma l’illegittimità della impugnata determinazione regionale, con la quale –in luogo delle dovute disposizioni sull’intero territorio abruzzese, ove del caso attraverso un fattivo coordinamento “a monte” con l’Istituto scientifico - si è invece operata una impropria delega devolutiva alle singole Province (o meglio, alla buona volontà delle singole Province). Il risultato è che –secondo quanto riferito dalla stessa difesa regionale- solo la Provincia dell’Aquila ha affrontato il problema, mentre nulla emerge per ciò che concerne le altre tre province ove – è il caso di temerlo- la caccia alla lepre potrebbe essersi svolta senza aver previamente ponderato gli evidenziati rischi di confondibilità delle due specie. Né risulta dagli atti di causa che la Regione abbia, quantomeno, richiesto nel tempo documentati ragguagli alle Province su come sia stato gestito quel prelievo venatorio, negli ambiti territoriali di rispettiva competenza.
Vanno invece positivamente scrutinate le disposizioni che riguardano il termine del prelievo venatorio del fagiano (fissato al 6.12.09), atteso che la conformazione al parere Ispra sul punto appare congrua. Nella citata consulenza del 29.6.09, l’Istituto aveva infatti osservato che “la condizione del fagiano nella regione è tale da sconsigliare la prosecuzione del prelievo venatorio oltre i primi di dicembre”, così presupponendo di possedere dati scientifici sufficienti a ritenere che in Abruzzo fino a quel periodo indicato (condiviso dall’amministrazione) il prelievo di quella specie sarebbe stato tollerabile. In buona sostanza, opera in questo caso quella supplenza scientifica Ispra-Regione, di cui il collegio ha a lungo argomentato in precedenza.
Quanto invece ai periodi durante i quali è stata accordata la possibilità di cacciare con il cane, occorre distinguere i vari passaggi della nuova determinazione regolatoria.
Nulla quaestio per l’apposizione del termine “generale” di fine caccia al 31.12.09, trattandosi di una misura adesiva al parere Ispra, ove si afferma che “dal punto di vista tecnico la caccia vagante, soprattutto se con l’ausilio del cane, dovrebbe terminare non oltre il mese di dicembre”. Desta ovviamente perplessità la ricerca sistematica del “massimo utile” –quanto al dimensionamento delle varie facoltà venatorie- rispetto a quanto delineato dall’Istituto scientifico, così da prescegliere sempre e comunque la soluzione che l’Ispra ipotizza come limite massimo di tollerabilità del prelievo di caccia. Tale modus operandi non rende una eccellente garanzia di serenità valutativa e di indipendenza da pressioni esterne, collegate agli interessi settore, tanto più in contesto di penuria cognitiva sulla salute delle specie, penuria che dovrebbe ragionevolmente condurre alla massima precauzione ed –almeno in qualche caso- ad utilizzare i suggerimenti dell’Ispra, non sempre e solo nella loro maggiore “espansione”. Tuttavia il presente sindacato di legittimità (e non di merito) esclude che il giudice possa intervenire in senso caducatorio sulla sola base delle predette osservazioni di fondo, così che la disposizione in questione deve ritenersi legittima.
Discorso diverso riguarda invece l’eccezione operata per le aziende faunistico venatorie, per le aziende agri-turistico-venatorie e per la caccia al cinghiale e alla volpe in squadre autorizzate, con conferma in questi casi del preesistente termine del 31.1.10.
Vero è che nel suo parere del 29.6.09 l’Ispra aveva previsto per tali categorie possibili eccezioni. Tuttavia in questo caso l’adesione al “massimo consentito” (nei sensi appena esposti) restava obiettivamente impedita proprio dalla carenza del monitoraggio scientifico; detta lacuna infatti non può che escludere scelte “eccezionali”, in quanto tali valutabili solo in presenza di quelle adeguate (ed aggiornate) statistiche sulla fauna selvatica del territorio, di cui invece la Regione non dispone.
Nessuna misura conformativa –pur dopo l’ordinanza di sospensiva n. 200/09- risulta invece presa dalla Regione in ordine alle specie stanziali (lagomorfi e Fasianidi), per le quali il calendario impugnato ha anticipato l’apertura della stagione venatoria al 20 settembre, in contrasto con quanto aveva suggerito l’Ispra, secondo cui l’apertura della caccia a quelle specie avrebbe dovuto posticiparsi all’inizio di ottobre. Per tale parte del calendario, rilevano pertanto le conseguenze caducatorie collegate all’accoglimento del gravame introduttivo.
Infine non può trovare accoglimento la censura nei confronti dell’art. 3 bis della delibera di giunta n. 515/09 ove si permette l’utilizzo del piccione di allevamento come richiamo vivo nella caccia da appostamento al colombaccio. Secondo le ricorrenti la predetta disposizione sarebbe in contrasto:
- con l’art. 5 comma 1 della della legge 157/92, ove si prevede una normativa secondaria regionale –previo parere Ispra- per regolamentare “l'allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili, nonchè il loro uso in funzione di richiami”;
-con l’art. 21 comma 1 lett. p), ove si fa divieto di usare richiami vivi, al di fuori dei casi previsti dall'articolo 5”.
In contrario è tuttavia da precisare che il piccione domestico non appartiene alla fauna selvatica (presa in considerazione dalla legge 157/92), poiché tale specie, diversamente da quanto previsto dall’art. 2 della 157/92 non vive “stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà sul territorio nazionale” e pertanto non è oggetto di tutela ai sensi della predetta legge n. 157/92 (così anche il parere n. 5439/T-A del 18/09/2000 dell’ex INFS, ove si esclude categoricamente che il piccione domestico sia da considerarsi fauna selvatica).
In conclusione:
-va dichiarata la fondatezza del ricorso introduttivo e dei secondi motivi aggiunti, nei limiti delle doglianze scrutinate favorevolmente;
-va invece dichiarata l’inammissibilità dei primi motivi aggiunti.
Sussistono ragioni per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) accoglie il ricorso introduttivo ed i secondi motivi aggiunti, nei limiti di cui in motivazione;
dichiara inammissibili i primi motivi aggiunti.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Paolo Passoni, Consigliere, Estensore
Maria Abbruzzese, Consigliere
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L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Il 21/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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