Un cumulo di macerie
Anticipazione dell'articolo di fondo di Federico Merli che sarà pubblicato sul numero di gennaio di Caccia+
Un cumulo di macerie è quanto rimane nel “paesaggio” venatorio di questo paese.
Un paese dove, per dire la verità, tutti i settori vedono la presenza di una certa classe dirigente incapace di vedere al di là del proprio mero interesse di bottega, dove la cultura dell’individualismo e della categoria di appartenenza ha ormai soppiantato e umiliato qualsiasi forma di rispetto del prossimo, del diverso, della mediazione quale necessario strumento per evitare conflitti, che quasi mai portano da nessuna parte. E lasciano appunto un cumulo di macerie. Quelle che il mondo venatorio, con grande difficoltà se non ci sarà una inversione di tendenza, potrà rimuovere.
Ma questa storia deve essere brevemente ripercorsa per ricordare a tutti, dirigenti venatori, cacciatori e curiosi, la storia della caccia nell’ultimo quarto di secolo.
Alla fine degli anni ’80 la discussione “caccia si caccia no” (peraltro così furbescamente impostata da certi ambientalisti allorché si propose di abolire col referendum l’art. 842 del codice civile, quello che consente ai cacciatori il libero accesso, a determinate condizioni, ai fondi privati), era al culmine dello scontro fra parti sociali. Oltre a questo nel 1979, con successiva ratifica italiana, la Comunità Europea aveva approvato la famigerata Direttiva n. 409/79 detta “Uccelli” che avrebbe ed ha comportato notevolissime restrizioni per specie e tempi di caccia rispetto ai tradizionali calendari venatori italiani. Oltre a questo il mondo venatorio italiano da anni, al suo interno, discuteva sui numerosi problemi del calo della selvaggina stanziale, sui problemi del nomadismo venatorio e si iniziavano ad intravedere le future problematiche causate dalla presenza eccessiva degli ungulati selvatici. Il calo dei cacciatori, contrariamente a quello che si vuol far credere, era già in atto dai primi anni ’80, semplicemente perché la società italiana stava cambiando, ormai profondamente metropolitana, e al contempo stava invecchiando.
In questo quadro di profondi cambiamenti e di contrasti, il caso (oltre alla volontà di pochi e benemeriti dirigenti venatori ed ambientalisti) volle che incredibilmente, dopo estenuanti discussioni, all’ultima notte della legislatura di “mani pulite”, il parlamento approvò la Legge 157 del 10 febbraio 1992.
Senza entrare nel merito dei giudizi sulla validità di tale legge, penso che tutti debbano riconoscere almeno tre fatti: mise termine (anche se l’ultimo referendum si tenne nel 1994) alla fase referendaria; instaurò un compromesso sui calendari venatori inserendo nella legislazione venatoria l’arco temporale massimo fra il 1 di settembre ed il 31 gennaio che ha garantito i calendari di tutte le regioni fino al 2010; ha mantenuto fermo il principio dell’art. 842, garantendo a tutti una caccia di tipo pubblicistico.
La 157 è stata solo parzialmente applicata in Italia, prevalentemente nel centro nord del paese, ed anche qui con notevoli differenze: sono al riguardo riscontrabili alcuni successi ma anche numerose delusioni che senz’altro hanno contribuito a compattare il fronte di coloro che sin dal 1992 si erano dimostrati contrari.
Il fronte anti 157 si è poi allargato progressivamente inglobando parti dell’associazionismo venatorio che aveva dato origine all’UNAVI (Unione Nazionale Associazioni Venatorie Italiane) grazie anche alla spinta politica dell’europarlamentare Berlato che fin dal 2000 iniziò una personalissima campagna elettorale “prolungata” promettendo un sensibile incremento di specie e tempi di caccia. Fu in quell’epoca, inizio 2001 che l’abbiamo sentito con le nostre orecchie, in una celebre assemblea a Ponte a Cappiano, Fucecchio, affermare con grande sicurezza che forse marzo non sarebbe stato possibile ma sicuramente votando centrodestra febbraio era garantito; il fringuello, il piccolo convitato di pietra ad ogni assemblea di cacciatori, era dato altrettanto per sicuro e poi superata ogni timidezza perché non osare con il frosone, con la pispola e con la peppola, e già che c’eravamo già qualche prode nembrotte si alzava chiedendo a gran voce l’oca selvatica. Dietro a Berlato, quel mondo venatorio ufficiale partiva, per usare una similitudine cinegetica, a canizza serrata, seppur con qualche esitazione di alcuni elementi, con qualche distinguo di qualche dirigente più avveduto.
Cosa faceva ARCI Caccia? Cercava, con onestà, trasparenza e determinazione, di tenere la barra dritta sulla necessità di applicare al meglio la legge e di tenere a riferimento il tema del buon governo del territorio. Di fronte alla piazza urlante, di contro, non mancavano schiaffoni e invettive perchè definita associazione politicizzata e amica degli ambientalisti, che vendeva la pelle dei cacciatori pur di appoggiare un centro sinistra che annoverava tra le sue file persino, udite udite, il feroce Saladino Pecoraro Scanio. Scattava la battaglia della tessera, il pubblico ludibrio, la gogna su internet e sulle riviste di settore.
Nel frattempo Berlusconi vinceva le elezioni del 2001, Alemanno diventava Ministro dell’Agricoltura e Berlato, da europarlamentare, suo consigliere in materia di caccia. Chi si ricorda del grande Convegno di Venezia? Chi si ricorda di molti dirigenti che sentivano finalmente “che il vento era cambiato”, che cominciava la riscossa del mondo venatorio? Chi ricorda il fatto che l’Arcicaccia non partecipò a quel convegno preferendo mantenere un filo di dialogo con quella parte del mondo agricolo e ambientalista non interessato alle adunate propagandistiche e orientato verso le buone pratiche gestionali?
Sono passati 10 anni, con 8 anni di governo cosiddetto “amico” dei cacciatori e i risultati sono stati sinceramente diversi da quelli promessi. Vediamo di ricordarli brevemente: innalzamento delle tasse di concessione governativa (centro destra); mancato ristorno del 50% delle suddette tasse (centro destra e sinistra); decreto ZPS (centro sinistra e confermato dal centro destra); modifica dell’art. 18 della 157 (centro destra). Per non ricordare le misure restrittive sulla legislazione sulle armi e sul benessere animale introdotte dal centro destra.
Ma per spiegare meglio quello che è successo, e che non tutti hanno potuto percepire, dobbiamo spiegare alcuni aspetti che riguardano la situazione europea. Ricordiamo che esiste una Direttiva europea, la vecchia 409/79 (ora 147/09) che afferma alcuni principi basilari: una qualsiasi specie di uccelli è possibile cacciarla solo se è in buono stato di conservazione anche a livello di singole popolazioni a differente carattere migratorio; non si possono cacciare specie che risultano ancora in fase riproduttiva finché non si ha la completa emancipazione dei piccoli (in pratica l’involo) e dal momento in cui una specie comincia la migrazione prenuziale (ripasso); ogni paese può cacciare le specie iscritte in due famosi allegati, il II/a e il II/b; sono possibili deroghe a tutto ciò che è vietato ma si tratta di provvedimenti eccezionali applicabili solo se non esistono altre soluzioni soddisfacenti; per completezza d’informazione esiste anche la deroga per consentire un prelievo di uccelli in “piccola” quantità. Per fare un esempio una deroga di questo tipo viene applicata da Malta per la caccia a tortora e quaglia a maggio (quindi in pieno periodo riproduttivo), consentendo il prelievo di 9000 tortore e 1500 quaglie a circa 10 mila cacciatori maltesi. Detto questo, e senza volersi dilungare in ulteriori tecnicismi, diciamo anche che i pareri tecnici, i dati che fissano le date di inizio delle migrazioni prenuziali e i periodi riproduttivi, vengono forniti alla Commissione Europea dall’ISPRA, ex Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.
Ora, senza esprimere un parere sulla competenza o sulla malafede di cui è tacciato l’istituto, le sue posizioni ed i suoi dati sono noti da moltissimi anni: sostiene che le deroghe sono provvedimenti eccezionali, che devono avere particolari motivazioni; sostiene che il tordo bottaccio inizia il ripasso la seconda decade di gennaio o che l’alzavola l’inizia la terza decade di gennaio, sostiene che le oche selvatiche sono troppo poche in Italia per farle cacciare a tutti liberamente. I suoi pareri non sono vincolanti ma qualora disattesi le regioni o le province devono essere in grado di spiegare perché ciò viene fatto, altrimenti si corre il fortissimo rischio di vedersi bocciare (come è successo) calendari o provvedimenti amministrativi. L’INFS era ed è quindi considerato un forte ostacolo per coloro che volevano febbraio o per inserire una nuova specie cacciabile. I modi per aggirarlo sono due e sono stati tentati entrambi da Berlato e soci: condizionare l’INFS dall’interno, tentativo messo in atto durante il governo Berlusconi, quando lo stesso Berlato entrò nel Consiglio d’Amministrazione dell’ente, per fargli cambiare posizione; oppure riuscire a dimostrare che l’INFS non ha dati affidabili portando i dati e le prove scientifiche necessari. Questo tentativo è stato fatto due volte: nel 2002, con un incontro fra rappresentanti del mondo venatorio italiano e del mondo universitario, e lo stesso INFS, davanti alla Commissione Europea. Il risultato fu disastroso, in particolare nel tentativo di dimostrare che i tordi iniziano a ripassare dalla fine di febbraio (il che ne avrebbe consentito la caccia fino a metà mese!). Il secondo tentativo è in atto, ci sono stati due incontri al Ministero a Roma,di cui attendiamo fiduciosi i risultati anche se di quella commissione si sono già perse le tracce e probabilmente anche le risorse economiche messe a disposizione sulle quali sono state presentate alcune interrogazioni parlamentari. Pare, notizia non confermata, che ci sia una memoria “scientifica” prodotta da FACE Italia, basata più che altro su dati francesi e su una raccolta di letteratura, la cui validazione sembra piuttosto deboluccia. Certo è che sarebbe conveniente per tutti che il mondo venatorio si presenti molto preparato a questi incontri, altrimenti il rischio è quello di perdere anche quella poca credibilità rimasta. In vista di un possibile riordino degli allegati delle specie cacciabili nel 2013, fare figuracce ora con il Ministero, avrebbe conseguenze pessime, di fronte agli “agguerittisimi avversari” di Birdlife International, quegli stessi con i quali la Face stringe accordi importanti a livello europeo.
Non solo: Federcaccia ha scritto alla Commissione Europea, sostenendo che l’ISPRA non garantisce dati scientificamente attendibili e che il suo parere non è vincolante. Per tutta risposta la Commissione risponde, riassumendo in breve, che l’ISPRA è organismo del massimo valore scientifico, autorevolezza e attendibilità; che per una migliore e corretta applicazione della Direttiva Europea bisognerebbe dare più ascolto all’ISPRA; che in particolare il ruolo dell’ISPRA risulta fondamentale per l’applicazione delle deroghe; infine che le molte procedure di infrazione a Stato e Regioni italiane corrispondono al mancato rispetto dei suggerimenti dell’ISPRA. La missiva si conclude clamorosamente, e con un vago tono ironico con “… Riteniamo quindi che per le Regioni italiane seguire i pareri dell’ISPRA sia un ottimo modo per evitare possibili problemi nell’applicazione della Direttiva Uccelli”.
Un ulteriore autogol per un mondo venatorio che in questi ultimi due anni, è stato bersagliato da una pioggia di contenziosi giuridici su deroghe e ultima novità, sui calendari venatori. La vecchia e vituperata 157, come norma di compromesso, aveva salvaguardato l’impianto del calendario venatorio, definendo i periodi massimi di cacciabilità per gruppi di specie e il concetto di arco temporale massimo. A forza di insistere, Berlato, Orsi e soci, sono riusciti a portare in votazione nei due rami del Parlamento, la modifica all’art. 18, sul principio “caccia per tempi e per specie”. Il problema è che esiste ed è tuttora in vigore la Direttiva Uccelli e i suoi criteri di base, e che in Parlamento esiste un fronte molto ampio e trasversale che non ama molto la caccia, eufemisticamente parlando, ovvero che è disposta al ragionamento sull’attività venatoria allorchè improntata al principio della sostenibilità e del rispetto delle indicazioni della scienza. Le stesse cose che Face Italia ha pomposamente comunicato attraverso una ormai famosa indagine sul pensiero degli italiani e la caccia. Il risultato della “genialata” di voler mostrare i muscoli in Parlamento, poi rivelatisi flaccidi, per ottenere più tempi e più specie è stata l’approvazione dell’art. 43 della Legge Comunitaria 2010. Un testo che di fatto scavalca, nel bene e nel male (soprattutto nel male) il precedente vincolo 1 settembre – 31 gennaio. Ricordiamo ancora chiaramente, a modifica approvata, la “moderata soddisfazione” del Sig. Sorrenti, alto dirigente della Federcaccia, responsabile scientifico dell’Ufficio Avifauna Migratoria. Peccato che la modifica rinviava di fatto, per ogni specie migratrice cacciabile, agli ormai famosi KC, cioè le tabelle con cui si fissa la data di inizio della migrazione prepuziale e conseguentemente la chiusura della caccia. Da lì un susseguirsi di ricorsi al TAR per i calendari venatori, che hanno portato, in un solo anno, ad accorciare il calendario venatorio per una o più specie in dieci regioni, compreso il Veneto per i tordi, mentre le altre, ultimo il Lazio dopo Abruzzo, Sardegna, Campania, sono alle prese con sospensioni intere o parziali dell’attività venatoria su alcune specie o sull’intero calendario venatorio, come la scorsa stagione la Calabria che fu costretta a chiudere la caccia per oltre una settimana. Ed anche le Regioni come Emilia, Lombardia o Toscana, che hanno il calendario fissato per legge, non sono al sicuro, in quanto soggette al ricorso alla Corte Costituzionale.
Non parliamo poi di deroghe, sia per i fringillidi sia per la cattura di richiami vivi: un vero e proprio stillicidio di ricorsi, sospensive, per cui la certezza del diritto è diventato ormai un optional. Senza contare le continue procedure d’infrazione, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Aja, le lettere della Commissione Europea. A tal riguardo, in queste ore, per evitare pesanti sanzioni dall’Unione Europea, la regione Lombardia su richiesta del presidente Formigoni si è vista costretta ad abrogare le leggi su deroghe e richiami vivi.
Intanto nel 2012 si avvicina a tappe forzate la data di svolgimento del referendum anticaccia in Piemonte senza che, al momento, sia in atto lo sforzo legislativo per tentare di impedirlo!
Ma la cosa più grave, a parte i risultati pratici (prima chiedevano a gran voce febbraio ed ora, dopo i disastri combinati, sono costretti a difendere gennaio) è il clima che si è creato: sia nel paese con le consuete strumentalizzazioni televisive, ma soprattutto nel confronto scontro con le associazioni ambientaliste: anche quelle meno oltranziste, le hanno costrette, non avendo più interlocutori, ad assumere posizioni estremistiche, e scritturano schiere di avvocati pronti a studiare ogni cavillo per devastare il diritto. Al contempo continuano a beatificarsi per aver fatto saltare l’accordo raggiunto in sede di Conferenza delle Regioni che letto con il senno di poi era più vantaggioso di quanto si sta registrando nelle singole regioni per gli interventi dei Tribunali amministrativi e delle stesse linee guida dell’Ispra.
Non si poteva prevedere tutto ciò? Certo che si, anzi coloro che venivano considerati cassandre l’avevano previsto con esattezza. Ma che volete farci, l’omerica profetessa aveva nel suo destino quello di predire il futuro e non essere mai creduta. E così la caccia rischia di finire come la città di Troia: un cumulo di macerie!
Federico Merli
Un paese dove, per dire la verità, tutti i settori vedono la presenza di una certa classe dirigente incapace di vedere al di là del proprio mero interesse di bottega, dove la cultura dell’individualismo e della categoria di appartenenza ha ormai soppiantato e umiliato qualsiasi forma di rispetto del prossimo, del diverso, della mediazione quale necessario strumento per evitare conflitti, che quasi mai portano da nessuna parte. E lasciano appunto un cumulo di macerie. Quelle che il mondo venatorio, con grande difficoltà se non ci sarà una inversione di tendenza, potrà rimuovere.
Ma questa storia deve essere brevemente ripercorsa per ricordare a tutti, dirigenti venatori, cacciatori e curiosi, la storia della caccia nell’ultimo quarto di secolo.
Alla fine degli anni ’80 la discussione “caccia si caccia no” (peraltro così furbescamente impostata da certi ambientalisti allorché si propose di abolire col referendum l’art. 842 del codice civile, quello che consente ai cacciatori il libero accesso, a determinate condizioni, ai fondi privati), era al culmine dello scontro fra parti sociali. Oltre a questo nel 1979, con successiva ratifica italiana, la Comunità Europea aveva approvato la famigerata Direttiva n. 409/79 detta “Uccelli” che avrebbe ed ha comportato notevolissime restrizioni per specie e tempi di caccia rispetto ai tradizionali calendari venatori italiani. Oltre a questo il mondo venatorio italiano da anni, al suo interno, discuteva sui numerosi problemi del calo della selvaggina stanziale, sui problemi del nomadismo venatorio e si iniziavano ad intravedere le future problematiche causate dalla presenza eccessiva degli ungulati selvatici. Il calo dei cacciatori, contrariamente a quello che si vuol far credere, era già in atto dai primi anni ’80, semplicemente perché la società italiana stava cambiando, ormai profondamente metropolitana, e al contempo stava invecchiando.
In questo quadro di profondi cambiamenti e di contrasti, il caso (oltre alla volontà di pochi e benemeriti dirigenti venatori ed ambientalisti) volle che incredibilmente, dopo estenuanti discussioni, all’ultima notte della legislatura di “mani pulite”, il parlamento approvò la Legge 157 del 10 febbraio 1992.
Senza entrare nel merito dei giudizi sulla validità di tale legge, penso che tutti debbano riconoscere almeno tre fatti: mise termine (anche se l’ultimo referendum si tenne nel 1994) alla fase referendaria; instaurò un compromesso sui calendari venatori inserendo nella legislazione venatoria l’arco temporale massimo fra il 1 di settembre ed il 31 gennaio che ha garantito i calendari di tutte le regioni fino al 2010; ha mantenuto fermo il principio dell’art. 842, garantendo a tutti una caccia di tipo pubblicistico.
La 157 è stata solo parzialmente applicata in Italia, prevalentemente nel centro nord del paese, ed anche qui con notevoli differenze: sono al riguardo riscontrabili alcuni successi ma anche numerose delusioni che senz’altro hanno contribuito a compattare il fronte di coloro che sin dal 1992 si erano dimostrati contrari.
Il fronte anti 157 si è poi allargato progressivamente inglobando parti dell’associazionismo venatorio che aveva dato origine all’UNAVI (Unione Nazionale Associazioni Venatorie Italiane) grazie anche alla spinta politica dell’europarlamentare Berlato che fin dal 2000 iniziò una personalissima campagna elettorale “prolungata” promettendo un sensibile incremento di specie e tempi di caccia. Fu in quell’epoca, inizio 2001 che l’abbiamo sentito con le nostre orecchie, in una celebre assemblea a Ponte a Cappiano, Fucecchio, affermare con grande sicurezza che forse marzo non sarebbe stato possibile ma sicuramente votando centrodestra febbraio era garantito; il fringuello, il piccolo convitato di pietra ad ogni assemblea di cacciatori, era dato altrettanto per sicuro e poi superata ogni timidezza perché non osare con il frosone, con la pispola e con la peppola, e già che c’eravamo già qualche prode nembrotte si alzava chiedendo a gran voce l’oca selvatica. Dietro a Berlato, quel mondo venatorio ufficiale partiva, per usare una similitudine cinegetica, a canizza serrata, seppur con qualche esitazione di alcuni elementi, con qualche distinguo di qualche dirigente più avveduto.
Cosa faceva ARCI Caccia? Cercava, con onestà, trasparenza e determinazione, di tenere la barra dritta sulla necessità di applicare al meglio la legge e di tenere a riferimento il tema del buon governo del territorio. Di fronte alla piazza urlante, di contro, non mancavano schiaffoni e invettive perchè definita associazione politicizzata e amica degli ambientalisti, che vendeva la pelle dei cacciatori pur di appoggiare un centro sinistra che annoverava tra le sue file persino, udite udite, il feroce Saladino Pecoraro Scanio. Scattava la battaglia della tessera, il pubblico ludibrio, la gogna su internet e sulle riviste di settore.
Nel frattempo Berlusconi vinceva le elezioni del 2001, Alemanno diventava Ministro dell’Agricoltura e Berlato, da europarlamentare, suo consigliere in materia di caccia. Chi si ricorda del grande Convegno di Venezia? Chi si ricorda di molti dirigenti che sentivano finalmente “che il vento era cambiato”, che cominciava la riscossa del mondo venatorio? Chi ricorda il fatto che l’Arcicaccia non partecipò a quel convegno preferendo mantenere un filo di dialogo con quella parte del mondo agricolo e ambientalista non interessato alle adunate propagandistiche e orientato verso le buone pratiche gestionali?
Sono passati 10 anni, con 8 anni di governo cosiddetto “amico” dei cacciatori e i risultati sono stati sinceramente diversi da quelli promessi. Vediamo di ricordarli brevemente: innalzamento delle tasse di concessione governativa (centro destra); mancato ristorno del 50% delle suddette tasse (centro destra e sinistra); decreto ZPS (centro sinistra e confermato dal centro destra); modifica dell’art. 18 della 157 (centro destra). Per non ricordare le misure restrittive sulla legislazione sulle armi e sul benessere animale introdotte dal centro destra.
Ma per spiegare meglio quello che è successo, e che non tutti hanno potuto percepire, dobbiamo spiegare alcuni aspetti che riguardano la situazione europea. Ricordiamo che esiste una Direttiva europea, la vecchia 409/79 (ora 147/09) che afferma alcuni principi basilari: una qualsiasi specie di uccelli è possibile cacciarla solo se è in buono stato di conservazione anche a livello di singole popolazioni a differente carattere migratorio; non si possono cacciare specie che risultano ancora in fase riproduttiva finché non si ha la completa emancipazione dei piccoli (in pratica l’involo) e dal momento in cui una specie comincia la migrazione prenuziale (ripasso); ogni paese può cacciare le specie iscritte in due famosi allegati, il II/a e il II/b; sono possibili deroghe a tutto ciò che è vietato ma si tratta di provvedimenti eccezionali applicabili solo se non esistono altre soluzioni soddisfacenti; per completezza d’informazione esiste anche la deroga per consentire un prelievo di uccelli in “piccola” quantità. Per fare un esempio una deroga di questo tipo viene applicata da Malta per la caccia a tortora e quaglia a maggio (quindi in pieno periodo riproduttivo), consentendo il prelievo di 9000 tortore e 1500 quaglie a circa 10 mila cacciatori maltesi. Detto questo, e senza volersi dilungare in ulteriori tecnicismi, diciamo anche che i pareri tecnici, i dati che fissano le date di inizio delle migrazioni prenuziali e i periodi riproduttivi, vengono forniti alla Commissione Europea dall’ISPRA, ex Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.
Ora, senza esprimere un parere sulla competenza o sulla malafede di cui è tacciato l’istituto, le sue posizioni ed i suoi dati sono noti da moltissimi anni: sostiene che le deroghe sono provvedimenti eccezionali, che devono avere particolari motivazioni; sostiene che il tordo bottaccio inizia il ripasso la seconda decade di gennaio o che l’alzavola l’inizia la terza decade di gennaio, sostiene che le oche selvatiche sono troppo poche in Italia per farle cacciare a tutti liberamente. I suoi pareri non sono vincolanti ma qualora disattesi le regioni o le province devono essere in grado di spiegare perché ciò viene fatto, altrimenti si corre il fortissimo rischio di vedersi bocciare (come è successo) calendari o provvedimenti amministrativi. L’INFS era ed è quindi considerato un forte ostacolo per coloro che volevano febbraio o per inserire una nuova specie cacciabile. I modi per aggirarlo sono due e sono stati tentati entrambi da Berlato e soci: condizionare l’INFS dall’interno, tentativo messo in atto durante il governo Berlusconi, quando lo stesso Berlato entrò nel Consiglio d’Amministrazione dell’ente, per fargli cambiare posizione; oppure riuscire a dimostrare che l’INFS non ha dati affidabili portando i dati e le prove scientifiche necessari. Questo tentativo è stato fatto due volte: nel 2002, con un incontro fra rappresentanti del mondo venatorio italiano e del mondo universitario, e lo stesso INFS, davanti alla Commissione Europea. Il risultato fu disastroso, in particolare nel tentativo di dimostrare che i tordi iniziano a ripassare dalla fine di febbraio (il che ne avrebbe consentito la caccia fino a metà mese!). Il secondo tentativo è in atto, ci sono stati due incontri al Ministero a Roma,di cui attendiamo fiduciosi i risultati anche se di quella commissione si sono già perse le tracce e probabilmente anche le risorse economiche messe a disposizione sulle quali sono state presentate alcune interrogazioni parlamentari. Pare, notizia non confermata, che ci sia una memoria “scientifica” prodotta da FACE Italia, basata più che altro su dati francesi e su una raccolta di letteratura, la cui validazione sembra piuttosto deboluccia. Certo è che sarebbe conveniente per tutti che il mondo venatorio si presenti molto preparato a questi incontri, altrimenti il rischio è quello di perdere anche quella poca credibilità rimasta. In vista di un possibile riordino degli allegati delle specie cacciabili nel 2013, fare figuracce ora con il Ministero, avrebbe conseguenze pessime, di fronte agli “agguerittisimi avversari” di Birdlife International, quegli stessi con i quali la Face stringe accordi importanti a livello europeo.
Non solo: Federcaccia ha scritto alla Commissione Europea, sostenendo che l’ISPRA non garantisce dati scientificamente attendibili e che il suo parere non è vincolante. Per tutta risposta la Commissione risponde, riassumendo in breve, che l’ISPRA è organismo del massimo valore scientifico, autorevolezza e attendibilità; che per una migliore e corretta applicazione della Direttiva Europea bisognerebbe dare più ascolto all’ISPRA; che in particolare il ruolo dell’ISPRA risulta fondamentale per l’applicazione delle deroghe; infine che le molte procedure di infrazione a Stato e Regioni italiane corrispondono al mancato rispetto dei suggerimenti dell’ISPRA. La missiva si conclude clamorosamente, e con un vago tono ironico con “… Riteniamo quindi che per le Regioni italiane seguire i pareri dell’ISPRA sia un ottimo modo per evitare possibili problemi nell’applicazione della Direttiva Uccelli”.
Un ulteriore autogol per un mondo venatorio che in questi ultimi due anni, è stato bersagliato da una pioggia di contenziosi giuridici su deroghe e ultima novità, sui calendari venatori. La vecchia e vituperata 157, come norma di compromesso, aveva salvaguardato l’impianto del calendario venatorio, definendo i periodi massimi di cacciabilità per gruppi di specie e il concetto di arco temporale massimo. A forza di insistere, Berlato, Orsi e soci, sono riusciti a portare in votazione nei due rami del Parlamento, la modifica all’art. 18, sul principio “caccia per tempi e per specie”. Il problema è che esiste ed è tuttora in vigore la Direttiva Uccelli e i suoi criteri di base, e che in Parlamento esiste un fronte molto ampio e trasversale che non ama molto la caccia, eufemisticamente parlando, ovvero che è disposta al ragionamento sull’attività venatoria allorchè improntata al principio della sostenibilità e del rispetto delle indicazioni della scienza. Le stesse cose che Face Italia ha pomposamente comunicato attraverso una ormai famosa indagine sul pensiero degli italiani e la caccia. Il risultato della “genialata” di voler mostrare i muscoli in Parlamento, poi rivelatisi flaccidi, per ottenere più tempi e più specie è stata l’approvazione dell’art. 43 della Legge Comunitaria 2010. Un testo che di fatto scavalca, nel bene e nel male (soprattutto nel male) il precedente vincolo 1 settembre – 31 gennaio. Ricordiamo ancora chiaramente, a modifica approvata, la “moderata soddisfazione” del Sig. Sorrenti, alto dirigente della Federcaccia, responsabile scientifico dell’Ufficio Avifauna Migratoria. Peccato che la modifica rinviava di fatto, per ogni specie migratrice cacciabile, agli ormai famosi KC, cioè le tabelle con cui si fissa la data di inizio della migrazione prepuziale e conseguentemente la chiusura della caccia. Da lì un susseguirsi di ricorsi al TAR per i calendari venatori, che hanno portato, in un solo anno, ad accorciare il calendario venatorio per una o più specie in dieci regioni, compreso il Veneto per i tordi, mentre le altre, ultimo il Lazio dopo Abruzzo, Sardegna, Campania, sono alle prese con sospensioni intere o parziali dell’attività venatoria su alcune specie o sull’intero calendario venatorio, come la scorsa stagione la Calabria che fu costretta a chiudere la caccia per oltre una settimana. Ed anche le Regioni come Emilia, Lombardia o Toscana, che hanno il calendario fissato per legge, non sono al sicuro, in quanto soggette al ricorso alla Corte Costituzionale.
Non parliamo poi di deroghe, sia per i fringillidi sia per la cattura di richiami vivi: un vero e proprio stillicidio di ricorsi, sospensive, per cui la certezza del diritto è diventato ormai un optional. Senza contare le continue procedure d’infrazione, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Aja, le lettere della Commissione Europea. A tal riguardo, in queste ore, per evitare pesanti sanzioni dall’Unione Europea, la regione Lombardia su richiesta del presidente Formigoni si è vista costretta ad abrogare le leggi su deroghe e richiami vivi.
Intanto nel 2012 si avvicina a tappe forzate la data di svolgimento del referendum anticaccia in Piemonte senza che, al momento, sia in atto lo sforzo legislativo per tentare di impedirlo!
Ma la cosa più grave, a parte i risultati pratici (prima chiedevano a gran voce febbraio ed ora, dopo i disastri combinati, sono costretti a difendere gennaio) è il clima che si è creato: sia nel paese con le consuete strumentalizzazioni televisive, ma soprattutto nel confronto scontro con le associazioni ambientaliste: anche quelle meno oltranziste, le hanno costrette, non avendo più interlocutori, ad assumere posizioni estremistiche, e scritturano schiere di avvocati pronti a studiare ogni cavillo per devastare il diritto. Al contempo continuano a beatificarsi per aver fatto saltare l’accordo raggiunto in sede di Conferenza delle Regioni che letto con il senno di poi era più vantaggioso di quanto si sta registrando nelle singole regioni per gli interventi dei Tribunali amministrativi e delle stesse linee guida dell’Ispra.
Non si poteva prevedere tutto ciò? Certo che si, anzi coloro che venivano considerati cassandre l’avevano previsto con esattezza. Ma che volete farci, l’omerica profetessa aveva nel suo destino quello di predire il futuro e non essere mai creduta. E così la caccia rischia di finire come la città di Troia: un cumulo di macerie!
Federico Merli
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