lunedì 8 aprile 2013

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Il cane da ferma: a scuola con le quaglie

A Caccia con il Cane da ferma: alleniamolo con le quaglie

Io non direi che la caccia alla quaglia sia caccia facile. Osserverei piuttosto che essa mostra un volto che non scoraggia, che offre sufficienti occasioni di farsi le ossa, e uno paga ugualmente il suo tributo di delusioni magari senza accorgersene. Ed è forse proprio questo il punto di maggior merito della quaglia. Perciò, quando è il tempo che precede l’apertura, sciolgo con fiducia il cucciolone nella stoppia. Se è avido, esuberante, incapperà quasi certamente in uno, due, tre sfrulli... seguiti da carico a fondo. Lascio inseguire. Quanto più ce la mette dar sotto, tanto più è probabile, ha temperamento, coraggio. Intanto, dietro alle invitanti quagliette di pianoro, non solo s’è caricato, ma ha tratto anche qualche insegnamento: s’è accorto alla fine che ha un naso da far funzionare per raccogliere bave di vento. E s’è risvegliato l’antico istinto dell’agguato: la ferma.

La storia va avanti così per un pezzo: mettiamo le prime 4-5 uscite. D’ora innanzi, al momento della ferma, lo vincolo a me con la corda di ritenuta.
Non uso altri mezzi, più sbrigativi ma rischiosi (collare elettrico, fucilata). Non ho tanti cani da fare. Oggi, poi, «lavoro» solo questo e la corda mi basta, manovrata con tatto, come redine: non devo impedire l’eventuale guidata. Al frullo non mollo e ordino il «terra» prima insegnato quasi per gioco. Ma non mi occorre brutalmente catapultare l’allievo. Basta che stia fermo. Se la quaglia, dopo volo breve, che in qualche caso può essere un salto o poco più, si rimette davanti, più forte sarà nel «puledro» il desiderio di agguantarla. La circostanza non consente cedimenti. Il caso, nella pratica della caccia, si ripeterà. Con la quaglia stessa, con la beccaccia, con il beccaccino in certe giornate, con il frullino. Il croccolone, ahimè, non conteggiamolo più, non è cacciabile.
Un cane che, preso dalla foga del «faccio tutto me», carichi il selvatico pronto a rimettersi sciuperà una moltitudine di buone occasioni. Per non dire del supplizio di Tantalo derivante al cacciatore perché «Tell» rincorre tutte le quaglie normalmente fermate. Un ausiliare del genere, considerando la natura ordinariamente radente del volo.
Il rovescio della medaglia
Per il resto, la quaglia (un dì) proletaria è uccello disponibile a tutte le esperienze di cane e conduttore. Pigra, pedinatrice, astuta, caparbia, radicata al terreno, leggera, introvabile, secondo le circostanze. Anche Felice Delfino è dell’avviso che «si presta moltissimo per esercitare il cane nuovo al lavoro perché spesso la si trova disposta a tollerare anche un atto d’imprudenza e perfino una sfuriata d’impazienza» per cui «la caccia alla quaglia è scuola veramente indispensabile per soggetto impetuoso, facile all’orgasmo, abbisognevole di ripetute correzioni e repressioni». allenare il cane con le quaglie
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e, oltre alla regola, va conosciuta la sua eccezione. «L’ostinazione della quaglia nella difesa a gambe offre un utile esercizio di guidata al cane novizio a condizione però che non sia sul terreno troppo guarnito di erbe alte e fitte; in questo caso, avverte il noto dresseur, riesce molto facile alla quaglia di rendersi introvabile ed allora i ripetuti insuccessi del cane potrebbero sfiduciarlo ed invogliarlo ad abbandonare l’azione oppure potrebbero incoraggiarlo a forzare la guidata, come più spesso avviene, per dare addosso».
Tra le stoppie, i medicai, i migli, i granturcheti bassi, le sodaglie o i pia- non incolti, ambienti generalmente aperti dove cane e cacciatore hanno tante occasioni di controllarsi a vicenda, forse possiamo anche affrontare qualche rischio per stabilire un apprezzabile grado di affiatamento e d’intesa. E questo, è risaputo, costituisce condizione importante, imprescindibile nelle cacce che vengono dopo. Nelle dette circostanze di ambiente e di selvatico, è agevole passare ai comandi a bassa voce e, gradualmente, agli ordini impartiti col gesto della mano, ad un incrocio metodico e razionale del terreno, all’esplorazione in profondità di angoli appartati e, non di rado, redditizi, ad un senso di marcia che sfrutti il vento nel modo più proprio.
La cerca incrociata
Perché il cane non sfondi in avanti e trascuri ai lati le quaglie, deve abituarsi a esplorare il terreno in maniera complete metodica. Tale è il fine della cerca incrociata. Come la s’insegna? Potrei rispondere con quel tale che «per incrociare la cerca, non incrociare le braccia». Ma c’è un metodo classico che anche Colombo, di solito poco disposto ad alfabetizzare, trascrive nel suo insuperabile Il cane da ferma, edito da Nicolosi. «Indirizzate il cane da una parte e richiamatelo quando giudicate opportuno, sui cento duecento metri, ed abituatelo a tornare verso di voi, ed a sorpassarvi di altrettanto dall’altro lato. Per fare questo camminate nella direzione nella quale avete lanciato il cane, quasi ad accompagnarlo, arrestatevi dopo pochi passi e, quando lo richiamate, marciate risolutamente a gran passi ed ostentamente nella direzione opposta: se il puledro è partito a destra, troverà voi, rivolto e in moto, verso sinistra. Se non vi ascolta, se si imballa, mettetelo al terra, ma non lo avvicinate mai, è lui che deve venire a voi, non voi a lui. Con un gesto perentorio della mano indicategli la nuova direzione, accertandovi che abbia ben compreso l’invito, e date il via. Ripetete il richiamo alla distanza prefissa, guidatelo nella direzione opposta, e seguitate la manovra per qualche centinaio di metri; intercalate una pausa e della quaglia, è candidato certo a finire impiombato. rinnovate l’esercizio: da sinistra a destra, da destra a sinistra con moto progressivo, incitando il cane con la voce ed il gesto ogni qualvolta tronca la direzione... fino a che potrete marciare diritto davanti a voi «col puledro che vi spazzerà il terreno davanti regolarmente come un pendolo».
Il tutto servirà al vostro cane non per continuare «vita natural durante» a fare la «marionetta», ma certamente per acquisirgli la buona abitudine a coprire terreno utile sui lati, a svolgere una cerca ordinata nel vento, libero naturalmente di regolare a suo talento i lacets, secondo che detta necessità di selvatico e d’ambiente. Da tenere in evidenza che il miglior cane da quaglie è quello di molta attività, ma non troppo veloce, di cerca spedita, ma diligente; di temperamento paziente, oculato e ostinato; di finissimo olfatto e molta sagacità. Nel prototipo di cane quaglista offertoci da Delfino abbondano gli ingredienti naturali.., ma è probabile, e vale sempre il proverbio, che chi ben comincia è alla metà dell’opera. Il periodo ottimale per questo lavoro di iniziazione è il mese che precede l’apertura della caccia, quando gli uccelli sono più abbondanti e meno smaliziati, e non c’è la preoccupazione dello sparo e dell’abbattimento del selvatico. Debutto con la necessaria tranquillità, senza cani fatti da scimmiottare. Preferibile sempre il posto trascurato che alberghi tre quaglie ad uno dove è possibile ne frullino dieci e il giovane cane si troverà come a correre il palio. Capisco, forse è di moda, è la realtà del nostro tempo, ma per il cucciolo la gloria non è ancora dove si spara. Oggi, il giorno più infelice per l’esordio sarebbe quello d’apertura.
Lo sparo e il riporto
La quaglia si è palesata dopo la ferma. L’avete mancata o non le avete tirato. Ne avete marcato però il punto preciso di atterraggio. Accendete la classica sigaretta consigliata da vecchi e trascurati manuali. Lasciate intanto che la quaglia si rinfranchi, che esca dalla buchetta o dal ciuffo dove probabilmente s’è rifugiata per non disperdere la sua emanazione e che cominci a muoversi intorno, Anche il vostro candidato ausiliare si sarà nel frattempo rinfrancato insieme a voi. il momento per rilanciarlo a vento giusto (supposto che un refolo ci sia) e lasciate che riagganci da sé, col suo naso, la quaglia, senza che per questo dobbiate arrivare prima voi sul posto, a pestarci coi piedi. Investita dalla rosata, la quaglia si spiuma tutta. Un bocconcino tanto prelibato e invitante si direbbe fatto apposta per essere «bevuto». Il rischio sussiste (anche se le cose in genere vanno diversamente). Un rischio che è bene prevenire mediante preventivo addestramento al riporto. Prima con oggetti, poi con la quaglia (di gabbia, fa lo stesso). Perché quando un cane ha preso a cacciare per... mangiare, difficilmente poi si riesce a farlo smettere.
Il cane ti porta la quaglia, ma è restio a cederla? La classica universale soffiata sull’orecchio, forte sull’orecchio e sul muso, se occorre; la mano che tiene la mandibola, pronta a impedire la nuova presa. E se la raccoglie e porta via, che gli fai al «Gian Burrasca»? Non certo corrergli appresso per raggiungere solo l’effetto contrario di allontanarlo ancora di più o spaurirlo e indurlo ad abbandonare la preda. La maniera forte può anche rovinare il riporto per sempre. Ma... intanto quello va con in bocca la quaglia, dall’altra parte, giunto a un tiro, due tiri di fucile... É già fortuna, io dico, che non s’è messo a masticare, perché stai perdendo tempo. Fischiagli, energicamente, perché ti noti un attimo mentre ti sei dato a correre dalla parte a lui opposta, per defilarti dietro un argine o al riparo di una siepe. Se ci tiene a non perderti, c’impiega poco a raggiungerti dove ti sei acquattato. E alla quaglia, quasi certamente, non torce piuma.
A quaglie si sperimenta se un cane ha doti di recupero. E capita di trovare il grande recuperatore anche in soggetti che eseguono il riporto con scarso entusiasmo. Ne ho avuti più d’uno che intendevano il riporto come pura manovalanza. Ma la quaglia scalfita del piombo, che scampava alla disperata insaccandosi fra sporchi, erba bagnata e canali di scolo, fatte iniziali esperienze già alla prima stagione di caccia ce la mettevano tutta per prenderla. Le stesse apprezzabili doti mostrarono in seguito al bosco. A volte, dubitando dell’esito, li portavo via di forza. Mi piantavano in asso quando li credevo già rassegnati per ritentare con rinnovate energie. Talvolta coglievano il successo a distanza insospettata dal punto di caduta. Perché la quaglia toccata non mortalmente, magari ad un’ala, con i piedi indenni, è spesso inutile cercarla nel luogo di atterraggio. Ed è errore costringere il cane a trescarvi, se non sente, e non lasciargli autonomia nell’intento che allargando possa più in là intercettare la traccia e assicurare la quaglia al carniere.

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